Nel corso della sua storia ultracentenaria, l’industria cinematografica è stata in grado di offrire un’immensa varietà di opere di diverso valore, alcune delle quali divenute, per vari motivi, dei veri e propri punti di riferimento per l’intero medium; lungometraggi in grado di settare dei nuovi paradigmi per uno specifico genere o per uno specifico modo di fare cinema.
Il 25 dicembre 2018 è uscito nelle sale italiane Spider-Man: Un Nuovo Universo (Into the Spider-Verse, il titolo originale), film d’animazione distribuito da Sony Pictures e diretto da Bob Persichetti, Peter Ramsey e Rodney Rothman che è riuscito a fare esattamente questo.
La storia segue le vicende di Miles Morales, adolescente di Brooklyn originariamente concepito da Brian Michael Bendis e creato graficamente da Sara Pichelli (entrambi, in ruoli diversi, coinvolti nella realizzazione della pellicola) per la serie a fumetti Ultimate Spider-Man che, proprio come la sua controparte cartacea, si ritrova investito del pesante fardello di dover vestire i panni dell’Arrampicamuri dopo la prematura scomparsa di Peter Parker. Non è però da solo in quest’impresa. Infatti, in seguito alla degenerazione di un esperimento multidimensionale finanziato da Kingpin, boss della criminalità e acerrimo nemico di Spider-Man, fanno la loro comparsa altre cinque versioni alternative dell’eroe in calzamaglia, provenienti da altrettante realtà parallele, che ora devono lavorare insieme per fermare i piani del cattivone e tornare ai rispettivi mondi d’origine.
La ragione fondamentale che determina la bontà del film è che, a livello di fruizione, appare estremamente stratificato. Ciò vuol dire che si articola su più livelli e contiene al suo interno elementi che ogni tipologia di spettatori, indipendentemente dall’età, è in grado recepire e apprezzare. Inutile dire che quando un prodotto di intrattenimento si dimostra capace di rivolgersi a una così ampia fetta di pubblico, questo è segno di una scrittura intelligente. Non a caso la sceneggiatura è stata curata da Phil Lord (coadiuvato da Rodney Rothman), già apprezzato nel recente passato per il suo lavoro con The LEGO Movie, dov’era anche regista insieme a Christopher Miller (anche quest’ultimo coinvolto in Into the Spider-Verse in veste di produttore).
Il primo livello di fruizione, quello più immediatamente decodificabile e che fa sicuramente la felicità dei più piccoli, è ovviamente quello dell’azione e dell’umorismo. Quelle che si ritrovano rappresentate su schermo sono scene d’azione molto “cartoonose”, sopra le righe, volutamente inverosimili nel loro essere esageratamente dinamiche e proprio per questo decisamente divertenti da seguire. Sono oltretutto supportate da un impianto registico di tutto rispetto, laddove la macchina da presa virtuale riesce a seguire le ipercinetiche movenze dei personaggi con virtuosismi in grado di farle risultare coinvolgenti e perfettamente comprensibili.
Per quanto riguarda l’umorismo, poi, questo viene gestito con oculatezza nel corso della pellicola: semplice ma non infantile e dosato in modo da non risultare invasivo. Ad accattivare i giovanissimi ci pensa certamente anche il comparto artistico, coloratissimo e brioso, ma questo è un punto su cui ci sarà modo di tornare a parlare più nel dettaglio in seguito.
Gli spettatori più grandicelli possono inoltre godere appieno della profondità offerta dalla scrittura del film. Siamo di fronte a un classico racconto di formazione, col giovane protagonista che si trova a dover compiere un processo di maturazione, accettando i suoi nuovi poteri e le responsabilità che essi comportano, e nel quale non manca di venir esplorato il tema del conflitto generazionale.
A conti fatti si tratta di un impianto narrativo abbastanza canonico nell’ambito della narrativa per ragazzi ma che qui viene sviscerato in maniera non banale, grazie all’inserimento di più figure paterne con le quali Miles si ritrova a rapportarsi (essenzialmente il padre poliziotto, lo zio e uno dei Peter Parker alternativi). Nessuna di queste figure è un modello perfetto e infallibile ma sono tutte dotate di proprie contraddizioni e manchevolezze, andando a incarnare, ognuna a suo modo, differenti sfaccettature della genitorialità. Si tratta insomma di un complesso di relazioni interpersonali credibile e davvero ben gestito.
Anche tutti gli altri personaggi, comunque, godono di un’attenzione lodevole in termini di caratterizzazione. Dalla parte dei buoni spiccano senza dubbio i vari Uomini Ragno provenienti da realtà alternative, ciascuno dotato di una delineazione caratteriale riconoscibilissima, finanche macchiettistica, e in grado di suscitare simpatia fin dalla loro prima apparizione.
Sul versante dei cattivi la parte del leone la fa Wilson Fisk, il cui design è peraltro ispirato alla versione che Bill Sienkiewicz ne diede in Devil: Amore e Guerra di Frank Miller, che viene tratteggiato in maniera efficace sotto il profilo psicologico, facendolo apparire come un villain umano, le cui azioni sono dettate da motivazioni comprensibili e con le quali si riesce in una certa misura a empatizzare. Più che soddisfacente anche la resa su schermo dei suoi due sottoposti principali, la versione femminile di Doc Oc e Prowler, quest’ultimo in particolare legato a un colpo di scena ben orchestrato.
Tra gli altri punti a favore della sceneggiatura va detto che essa è contraddistinta da un’ottima gestione del ritmo, laddove le sequenze action e quelle più introspettive si alternano con una cadenza sufficientemente lesta da scongiurare il rischio di annoiarsi. Inoltre, da un punto di vista più prettamente contenutistico, le va riconosciuto il merito di riuscire a esplorare in maniera estremamente chiara il concetto di multiverso, rendendolo digeribile anche a un pubblico, quello delle pellicole supereroistiche, in larga parte non avvezzo alla lettura dei fumetti.
Beninteso, non che sia una novità in senso assoluto all’infuori del medium d’origine; dopotutto le serie televisive CW della DC Comics sono anni che hanno sdoganato il tema delle realtà parallele a un pubblico di massa. Tuttavia in ambito cinematografico si tratta comunque di un espediente narrativo ancora abbastanza inedito.
E si arriva infine al vero punto focale della produzione, l’eccellenza nella quale trova piena giustificazione l’audace affermazione con cui si è aperta questa recensione: il comparto estetico.
Viviamo in un periodo storico in cui, tanto nell’animazione quanto in ogni altro campo dell’intrattenimento o più in generale della creatività, quasi ogni cosa che si poteva dire è già stata detta e innovare diventa sempre più difficile, per non dire impossibile, in determinati ambiti. Occorre quindi trovare nuove forme di innovazione, modi per tramutare ciò che è già noto in qualcosa di unico, e la strada più promettente, nonché più intuitiva, per giungere a questo risultato è quella dell’ibridazione. Ed è proprio questo l’approccio che i registi decidono di adottare per Spider-Man: Un Nuovo Universo. Nel caso specifico l’ibridazione avviene poi attraverso non una ma ben due modalità.
In primo luogo si ha una commistione di tecniche e stili. Infatti, su una base di CGI, dotata di una particolare direzione artistica che a tratti richiama alla mente la stop motion (effetto ottenuto anche grazie all’espediente di ridurre leggermente i frame al secondo), si vanno a innestare inserti realizzati con tecnica di animazione tradizionale. In questi trovano a loro volta posto vari stili differenti che coesistono fianco a fianco (dal cartoon tradizionale americano all’anime giapponese), in corrispondenza delle scene che prevedono la presenza di tutti gli Spider-Man (ognuno realizzato visivamente con un proprio stile ben distinto).
La cosa sorprendente è l’incredibile fluidità con cui questa varietà estetica è stata costruita, una disinvoltura d’esecuzione che denota una grandissima padronanza del mezzo. Per questo motivo il risultato complessivo non è affatto quello di una cacofonia visiva mal assortita (come probabilmente sarebbe successo se il progetto fosse stato affidato alle mani di creativi meno brillanti) ma al contrario risulta assolutamente armonioso e coerente per l’occhio dello spettatore.
In seconda istanza c’è un’ibridazione di linguaggi, tra quello cinematografico e quello fumettistico. Ciò avviene tramite l’inserimento di elementi atti a riprodurre sullo schermo e in forma dinamica l’esperienza della lettura di un albo a fumetti, tra i quali si fanno notare il costante uso di retini, il frequente impiego di didascalie e onomatopee, l’effetto “pagina girata” per il cambio delle scene. Anche in questo caso l’implementazione di tali elementi avviene in modo estremamente organico e, anche se l’impatto iniziale più risultare un tantino spiazzante (soprattutto per i succitati retini), basta poco per venire risucchiati nel vortice di un impianto artistico tanto eclettico quanto coinvolgente.
Tutto questo, in definitiva, va a creare una composizione estetica semplicemente straordinaria. Spider-Man: Un Nuovo Universo è un film che ha il coraggio di osare; un film che prende i canoni ormai consolidati dell’animazione, li rielabora e li proietta verso nuove vette creative. Per quanto possa suonare come un’affermazione azzardata, è opinione di chi scrive che questo film si ponga come il nuovo termine di paragone con cui, d’ora in poi, chiunque voglia intraprendere la strada della sperimentazione, nell’ambito dell’animazione, dovrà confrontarsi.
Se poi aggiungiamo che può contare anche su una colonna sonora decisamente apprezzabile, nella quale sono annoverati diversi brani hip-hop molto orecchiabili ed efficaci nello scandire il ritmo della narrazione, appare chiaro che si tratta di una delle migliori trasposizioni supereroistiche nel campo del cinema d’animazione.
Abbiamo parlato di:
Spider-Man: Un Nuovo Universo
Sony Pictures
Regia: Bob Persichetti, Peter Ramsey e Rodney Rothman
Storia e sceneggiatura: Phil Lord e Rodney Rothman
Animazione 2018, 117 minuti