Joker: raddoppiata la follia ma dimezzato l’impegno

Joker: raddoppiata la follia ma dimezzato l’impegno

Il sequel dell'apprezzato film del 2019 ammalia con un'estetica ricercata ma sprofonda in ogni altro ambito.
Qwert

Il primo film dedicato alla nemesi del Cavaliere Oscuro, uscito nel 2019, si era rivelato una sorpresa inaspettata. Infatti erano in molti ad avanzare dubbi in merito al fatto che un film sulla nemesi di Batman ma senza Batman fosse in grado di reggersi sulle proprie gambe. Invece il regista Todd Phillips era riuscito a confezionare un prodotto pregevole che, sebbene peccasse un po’ di didascalismo, sapeva coinvolgere lo spettatore con notevole efficacia.
Al che, Warner Bros. avrebbe potuto fermarsi qui. Avrebbe potuto lasciare che Joker rimanesse un unicum, ricordato e apprezzato come uno dei cinefumetti più validi dei suoi anni. Avrebbe potuto lasciare che Todd Phillips conservasse intatta la propria reputazione. Invece, i dirigenti dello studio di produzione hanno deciso che un tale successo di pubblico e critica dovesse avere un sequel e così, cinque anni più tardi, le sale cinematografiche accolgono Joker: Folie à Deux. Ed è una cocente delusione.

Innanzitutto il film fallisce in quello che era uno dei maggiori punti di forza del predecessore: delineare un protagonista convincente.
Uno dei modi più efficaci per creare empatia con un personaggio è quello di presentarlo come un “cane bastonato”, dipingerlo cioè come un emarginato e renderlo costantemente vittima di disgrazie e soprusi. Assicurandosi al contempo che tali disgrazie appaiano sempre come assolutamente immeritate. Per intenderci, uno dei motivi per cui Spider-Man 2 di Sam Raimi è considerato uno dei migliori film di supereroi mai fatti è anche questo. Peter riesce a generare una forte empatia da patte del pubblico perché, nonostante il suo intento sia solamente quello di fare del bene, la difficoltà nel gestire la sua doppia vita lo ha portato a incrinare le relazioni con le persone che ama e a venire ingiustamente tartassato da continue difficoltà nel quotidiano.
Allo stesso modo, Joker applicava questo principio alla perfezione. Arthur veniva presentato come un reietto della società a causa dei suoi disturbi mentali e, benché cercasse solamente di tirare a campare, diventava continuamente oggetto di angherie e ingiustizie da parte pressoché di chiunque. Era una caratterizzazione molto sentita, che rendeva la sua progressiva discesa nella psicosi un processo estremamente coerente e, per l’appunto, riusciva a generare una forte empatia da parte degli spettatori. Empatia che permaneva anche a fronte delle azioni deprecabili che il protagonista arrivava a compiere nel corso del film ed era proprio questa dissonanza cognitiva il risvolto più accattivante.

In Folie à Deux tutto ciò va quasi completamente a perdersi. È vero, hanno tentato di ricreare l’effetto “cane bastonato” esplorando il tema della brutalità nelle carceri, però il risultato è molto meno d’impatto. Il fatto è che a questo punto Arthur viene già percepito come un personaggio negativo e quindi, per quanto uno spettatore possa riconoscere un’ingiustizia in ciò che è costretto a subire, sono proprio le basi da cui partire per generare empatia a essere deboli.
Se non altro Joaquin Phoenix, così come nel film precedente, fornisce un’altra ottima prova attoriale, riuscendo a trasmettere un’incredibile espressività anche solo attraverso la gestualità e il linguaggio non verbale.

Joker 2

Se il protagonista non riesce a lasciare il segno, la situazione è ancor meno rosea per la co-protagonista, la Harleeen Quinzel interpretata da Lady Gaga. Qui il problema è che il personaggio viene descritto unicamente a parole. Ne vengono spese numerose per raccontare il suo background ma non viene mai fornito alcun riferimento visivo che lo renda concreto e credibile agli occhi del pubblico. Non è presente alcun flashback che ne esplori il passato, né viene mai mostrato alcuno stralcio della sua vita al di fuori del manicomio e del rapporto con Arthur che possa arricchire il personaggio di nuove sfaccettature o approfondirne le motivazioni. Ciò, in definitiva, fa apparire questa Harley Quinn come un personaggio vacuo, che fatica a coinvolgere lo spettatore e che, anzi, lascia la sensazione di avere ben poco da raccontare.
Bisogna inoltre ammettere che anche l’interpretazione fornita da Lady Gaga si attesta su livelli abbastanza anonimi. Non che sia una pessima attrice in generale, come testimoniato dalla dignitosa prova data in A Star is Born, ma probabilmente in questo caso il materiale su cui lavorare offriva pochi stimoli già in partenza.

Non è però solo col personaggio di Harley Quinn che il regista contravviene alla regola “show, don’t tell” e questa problematica si estende anche a tutto il resto. In effetti non è esagerato dire che Joker: Folie à Deux sia un film fatto prevalentemente di parole, che si regge quasi esclusivamente su queste e che raramente offre riferimenti visivi a supporto di suddette parole. Un esempio è l’influenza che Arthur esercita sulla società e i vari movimenti di protesta nati a seguito delle sue azioni che lo considerano un simbolo da idolatrare. Di nuovo, il film del 2019 gestiva questo aspetto con grande competenza, non perdendo occasione di mostrare nel concreto il crescente proliferare di individui ispirati da Joker, le loro azioni e le conseguenze che queste avevano sulla città. Tutto ciò veniva mostrato, non solamente detto, e quindi appariva credibile.
Nel sequel, invece, viene continuamente ribadito che c’è grande fermento per le strade e che la situazione dei seguaci di Joker rischia di andare fuori controllo ma tutto ciò che viene mostrato per corroborare tali affermazioni si riduce a massimo due secondi di gente che protesta con le maschere da clown, agitando dei cartelli. Di conseguenza la ventilata prospettiva di una rivolta sociale finisce per perdere consistenza.
Non sarebbe nemmeno una mancanza così significativa se questa tematica rimanesse sullo sfondo, se avesse un’importanza secondaria all’interno della narrazione, laddove il film si concentrasse nel raccontare altro. Il problema è che l’insorgere di movimenti di protesta ispirati da Arthur è proprio il presupposto da cui scaturisce il colpo di scena verso la fine del film, il quale non appare quindi come uno sviluppo coerente e organico ma come un banale deus ex machina.

Joker 3

Folie à Deux è poi un film sbagliato anche sul piano strutturale, a livello di costruzione drammaturgica, per così dire. Ciò lo si può notare da un dettaglio abbastanza curioso: non presenta una suddivisione in atti o, a essere generosi, questa è incredibilmente labile. Tipicamente una sceneggiatura prevede tre atti, tre unità narrative, laddove il passaggio da una all’altra è rappresentato da un punto di svolta che comporta un qualche significativo mutamento dello status quo all’interno della storia. Questa è la struttura fondamentale, universalmente condivisa, su cui si basa da sempre tutta la narrativa.
In questo caso, invece, tale suddivisione non si percepisce e questo perché il film stesso, preso nel suo complesso, sembra a tutti gli effetti un grosso incipit di una storia che però viene troncata sul nascere. Per dirlo in altro modo, il film racconta in due ore e mezza ciò che una sceneggiatura scritta con cognizione di causa relegherebbe al solo primo atto, per poi far evolvere la narrazione. Peccato che quando finalmente si arriva al primo, vero punto di svolta (il sopracitato colpo di scena) il regista tiri le fila della storia in fretta e furia e la porti a conclusione nel giro di dieci minuti.
Un tale approccio ha come diretta conseguenza quella di dilatare eccessivamente i tempi della narrazione, oltre a lasciare in chi guarda la sensazione che il film giri costantemente su sé stesso senza arrivare realmente da nessuna parte.

La peculiarità forse più inaspettata di Joker: Folie à Deux, quella che maggiormente lo fa differire dal predecessore, è poi l’essere un musical, con un buon numero di canzoni che scandiscono l’incedere della storia. Spiace constatare che anche sotto questo aspetto il film manca totalmente il bersaglio. Le varie melodie sono talmente poco ispirate che, a lungo andare, finiscono per confondersi le une con le altre nella testa degli spettatori. Ne consegue che questi siparietti canori, lungi dall’essere anche solo lontanamente intrattenenti, diventano ben presto dei tediosi intermezzi utili solo a rallentare ulteriormente un ritmo già flemmatico.

È apprezzabile, se non altro, l’intento di approfondire il tema della malattia mentale e tutto ciò che le ruota attorno in un prodotto di questo tipo, dagli alti valori produttivi e che si rivolge a un pubblico mainstream. Purtroppo però anche in questo frangente Folie à Deux si dimostra ben poco incisivo e questo perché una realizzazione complessiva tanto approssimativa ha come unico effetto quello di svilire il messaggio che si vuole mandare, indipendentemente da quanto nobile esso sia. In questo senso, il film del 2019 riusciva a sensibilizzare sulla medesima tematica con un’efficacia decisamente maggiore.

C’è poi chi ha visto nel lavoro di Todd Phillips anche la volontà di portare avanti un discorso meta-cinematografico, volto a decostruire quanto fatto col precedente film e a destabilizzare gli spettatori, sovvertendone le aspettative. Per quanto questa sia un’interpretazione suggestiva, va incontro al medesimo problema evidenziato poc’anzi: non importa quanto stimolante sia il messaggio che si intende veicolare, esso verrà inevitabilmente depotenziato se inserito all’interno di un prodotto claudicante che non riesce a valorizzarlo.

Joker 1

In effetti c’è una componente del film che può dirsi riuscita ed è quella tecnica. La regia, pur generalmente abbastanza canonica, ha comunque qualche buona intuizione (ci sono ad esempio un paio di piani sequenza davvero ben fatti). Soprattutto però il regista dimostra un gusto estetico per nulla banale, nella composizione dell’immagine così come nell’accostamento dei cromatismi. Più in generale, la fotografia riesce a regalare un colpo d’occhio a dir poco accattivante.

Il nocciolo di questa impietosa analisi, se non fosse ancora sufficientemente chiaro, è che Joker: Folie à Deux non è un bel film. Brilla nel comparto estetico, questo è vero, ma crolla rovinosamente in ogni altra sua componente. Terminata la visione, appare palese che il regista avesse esaurito tutto quello che aveva da dire sul personaggio di Arthur Fleck già col primo film e che si sia prestato alla realizzazione di questo secondo capitolo nella mera speranza di capitalizzare sull’onda lunga del successo del predecessore. Speranza malriposta, a giudicare dai disastrosi risultati al box office. Tutto considerato, un vero peccato.

Abbiamo parlato di:
Joker: Folie à Deux
Regia di Todd Phillips
Storia di Scott Silver e Todd Phillips
Con Joaquin Phoenix e Lady Gaga
Warner Bros., 2024
Live action, 138 minuti

1 Commento

1 Commento

  1. Giancarlo Savalli

    13 Novembre 2024 a 14:45

    Per uscire dai propri fantasmi occorre l’amore vissuto come un musical. Per uscire da una realtà che non piace, in cui non si vede nessuna via d’uscita di può pensare che occorrano degli idoli violenti o anarchici: mutare il Joker della realtà in un idolo è un passo breve per chi non sa amare! La folla ha scelto l’anarchico Joker di Nolan. I ragazzini del mondo reale mettono più magliette con l’immagine del Joker che con l’immagine di Batman. Il film è stato capito ed è piaciuto a chi conosce le canzoni da musical cantate nel film (in genere, naturalmente, non fra i giovani).

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