Premessa
Martedì 11 aprile 2006. Sono in ritardo.
Mi sono alzato tardi e praticamente non ho dormito. L’Italia intera non ha chiuso occhio nell’attesa di sapere di quale colore sarà il nuovo governo, dopo le elezioni più incerte della storia della Repubblica italiana. Quando arrivo a casa di Davide Toffolo a Milano, imprecando per l’ora, mi rendo conto che anche lui, come me, è stato tutta la notte attaccato alla radio e alla tv.
Dopo avergli suonato tre volte, dal citofono mi parla una voce degna di un ragazzo morto. Salgo e quando mi apre la prima cosa che mi chiede è: “Sai le ultime notizie? Chi ha vinto poi?”. No, non lo so.
Ci sediamo, accendiamo la radio e cominciamo a parlare di politica, maledicendo la follia di un paese che non sa decidere.
Dopo molte chiacchiere e qualche caffé iniziamo l’intervista che segue che, per una serie di cause più disparate, si è conclusa solo un anno e mezzo dopo, quando sembra che ancora non sappiamo da chi saremo governati domani.
Fine della premessa
Cominciamo questa intervista parlando del tuo percorso come autore. Sei nato a Pordenone dove hai passato tutta l’adolescenza. Quando hai capito che volevi fare il disegnatore di fumetti?
Ho imparato a leggere proprio con i fumetti e da piccolo ero una specie di bambino prodigio, perché già a 13 anni disegnavo come disegno adesso. Senza avere conoscenze tecniche sono sempre stato uno che disegnava in modo superiore ai coetanei. Poi ho avuto alcuni sentori che il fumetto potesse essere divertente per me, come quando a 13 anni ho vinto il premio per il decennale di Alan Ford. E già allora facevo fumetti, per come si potessero fare per un ragazzo della mia età, anche perché a metà degli anni settanta non si sapeva assolutamente niente sui fumetti, dato che non c’era nessuna informazione su quell’argomento. Per chi voleva cominciare a lavorare in quest’ambito c’era solo la possibilità di andare a bottega da qualche altro disegnatore.
Quindi già negli anni settanta facevi fumetti?
Come ho detto nel ’78 partecipai a questo concorso indetto su Alan Ford Colore e alla fine del 1979 entrai in un gruppo punk di Pordenone che si chiamava The Great Complotto [1], ma non come musicista, proprio come disegnatore. In quel contesto, a Pordenone, ho imparato che le cose si potevano anche fare nella provincia estrema, al di fuori dalle grandi città, con musicisti che poi erano giovanissimi, anomali, punk, assolutamente “deformati” rispetto all’ambiente circostante.
In questa cosa chiamata Great Complotto ci sono state le prime autoproduzioni di musica indipendente italiana. Anzi, il primo disco di punk italiano è stato stampato proprio a Pordenone.
E così, già all’epoca in qualche modo entri in contatto con queste due differenti espressioni artistiche, la musica e il fumetto?
Sì, per me è nato lì questo bisogno di contaminazione, anche se la mia formazione musicale era inesistente. Anzi, devo dire che a me, da ragazzino, la musica che si sentiva in giro faceva proprio schifo: la disco, il pop non mi hanno mai affascinato.
Non è un caso che il punk, in quegli anni, per molti è stato una rivoluzione sociale, culturale che ha anche modificato i metodi di produzione artistica.
È vero e io ho vissuto quel momento. Ero giovane il giusto per capire cosa stava succedendo. È stata un’illuminazione totale. E poi il punk aveva questa valenza decisamente iconoclasta di rimettere in gioco tutto dall’inizio e di sovrapporre i linguaggi, il fumetto, la musica, i video, anche in un modo molto forte, spiazzante, dato che ciò risaltava di più era il modo di vestirsi. Rimasi colpito dall’ipotesi che si potesse mostrare la propria diversità soltanto cambiando il proprio abbigliamento.
Quindi l’inizio del tuo far fumetti c’entra con il “do it yourself”, uno degli slogan punk più noti all’epoca? Tu lo puoi fare da solo, al di là della formazione accademica, che pone schemi e gabbie, al di là di ingombranti virtuosismi.
Al cento per cento tutta la mia esperienza musicale e fumettistica è in realtà segnata da questo spirito.
Anche a Bologna c’era un fermento culturale nel quale era presente questo sovrapporsi tra musica e fumetto, coi Gaz Nevada [2] che frequentavano la Traumfabrik [3] con Filippo Scozzari [4]. C’era qualche collegamento esistente con quella realtà oppure era solo un sentire comune generalizzato in quegli anni?
Non è un caso che uno dei contatti più forti che la scena di Pordenone aveva era proprio con Bologna perché c’erano delle affinità, ma anche delle divergenze reali, visto che Bologna aveva una dimensione più urbana mentre Pordenone più di fantasia, dato che non era proprio una città.
Queste affinità hanno influito sulla scelta di trasferirti a Bologna per studiare?
Veramente è stato un mezzo caso, perché sono andato a Bologna senza sapere ciò che stava succedendo. Alla fine delle superiori stavo vivendo una situazione abbastanza confusa e non sapevo se la strada da seguire sarebbe stata quella del disegno. Perché mentre nella musica avevo trovato delle persone che mi avevano trasmesso sensazioni precise rispetto a ciò che si poteva fare, devo dire che con i fumetti non ero stato così fortunato, fino a quel momento.
Gli unici contatti professionali che avevo avuto erano le esperienze legate al fumetto industriale italiano, che ha ancora oggi questi artigiani sperduti nella provincia, che lavorano con la bravura e allo stesso tempo con l’incapacità di concettualizzare quello che stanno facendo. In più, con il peso di vivere un lavoro che era sempre sentito come un’attività secondaria, o peggio ancora, un lavoro da nascondere.
Per esempio, c’era un disegnatore Disney molto bravo della mia zona, con il quale mi sono scontrato subito quando gli ho portato i miei disegni; in realtà si sentiva un pittore e faceva questo lavoro solo per arrotondare. Lo faceva con una bravura incredibile, ma in quel momento far fumetti non era una cosa di cui vantarsi, perché non era ritenuta un’espressione artistica. A me, invece, che ero nato un bel po’ di anni dopo, che la gente dicesse che il fumetto fosse arte o meno non me ne fregava niente. Quando gli portai i miei disegni, con una calma da professionista mi disse: “Guarda che i fumetti si dividono in western, quelli coi paperi, ecc. ecc.” e quindi capii che la distanza tra me e lui era enorme. L’incontro con questo disegnatore ha avuto il risultato di frenare la mia volontà di far fumetti, perché mi sono detto “qui non sento l’energia che sento nella musica”.
In seguito sono andato a Bologna per fare l’università. Cercavo un posto dove poter disegnare tutti i giorni. Non ho una formazione artistica dato che ho fatto il liceo, ma nella mia infanzia da bambino prodigio mi dicevano: “Questo può fare dai fumetti alla progettazione di una bomba atomica”. Perciò sono andato a Bologna per frequentare un corso universitario di disegno anatomico per chirurgici. Una scuola particolare, ottocentesca, all’interno di un istituto ortopedico a numero chiuso.
Quelli erano gli anni della prima crisi delle riviste di settore, circa il 1985/86. Frigidaire [5] era ormai svuotata, pero’ c’erano delle energie nuove che stavano arrivando tipo la Francesca Ghermandi [6] o Giuseppe Palumbo [7]. Igort [8], che è sempre stato una presenza importante della mia vita, in collaborazione con Daniele Brolli [9] e, in parte, con Andrea Pazienza [10] (insomma un po’ il giro di Valvoline [11] e un po’ di Frigidaire) aveva messo in piedi questa scuola chiamata Zio Feininger [12] che per me è stata la cosa più formativa che ho vissuto in vita mia. Il corso durava due anni, ma in realtà c’era la possibilità di entrare gratuitamente al secondo anno nel caso si avessero dei lavori validi che lo giustificassero. Visto che in quel momento difficilmente avrei potuto frequentare il corso pagandolo ho portato i miei disegni, che sono subito piaciuti. Mi hanno accettato, per mia incredibile gioia, e ho avuto la possibilità di vedere fisicamente cosa volesse dire essere un autore di fumetti.
I corsi erano tenuti da Mattotti [13], Magnus [14], Munoz [15] e Sampayo [16], Igort e Brolli e l’anno prima che io frequentassi c’era stato anche Pazienza. Dall’altra parte del banco invece c’erano la Ghermandi, Menotti, Otto Gabos [17], Davide Catenacci [18], Palumbo, Massimo Semerano [19], Enrico Fornaroli [20].
È una pagina della storia del fumetto italiano che nessuno si è preso ancora la briga di raccontare realmente, tranne Andrea Pazienza in una tavola di Pompeo [21].
La scuola Zio Feininger è stata un’esperienza bellissima, non ripetuta, e il motore di tutto ciò era Igort.
…che circa vent’anni dopo lo ritrovi sulla tua strada come editore.
Lo conosco da sempre e l’ho sempre frequentato perché lo ritengo una delle poche persone all’interno del mondo dei fumetti che ti trasmette una visione più alta di quello che stai facendo.
Tu e Igort avete una visione meno pessimistica sul futuro del fumetto confronto a molti vostri colleghi e tanti addetti del settore.
Igort è sempre stato una persona con un modo di fare particolare perché lui cerca di comunicarti ciò che ha imparato e ha visto e lo fa con una generosità che gli ho sempre riconosciuto. Nei momenti più difficili o quando ne avevo più bisogno sono sempre andato a casa sua per farmi raccontare il suo punto di vista e confesso che è sempre stato stimolante.
Verso la metà degli anni ’90, quando non era ancora un editore, Igort si è preso la briga e la voglia di fare diversi incontri fra vari autori per capire cosa poteva succedere al fumetto in Italia. C’era una discussione molto aperta per comprendere dove dovessero incanalarsi le forze, le capacità e le esperienze degli autori di fumetti. C’é stata questa grande discussione sull’ipotesi del romanzo a fumetti, anche economico; di come si potesse strutturare, ad esempio facendo i libri direttamente con i quotidiani. Insomma delle idee se vogliamo anche un po’ naif, fra virgolette, che pero’ in qualche modo, oggi, si sono realizzate.
Pero’ era una discussione vivace, e viva soprattutto, per capire cosa si poteva fare del proprio lavoro.
Riallacciandomi al discorso dell’approccio punk, c’era un’attitudine collettivistica, una voglia di confrontare le energie e rimetterle in campo?
Questo aspetto, devo dire, me lo sono portato dietro anch’io per molto tempo, almeno fino a Mondo Naif [22]. Adesso mi è molto più difficile ragionare in questi termini perché sono un po’ più pigro e forse il lavorare in gruppo l’ho trovato più nella musica che nei fumetti. Pero’ sì, c’é sempre stata questa volontà di trovare la dimensione del lavoro di gruppo.
Passiamo ai tuoi esordi come autore: le prime cose che tutti ricordano sono i fumetti con Giovanni Mattioli [23]. Cosa hai fatto prima?
Le prime cose le ho fatte qui a Milano con Storie e Strisce a metà degli anni ottanta, poi su Tic , Frigidaire, L’intrepido.
Con Giovanni è invece successo che quando abitavamo assieme a Bologna aveva il desiderio di scrivere e così gli suggerii di provare, visto che avevo dei contatti da sfruttare.
Curiosamente, anche nel primo lavoro che abbiamo fatto assieme, Animali, c’era Igort di mezzo. Infatti era stato pensato per Fuego, rivista da lui diretta, che in quel momento era un inserto di Comic Art, ma che prima era uscita da sola, autoprodotta nel vero senso del termine. Era il 92 e Igort raccoglieva progetti per proporli dentro questo spazio. Io e Giovanni gli proponemmo una storia, vagamente di fantapolitica, con un occhio a Eisner e al suo Spirit [24], ma quando gli abbiamo portato quelle tavole ci disse: “Se volete che il vostro lavoro finisca domattina continuate su questa strada. Voi dovete fare un capolavoro perché questa è la prima occasione che avete e forse anche l’ultima. Quindi o fate un capolavoro adesso o è meglio che smettiate di fare fumetti”.
Durissimo…
Sì, ma è stato un buon suggerimento perché non ci ha detto fate questo o quel tipo di fumetto. A quel punto ho cercato di capire meglio quello che erano le mie capacità tecniche e in una storia che si intitola La visita è nata l’idea di Animali, una storia di sentimenti reali con delle maschere molto espressive.
Se dovessi invece dare tu dei consigli a chi vuole intraprendere la strada del fumettista cosa gli diresti?
In questo caso sono il punk di una volta e perciò gli direi di non ascoltare mai chi ti dice che devi seguire certe regole. Per fare i fumetti bisogna amare i fumetti, bisogna leggerli, bisogna capire cosa succede intorno, bisogna avere la fortuna di incontrare le persone giuste, bisogna aver la voglia di incontrare chi li fa. Penso che mettersi in comunicazione con gli autori in questo momento sia anche mettersi in comunicazione con la storia del fumetto. Un approccio culturale con quello che si fa è fondamentale: non c’é niente d’istintivo. Sono convinto, come dice Igort, che il fumetto sia un media giovane.
Torniamo a “La visita”: già in questo racconto inserisci la tematica della morte e della sofferenza, che sarà una costante della tua produzione, da Fregoli a Piera degli spiriti fino al Re bianco.
È vero. Nella prima storia che ho fatto e che ho pubblicato su Tic [25] intitolata Il marito, quattro pagine che ho realizzato in tre settimane, già in essa c’é quasi tutto quello che ho scritto e disegnato dopo. La penso come Andy Warhol [26]: un’artista ha una cosa da dire e quella cosa la dice sempre.
Nel 1991 hai collaborato anche a Cyborg [27].
Sì, dal quarto numero della prima edizione. Per me Cyborg è stato un momento interessante e allo stesso tempo anche difficile perché sono arrivato in quella rivista in un momento in cui tutti i disegnatori erano sfiniti dalla stanchezza; io invece, appena congedato da militare, mi sentivo in forma. È stata la mia prima esperienza di lavoro nel vero senso della parola e sono finito a rimettere a posto quello che gli altri non erano riusciti a realizzare in accordo ai canoni di quella visione generale che Daniele Brolli aveva in testa. Sono venuto qua a Milano, ho fatto una storia assieme a Giuseppe Palumbo che già conoscevo. Lui disegnava e io facevo gli inchiostri: per me una cosa esaltante. Ho visto Brolli che teneva assieme questa redazione sul tavolo di casa sua, al lavoro su opere che oscillavano tra la poesia e temi a me più congeniali.
Cyborg aveva un’energia reale e alcune storie poi erano bellissime. Penso ai lavori di Marco Nizzoli [28], di Semerano o a quelli di Palumbo, anche se lui dice che non sono belli, ma a rivederli oggi, sbilenchi quanto vuoi, dimostrano di avere un’energia bellissima. Sono entrato in quel momento e ho visto tutta una serie di miei amici al lavoro che mi hanno dato una gioia pazzesca, ma allo stesso tempo ho capito che disegnare supereroi o cose del genere a me interessava meno.
Nello stesso periodo stavo facendo “Animali” che era diventato, invece, un momento di confronto più forte per me, con un’idea di me come portatore di un immaginario e quindi la possibilità di propormi come un autore nel senso vero del termine. C’era infatti in esso l’idea di fare le storie ambientate in Italia, che avessero una dimensione realistica, ma con una recitazione da fumetto nel vero senso del termine. Insomma, c’erano dentro tutti gli elementi che poi sono diventati quelli di Dinamite, compreso il tema ricorrente dell’adolescenza.
La visibilità che pero’ mi aveva dato Cyborg mi ha fatto incontrare Luigi Bernardi [29], che mi ha proposto di far parte di un suo progetto, dandomi in mano una sceneggiatura. La sua era un’idea forte, che potrebbe essere ancora cavalcata, perché lui alla Granata aveva quelli che sarebbero diventati i migliori nuovi autori di romanzi italiani, sommati a un buon gruppo di nuovi disegnatori. Si disse: “Perché Lucarelli [30] non scrive un fumetto per Catacchio [31]? Perché Cacucci [32] non fa una cosa disegnata da Gabos ? Perché Toffolo non disegna una storia scritta da Marzaduri [33]?”. Ed è quello che mi propose di fare, una storia gialla. Fatte le tavole sono andato da lui, con il mio detective immaginato come un cane, nello stile di Animali, perché mi piaceva questa idea di un mondo dove ci potesse essere uno scarto non realistico. La storia, diciamo la verità, era abbastanza banale, fuori dalle mie corde: io mi immaginavo questo detective un po’ sfigato, che annusava, ma fumava un casino, poi perdeva l’olfatto. Bernardi, con la sua laconicità, mi disse: “Se vuoi morire di fame continua a disegnare gli animali”. È stato uno schiaffo abbastanza forte, e mi chiese di rifare la storia con gli umani, perché lui aveva idealizzato un rapporto con un pubblico che andasse anche oltre l’abituale lettore di fumetti.
Un fumetto che potesse anche essere letto da chi i fumetti non li leggeva, quindi.
Perfettamente. Un pubblico che probabilmente poteva vedere le orecchie dei miei animali antropomorfi come un problema, nel senso che non si sarebbe riconosciuto in quelle figure.
Ancora qualche sera fa qualcuno mi ha detto che “Il re bianco” è buono perché finalmente non ci sono più personaggi con le orecchie da animale. Invece io la penso completamente all’opposto, perché credo il fumetto successivo che feci all’interno di Dinamite [34], Piera degli spiriti, avesse la forza di parlare con un linguaggio tipico del fumetto con animali antropomorfi, che è una tradizione comunque forte in Italia, provando a metterci dentro un’emotività completamente differente, realistica. L’impatto che ha avuto sulle persone che lo hanno letto è equivalso, per me, a una vittoria.
Questo disegnare animali antropomorfi, o uomini con caratteristiche di animali, e mischiarlo con tematiche dalla forte emotività, come tu dici, pensi che sia andato a toccare le corde degli adolescenti italiani di quel periodo?
Sicuramente. Quando tu fai un giornalino su cui metti una rubrica della posta alla fine è chiaro che ricevi delle lettere, ma noi ne abbiamo ricevute veramente tantissime, scritte magari da ragazze che si chiedevano dove avevamo messo la telecamera per capire come erano fatti gli adolescenti. Nessuno prima l’aveva fatto e io avevo questo trip sugli adolescenti perché mi ero detto che noi potevamo fare questo tipo di storie come altri potevano farle di fantascienza.
Peccato che sia durato poco…
Già, anche se io ritengo che sia riuscito nel suo scopo. Doveva durare dodici numeri, ma si chiuse dopo il secondo per la morte della casa editrice (la Granata, ndi), e nei successivi sarebbero dovuti nascere dieci personaggi che alla fine avrebbero dovuto andare avanti con le proprie gambe, almeno i migliori. Bene, dopo il secondo numero il giornalino chiuse ma diversi personaggi creati per quell’occasione hanno poi vissuto una nuova stagione editoriale, come Lilian Browne di Vanna Vinci [35], Loving the Alien di Gabos, o i miei Cinque allegri ragazzi morti, pubblicati poi dalla Marvel Italia, e “Piera” che fu il primo libro della Kappa. Altri invece, come il bellissimo personaggio creato dalla Ghermandi, purtroppo non vennero più ripresi.
E da questa idea come si è poi arrivati a Mondo Naif?
Bernardi mi aveva promesso che a Treviso Comics del ’95 ci sarebbe stata la presentazione del primo numero di Dinamite. Abbiamo fatto una grande mostra e una giornata di incontri per far capire che c’era questo giornale, che pero’ non era ancora uscito perché non era pronto. C’era la sala strapiena di gente, la mostra bellissima, tutti gli autori presenti e, armato di diapositive, presentai il progetto praticamente da solo, anche se avevo di fianco la Vanna, Giovanni e tutti gli altri muti e imbarazzati, terrorizzati dalla folla. Io devo dire che avevo un vantaggio perché sono un rocker e non ho paura di niente. (risate)
L’abitudine del palco…
Sì, e le cose più sono difficili e più mi piacciono.
Insomma, ho presentato Dinamite soltanto a parole e mostrandone i disegni, davanti a un sacco di persone. Tra quelle c’erano i Kappa Boys [36], che ancora non conoscevo. E così quella notte ci fu l’incontro tra me, Giovanni e i Kappa. Un incontro vero, nel quale abbiamo capito che l’energie che avevamo erano condivisibili. Io ci scherzo ogni tanto dicendo che in realtà non hanno fatto altro che prendere la mia idea di Dinamite e metterla in gioco, ma non è così vero, nel senso che ci hanno ovviamente messo del loro. Pero’ è indubbio che l’idea delle storie sull’adolescenza ambientate in Italia che c’era in Dinamite ha trovato una progettualità ancora maggiore all’interno di Mondo Naif, nome derivante dal titolo del primo demo tape dei Tre Allegri Ragazzi morti [37], contenente le nostre prime dieci canzoni.
Cassetta che è stata anche allegata alla rivista, se non sbaglio.
Sì, in seguito. Loro l’avevano sentita e gli era piaciuta. C’é stata, insomma, una sinergia vera, una collettività in cui loro avevano una presenza centrale e per cui ho fatto una storia, Fregoli.
E come mai poi c’é stata la separazione tra te e Mondo Naif?
È stato tutto un po’ doloroso per me. In un certo modo rimproveravo ai Kappa di non aver capito che stavano lavorando su degli autori e non su un genere. Loro hanno immaginato di lavorare su una collana pensando che gli autori fossero intercambiabili. Sono diventati editori, mentre secondo me avrebbero vinto se fossero diventati un po’ come L’Association [38], un’associazione di autori. La loro era comunque una scelta rispettabile. Certo, ma comunque tradizionale.
Quindi Kappa edizioni non era in quel momento un vestito adatto per te…
Io quando faccio i fumetti sono nudo. Forse è questo il problema.
C’é stato, se non sbaglio, poi il salto alla Panini.
I ragazzi morti erano nati per Dinamite, ma avevo comunque la necessità e auspicavo che potessero muoversi da un’altra parte. In genere faccio così: immagino delle cose e in seguito sollecito un editore che mi sembra in linea rispetto a quello che sto pensando di fare, non il contrario. Non è che aspetto un editore che mi dica “fammi questo o quello”. Per esempio ho fatto il libro di Carnera poi mi son detto: “quell’editore lì, che è uno che non fa fumetti ma che lavora su una certa territorialità, potrebbe avere un interesse per il mio libro”. Allo stesso modo quando ho fatto “I ragazzi morti”, mi sono preparato, come faccio di solito, la progettazione della rivista, nel senso fisico del termine, facendo un progetto cartaceo. Sono andato alla Marvel per fare vedere come volevo fare “I ragazzi morti” e mi han detto: “Sì, facciamolo”.
Quindi per te non è stato un limite andare a lavorare anche per una casa editrice di più grandi dimensioni e maggiormente strutturata?
No, perché con Dinamite avevo capito che l’unica cosa intelligente che può fare un autore è mantenere la proprietà dei propri lavori. La Marvel in realtà funziona così e cioé non produce, ma gestisce licenze. E per questo motivo per me il rapporto con loro è stato buono.
Continua con la seconda parte >>>
Note e riferimenti:
[1] All’indirizzo seguente si può trovare un’esauriente ed interessante sito che fotografa la scena punk di Pordenone di quegli anni: www.thegreatcomplotto.it
[2] I Gaznevada sono state tra le più importanti band “new wave” italiane, e un loro membro, Giorgio Lavagna, ora lavora in Panini Comics:
it.wikipedia.org/wiki/Gaznevada
www.myspace.com/gaznevada
www.astroman.it/astro/astro_artist.asp?cat_id=1&artist_id=1
[3] Riguardo alla “Traumfabrik”, sorta di spazio occupato e autogestito a Bologna, si possono leggere delle splendide pagine nell’imperdibile “Prima pagare poi ricordare” di Filippo Sco’zzari (Castelvecchi, 1997 – Coniglio Editore, 2004). Esiste anche un sito aperto in occasione di una mostra delle opere di alcuni autori in qualche modo legati a quell’esperienza : www.traumfabrik.bo.it/home
[4] Pagina di Wikipedia su Sco’zzari: it.wikipedia.org/wiki/Filippo_Scozzari
[5] Il sito ufficiale di Frigidaire: www.frigomag.it
[6] Una biografia di Francesca Ghermanti: www.flashfumetto.it/artisti/professionisti_pagina/id-59
[7] Il blog di Giuseppe Palumbo: www.palumbo-troglodita.blogspot.com
[8] Sito e blog di Igort:
www.igort.com
igort.blogspot.com
[9] Pagina di Wikipedia su Daniele Brolli: it.wikipedia.org/wiki/Daniele_Brolli
[10] Wikipedia su Andrea Pazienza: it.wikipedia.org/wiki/Andrea_Pazienza
e un altro sito interessante sull’autore: www.2fly.it/paz
Toffolo su Andrea Pazienza www.ultrazine.org/ultraspeciali/ultrapaz/up001/toffolo.htm#1
[11] Il gruppo di autori chiamato Valvoline, nasce a Bologna nel 1983 e debutta come inserto a colori sulla rivista Alter Alter. Era composto da Igort, Daniele Brolli, Marcello Jori, Lorenzo Mattotti, Jerry Kramsky, Giorgio Carpinteri. Segnalo a tal proposito questo interessante ed esaustivo pezzo di Daniele Barbieri: www.flashfumetto.it/approfondimenti
[12] Sul link di seguito potrete trovare una raccolta di testimonianze sulla scuola Zio Feininger. Attenzione: una volta entrati su questo blog, vi consiglio di azzittire la fastidiosa musica dal player radio che trovate sulla destra e cercare tra i tag “Andrea Pazienza e l’era Zio Feininger”: ziofeininger.blogspot.com
[13] Il sito ufficiale di Mattotti e la pagina di Wikipedia a lui dedicata:
www.mattotti.com
it.wikipedia.org/wiki/Lorenzo_Mattotti
[14] Il sito ufficiale di Magnus e la pagina di wikipedia a lui dedicata:
www.magnusonline.it
it.wikipedia.org/wiki/Magnus
[15] La pagina di wikipedia dedicata a José Munoz: it.wikipedia.org/wiki/Jos%C3%A9_Mu%C3%B1oz
[16] Biografia di Carlos Sampayo: www.coconinopress.com/autori/igort/fats.htm
[17] Il sito e il blog di Otto Gabos:
http://www.ottogabos.com
radioherzberg.blogspot.com
[18] Davide Catenacci è stato tra gli sceneggiatori di PK e ora è Caposervizio Comics per The Walt Disney Company
[19] La nostra recente intervista a Massimo Semerano
[20] attualmente editor di Panini Comics
[21] Pompeo – 1987 Editori del Grifo
[22] La rivista Mondo Naif è nata come miniserie di 3 numeri per Star Comics nel 1996, per poi essere edita da Kappa edizioni (1998-2007). La rivista ha chiuso dopo 28 numeri.
[23] Biografia di Giovanni Mattioli:
http://www.flashfumetto.it/artisti/professionisti_pagina/id-27
[24] Qualche link riguardo a Will Eisner:
– il sito ufficiale www.willeisner.com
– la pagina italiana di Wikipedia it.wikipedia.org/wiki/Will_Eisner
– la pagina di Kappa edizioni www.kappaedizioni.it/pages/autore.asp?autore=Will%20Eisner
[25] Tic la rivista dei curiosi, effimero magazine diretto da Franco Serra e Gino e Michele nel 1989.
[26] Un paio di link su Andy Warhol:
biografie.leonardo.it/biografia.htm?BioID=237&biografia=Andy+Warhol
it.wikipedia.org/wiki/Andy_Warhol
[27] Cyborg, lo schock del futuro, Star Comics e Telemaco 1991- 1993:
cambiareomorire.blogspot.com/2007/09/startelemaco-cyborg-checklist
[28] Il sito ufficiale di Marco Nizzoli e una biografia da Flashfumetto:
www.marconizzoli.com
www.flashfumetto.it/artisti/professionisti_pagina/id-25
[29] Luigi Bernardi, tra le altre cose, è stato l’editore dell’Isola Trovata e della Granata Press: www.luigibernardi.com/biografia
[30] Carlo Lucarelli, il famoso scrittore noir conosciuto dai più per il programma Rai “Blue notte”: www.carlolucarelli.net
[31] Onofrio Catacchio, autore di Stella Rossa, maggiormente conosciuto per essere uno dei disegnatori di Nathan Never: www.onofriocatacchio.com
[32] Pino Cacucci, scrittore, traduttore, sceneggiatore. È autore di Porto Escondido da cui Gabriele Salvatores ha tratto l’omonimo film: it.wikipedia.org/wiki/Pino_Cacucci
[33] Lorenzo Marzaduri, scrittore, ha infatti scritto il soggetto per la sceneggiatura di Augusto Bruni e i disegni di Toffolo di “Carrozzine d’argento” pubblicato su Nova express, n.15/18, ed. Granata, 1993.
[34] Granata Press, 1995
[35] Il sito di Vanna Vinci e la pagina a lei dedicata sul sito della Kappa edizioni:
www.vannavinci.it
www.kappaedizioni.it/pages/autore.asp?autore=Vanna%20Vinci
[36] Kappa Boys: si fanno chiamare così i quattro fondatori della Kappa edizioni, Andrea Baricordi, Barbara Rossi, Massimiliano De Giovanni, Andrea Pietroni.
[37] Il gruppo rock di Davide Toffolo: www.treallegriragazzimorti.it
[38] La casa editrice francese fondata nel 1990 da, tra gli altri, David B.e Lewis Trondheim, strutturata come una vera associazione di autori. Ha contribuito a far conoscere veri e propri talenti come Joann Sfar e Marjane Satrapi : http://fr.wikipedia.org/wiki/L%27Association