Huntrix

KPop Demon Hunters e la crisi della Pixar

1 Ottobre 2025
"Elio" e "KPop Demon Hunters" rivelano la profonda crisi artistica della Pixar e mettono in luce l’animazione di Sony Pictures Animation, visivamente innovativa.
Leggi in 5 minuti

Un bambino con un trauma passato che viene rapito dagli alieni e impara ad accettare sé stesso e chi gli vuole bene contro un trio K-pop sotto copertura che caccia i demoni con il potere delle canzoni.
Questi due film e la loro ricezione presso il pubblico descrivono perfettamente la situazione attuale dell’animazione, definendo la Sony Pictures Animation come uno degli studi che la interpretano al meglio e al contempo rivelando la crisi artistica della Pixar.

Elio: La stagnazione creativa di Pixar

La nuova IP targata Pixar, che pure prometteva bene dai trailer, prosegue la stagnazione creativa dello studio californiano, ripiegato da tempo sulle tematiche che lo hanno reso celebre e su un’estetica fotorealistica negli sfondi e pupazzosa con gli umani. Il film racconta la storia di un bambino rimasto orfano e affascinato dallo spazio che viene rapito dagli alieni e scambiato per l’ambasciatore della Terra.
Il grande problema di Elio è proprio la mancanza di un’identità visiva che nasca da un concept narrativamente solido e che sia in grado di catturare il pubblico.
Il vero segreto dietro il successo dei film Pixar infatti non è mai stato la continua riproposizione delle tematiche familiari e di formazione, ma il modo in cui ogni film esplorava estetiche diverse e assolutamente eccezionali per raccontare storie uniche che sembravano poter prendere vita solo grazie alla magia dell’animazione.

Elio invece, sulla stessa scia del poco ispirato Luca, oltre a raccontare una storia dai risvolti prevedibili e piuttosto banali, non riesce a dare vita a un immaginario vitale all’altezza dei vecchi capolavori dello studio.
La cucina e la Parigi di Ratatouille, le emozioni interiori di Inside Out, il mondo dei mostri di Monsters & Co, I giocattoli che prendono vita in Toy Story: la Pixar ha sempre creato degli universi iconici e meravigliosi prima ancora di ambientare in essi delle grandi storie.
Fin dallo stesso titolo Elio sembra la copia di Luca ma ambientata in un universo ancora più generico e scontato, quello di uno spazio coloratissimo e pieno di specie aliene dal character design visto e rivisto, che non riesce a incidere su un pubblico fin troppo abituato a questo stile.

Riguardando le ultime pellicole prodotte dalla Pixar, si nota infatti come l’unico vero successo sia il sequel di Inside Out che si fonda su un immaginario già fortemente consolidato nella mente e nel cuore degli spettatori.
Al contrario quello di Elio sembra invece il paradigma di una nuova Pixar, incapace di prendere definitivamente le distanze dalle vecchie opere, ma allo stesso tempo di replicarne il successo. Lightyear, il blando spin-off di Toy Story, e Onward, entrambi flop economici dello studio rilasciati negli ultimi cinque anni (a cui ora si aggiunge Elio), ma anche Elemental che ha fatto decisamente meglio al botteghino, non raggiungono le vette artistiche del passato e anzi mostrano notevoli incertezze soprattutto a livello di scrittura. Su Metacritic, piattaforma di riferimento che raccoglie recensioni professionali e del pubblico, l’accoglienza delle ultime opere Pixar è quasi sempre sufficiente o discreta ma mai all’altezza del passato dello studio.

Il marketing blando e la tempestiva accusa al pubblico sullo scarso supporto alle nuove proprietà intellettuali testimoniano come la stessa Disney stia progressivamente perdendo fiducia nella Pixar. Elio infatti è stato quasi un flop annunciato, anche se nessuno si aspettava un fallimento commerciale di tali proporzioni: la pellicola ha incassato poco più di centocinquanta milioni a fronte di un budget di circa trecento, rivelando la difficoltà della Pixar di creare nuove opere originali che facciano presa sul pubblico.

KPop Demon Hunters: la forte identità visiva di Sony 

A pochi giorni dall’uscita di Elio nelle sale, un altro film ha invece cavalcato l’onda del successo, godendo di apprezzamenti tanto di critica quanto di pubblico.
KPop Demon Hunters, ben lungi dall’essere un capolavoro, dimostra però quanto la linea editoriale di studi come Sony Pictures Animation ma anche Dreamworks sia anni luce più avanti dello stantio immaginario disneyano.

La storia segue le vicende di un gruppo di idol coreane, Rumi, Mira e Zoey, che combattono segretamente demoni malvagi intenzionati a invadere il mondo con il potere delle loro canzoni, che potrebbero sigillarli una volta per tutte.
Il film dispone di tutti gli elementi che hanno contribuito al successo delle ultime opere dello studio: a differenza di Disney infatti Sony non ha alcuna paura a ibridare la sua animazione con stili e tecniche diverse e lo ha dimostrato fin dai tempi di Spider-Man: Into the Spider-Verse, vero spartiacque nella storia dell’animazione contemporanea. Ne sono la dimostrazione due tra i film artisticamente più ispirati prodotti dallo studio negli ultimi anni: I Mitchell contro le macchine e Spider-Man: Across the Spider-Verse.

Nel primo, attraverso un ulteriore livello visivo (la cosiddetta Katie-Vision), percepiamo il mondo come fosse il diario animato della protagonista, che riempie ogni scena con sticker, frasi scritte a mano e disegni che mostrano il suo mondo interiore e interpretano soggettivamente gli eventi della storia. Nel secondo invece, che porta a un altro livello il gioco fumettistico del primo capitolo, sfondi, animazioni ed estetiche cambiano non solo nella rappresentazione di ogni universo, ma anche nel raffigurare e amplificare le emozioni che i personaggi stanno vivendo, come accade in una delle scene più significative che coinvolge Gwen e il padre poliziotto.
Lo stile visivo di KPop Demon Hunters ha una fortissima identità estetica che si esprime attraverso un’animazione 3D lontana dal fotorealismo degli sfondi Pixar e che anzi attinge sia dalla cultura anime, soprattutto nei momenti comici, che dall’animazione 2D occidentale, di cui la Sony si serve ormai da anni per intensificare l’espressività del proprio immaginario a schermo e che invece la Disney sembra aver dimenticato.

La struttura narrativa di fondo rimane delle più classiche, ma viene raccontata con un linguaggio culturale contemporaneo e diffuso, quello del fenomeno K-pop.
I videoclip musicali, le reazioni dei fan online, le perfomance dei concerti, le canzoni, l’estetica e la vita da idol uniti a una narrazione fantasy basica ma piuttosto funzionale costruiscono stilemi visivi e narrativi molto più vicini al pubblico di oggi, che si aspetta dall’animazione più potenza espressiva che perfezione realistica.
Le eroine protagoniste traggono forza proprio dalla semplicità e dalla potenza espressiva di questo linguaggio da popstar, senza mai scadere nel girl power fasullo in cui avrebbero rischiato di incappare viste le premesse della trama.
Lo stile visivo non è da meno ed è per questo che non punta al realismo ma anzi accompagna l’impatto culturale ricercato dal film.
Le Huntrix (così si chiama il gruppo di idol protagonista) hanno un proprio profilo su Spotify che conta attualmente ben quarantanove milioni di ascoltatori e a oggi il film è il più visto di sempre su Netflix.
A conti fatti questo tipo di film non tocca le vette emozionali della Pixar degli anni Duemila che oggi Disney tenta in tutti i modi di riprodurre senza successo, ma sposa perfettamente il nuovo trend dell’animazione che punta più ad impreziosire il racconto attraverso una messinscena dalla forte identità, che si fa vera e propria esperienza visiva.

Abbiamo parlato di:
Elio
Regia di Adrian Molina, Domee Shi e Madeline Sharafian
Sceneggiatura di Julia Cho, Mark Hammer e Mike Jones
Pixar Animation Studios
Animazione, 99 minuti

KPop Demon Hunters
Regia di Maggie Kang e Chris Appelhans
Sceneggiatura di Danya Jimenez, Hannah McMechan, Maggie Kang e Chris Appelans
Sony Pictures Animation
Animazione, 95 minuti

Commenta:

Your email address will not be published.