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    Intervista a Scott McCloud: alla scoperta de “Lo scultore”

    In occasione del suo tour italiano abbiamo intervistato Scott McCloud su "Lo scultore", il suo ultimo graphic novel edito da Bao Publishing.

    Scott McCloud (Boston, 10 giugno 1960) è una fumettista e teorico del fumetto americano che ha scritto, disegnato e analizzato fumetti sin dal 1984. McCloud ha realizzato la serie fantascientifica-supereroistica Zot! nel 1984 e Destroy nel 1986. Conosciuto principalmente per le sue opere teoriche, scrive la prima di esse nel 1993 e la intitola Capire il fumetto, ponendosi il compito di definire e esplorare storia, vocabolario e metodologia dei fumetti. Il volume, realizzato sotto forma di fumetto, è stato tradotto in sedici lingue e ha vinto  Eisner e Harvey Awards, il Prix de la critique di Angoulême e uno dei Notable Book of New York Times. Tra il 1996 e il 1997 scrive Superman Adventures per  DC Comics, mentre nel 1998 disegna il graphic novel Le nuove avventure di Abraham Lincoln (realizzato con una tecnica che utilizza un mix di computer grafica e disegno in digitale). Nel 2000 pubblica Reinventare il Fumetto, in cui analizza le dodici “rivoluzioni” alla chiave del successo dei fumetti popolari, e nel 2001 Fare il fumetto. Ha creato il fumetto che ha introdotto alla stampa il browser di Google, Google Chrome, pubblicato nel 2008. Lo scorso anno è stato uno degli ospiti di The Cartoonist, un documentario sulla vita e il lavoro di Jeff Smith. Lo scultore, suo nuovo grahic novel pubblicato in Italia nel 2015 da Bao Publishing è stato presentato durante un tour italiano che ha visto l’autore parlare della sua opera a Milano, Roma, Bologna e Torino. Il suo sito internet è scottmccloud.com

    Noi de Lo Spazio Bianco abbiamo incontrato l’autore a Milano e ci siamo fatti raccontare qualcosa sul suo nuovo libro, da poco uscito in Italia, e sul suo attuale approccio all’arte sequenziale.

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    Quanto e come ti sei documentato su New York e sul modo in cui le gallerie d’arte si comportano nei confronti dei giovani artisti? Conosci l’ambiente personalmente o hai avuto bisogno di documentazione?
    Ho fatto molte ricerche su New York quando ho iniziato il progetto. Ho compiuto molti viaggi a New York perchè non abitavo lì all’epoca. Ho abitato a New York quando avevo circa vent’anni, ma quando ho iniziato a lavorare al libro ero già in California, quindi ho dovuto prendere parecchi voli. Penso di aver scattato almeno diecimila foto della città, durante questi viaggi. Ho parlato con molte persone riguardo alla vita di Manhattan e Brooklyn e ho fatto anche interviste sull’ambiente delle gallerie d’arte. La mia ricerca non è stata altrettanto intensa per le gallerie d’arte, i musei e gli artisti di New York semplicemente perchè il mio artista rimane un outsider, non riesce a inserirsi nuovamente nella scena. La vede da fuori. Di conseguenza la storia si occupa meno di quell’ambito, ma era importante cercare di capire la vita a New York e di rappresentare New York in quanto paesaggio di architettura e paesaggio di persone. Molte delle mie foto erano di passanti, di persone che vivono a New York, e mi sono impegnato a mostrare l’individualità delle persone che camminavano per strada. Quando osservi i personaggi che passano, anche solo per una vignetta, volevo farti pensare che quei personaggi si sentono nella loro storia, loro sono i protagonisti e tutti gli altri sono comprimari.

    Nella postfazione ci racconti di quanto Meg, la protagonista femminile, somigli a tua moglie. Quanto di autobiografico c’è ne Lo scultore?
    Be’, c’è un po’ di me in David, c’è molto di Ivy in Meg. Forse Meg è Ivy per due terzi. Sapevo che parte della storia era autobiografica, mentre lavoravo. Per esempio, Ivy ha avuto una lotta simile contro la depressione, di cui ha parlato pubblicamente. Quando Meg è depressa, quando è triste, parla in un modo che mi ricorda quello di Ivy. Alcune frasi vengono direttamente dalle nostre vite, quando mi sono avvicinato per la prima volta a Ivy, mi ha detto: “Potrei cercare di allontanarti, non permettermelo, okay?”. Le stesse, identiche parole. Parte della storia viene dalle nostre vite. In altri momenti è più sottile e ci sono alcune cose che non ho riconosciuto come autobiografiche fin quando non ho concluso il libro e la gente ha iniziato a chiedermelo nelle interviste. Allora, improvvisamente, ho capito: “Oh, c’erano anche altre cose che non ho proprio notato!”. Come David, che è solo e isolato all’inizio della storia e Meg scende volando verso di lui, salvandolo sotto diversi aspetti – da se stesso – e trascinandolo di nuovo verso l’umanità. Quando avevo l’età di David, stavo diventando molto solitario anche io: stavo per conto mio, non avevo molti amici, non uscivo… e Ivy entrò nella mia vita salvandomi allo stesso modo, ma di questo non mi ero accorto. Questa parte, questa somiglianza, non l’ho notata se non dopo aver concluso il libro, quando la gente ha iniziato a parlarne.

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    Dal tuo lavoro si percepisce fortemente quanto tu voglia sottolineare che l’uomo non è immortale e che se si cerca troppo di raggiungere quell’immortalità falsa producendo arte, alla fine si perde solo del tempo. Che consiglio daresti ora a un giovane determinato e volenteroso come il protagonista della tua graphic novel?
    L’equilibrio tra arte e vita, è questo ciò di cui parla la mia storia. Non sono affidabile in quanto a opinioni sulla vita eterna perchè credo solo in questa vita, non sono religioso, sono ateo. Questo patto, in quanto patto con la Morte, è diverso da, ad esempio, la leggenda di Faust: quando è un patto col Diavolo, più ti avvicini alla morte, più la vita ultraterrena cresce, acquisisce importanza. Ma se è un patto solo con la Morte e non c’è un aldilà, più ti avvicini alla morte, più cresce ogni minuto della tua vita, più diventa importante la vita che vivi adesso. Questa è la storia che volevo raccontare. In realtà è, in un certo senso, una storia solo sulla vita, su come trascorriamo la vita, come trascorriamo i nostri minuti. Il mio personaggio ha 200 giorni da vivere. Ha un limite alla sua vita. Pensiamo che è una situazione diversa rispetto ad altri artisti, è diversa rispetto a noi, i lettori. Ma non lo è, perchè tutti noi abbiamo un numero limitato di giorni. É solo che non sappiamo a quale sia quel numero. Lui sa che sono 200 giorni. Noi non ne abbiamo la più pallida idea. Quindi tutti gli artisti fanno quella scelta, tutti gli artisti scambiano i loro giorni, spendono i loro giorni, con e per l’arte. Semplicemente, non sanno quanti giorni hanno. Danno un’occhiata al loro conto in banca e tirano fuori i loro giorni, ma non sanno quanti ne restano. Tutto quello che sanno è che vale la pena spendere i loro giorni per l’arte, quindi lo fanno. Quella è la storia.

    Dopo tanti anni dai tuoi volumi sul fare fumetti, sei ancora interessato al lato teorico della cosa,  a determinare cosa sia fumetto? É cambiato il tuo approccio in questo senso?
    Ho provato a fare molte cose diverse nell’arco della mia carriera. Ogni progetto è diverso dal precedente. Tornerò a fare saggistica, tornerò a fare fumetti che spiegano, come ho fatto prima, ma non saranno come gli altri. Il mio prossimo progetto sarà un fumetto non-fiction sulla comunicazione e sull’apprendimento visivo, sul modo in cui impariamo attraverso la vista. Mi occuperò di molti tipi diversi di comunicazione visiva, come infografiche, data visualization, programmi per presentazioni come Powerpoint, anche espressioni facciali e linguaggio del corpo. Tutte queste cose, per me, hanno principi comuni che voglio esplorare in una nuova forma fumettistica, nei fumetti, attraverso i fumetti. In questo senso, sembrerà “Capire il fumetto”, ma non avrà “fumetto” nel titolo (ride).

    In collaborazione con Lisa Maya Quaianni Manuzzato.
    Foto di Lisa Maya Quaianni Manuzzato.
    Traduzione di Alessandra Cognetta.
    Intervista tenutasi dal vivo a Milano, il 26 aprile 2015.

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