Intervista a Emiliano Longobardi, creatore del webcomic “Rusty Dogs” (seconda parte)

Intervista a Emiliano Longobardi, creatore del webcomic “Rusty Dogs” (seconda parte)

Abbiamo intervistato Emiliano Longobardi, autore di uno tra i più apprezzati webcomic italiani di sempre. Qui vi presentiamo la seconda parte di questa lunga chiacchierata: la fine di “Rusty Dogs”, il suo futuro, opinioni sul mondo dei webcomic, riflessioni sul panorama fumettistico nazionale, consigli per i lettori.

Emo2Emiliano Longobardi classe 1972, sardo, di Sassari, libraio di professione dal 1991. Ha esordito nel mondo del fumetto nel 1998 con Xiola – Primo sangue (Liberty Editore, co-sceneggiato con Antonio Solinas e disegnato da Werther Dell’Edera). Dopo una parentesi di sette anni dedicata alla critica su due magazine on-line da lui co-creati (Rorschach e Comics Code), ha ripreso a scrivere fumetti. Ha pubblicato tre storie brevi per Mono (Tunuè editore, disegni di Werther Dell’Edera, Elena Casagrande e Gianfranco Giardina), due capitoli di Killer Elite (Alessandro Bottero Edizioni, disegni di Andrea Del Campo e Gianfranco Giardina) e una storia su Donnell&Grace – Blue lights (IDEAcomics, disegni di Massimo Dall’Oglio). Nel novembre del 2009 pubblica online la prima storia di Rusty Dogs, dando inizio a un progetto di ampio respiro che vedrà la conclusione quest’anno. Nel progetto sono stati coinvolti alcuni dei migliori disegnatori del panorama nazionale.

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Rusty Dogs #37, disegni di Emanuele Gizzi. Bozza della prima tavola.

Rusty Dogs è vicino alla conclusione e personalmente credo che con la sua chiusura il webcomicdom italiano perderà uno dei suoi frutti migliori. Hai mai pensato a un’edizione cartacea o ad altri progetti legati alla serie?
Di progetti veri e propri non ce ne sono, anche se nel corso degli anni si è parlato di molte cose. Rusty Dogs è nato per stare su Internet e per avere lì la sua diffusione. Sarei un bugiardo se dicessi che non abbiamo mai pensato a un’edizione cartacea, però è un problema che non ci siamo posti finora in maniera concreta. All’inizio dicevo che avremmo valutato questa possibilità una volta arrivati a metà degli episodi: oggi siamo a quota trentotto pubblicati, ne mancano dodici alla chiusura e il problema continuiamo a porcelo nello stesso modo.
Se nessun editore è disponibile, sotto tutti i punti di vista, a sostenere economicamente la pubblicazione di Rusty Dogs, non è un problema: esiste anche l’autoproduzione. Però, ripeto, in termini concreti non ci sto ancora pensando: rimando tutto a quando finiremo di pubblicare le storie, tanto al cinquantesimo episodio su Internet ci dobbiamo arrivare, dato che non interromperei mai la pubblicazione digitale per passare a quella cartacea, sarebbe un errore imperdonabile.
Senza pensare al fatto che prima o dopo potrebbero esserci tante altre declinazioni del progetto: si potrebbe per esempio trovare nuova vita traducendo la serie in altre lingue.

Non è semplice oggi dire basta a un progetto, a un fumetto che funziona e dà soddisfazioni, vedi anche ciò che successo a Ortolani con Rat-man. Perché 50 episodi? Non ti è mai venuta in mente l’idea di farne di più?
Sì, mi è venuto in mente. All’inizio gli episodi dovevano essere trenta, poi sono diventati quaranta, poi quarantacinque e infine sono arrivati a cinquanta. I motivi sono svariati e in parte ne parlavamo prima: sia perché a me sono venute in mente altre storie sia perché si sono offerti tanti disegnatori ai quali non ho voluto dire di no, per bulimia, per golosità, per piacere personale, per gratificazione e perché a determinate persone non si può dire di no. Quando un autore come Giuseppe Palumbo ti dice che gli piacerebbe disegnare un episodio, considerato che lui è sempre stato uno dei miei autori italiani preferiti, uno di quelli che mi hanno aiutato a indirizzare il mio sguardo verso determinate direzioni e alternative, e considerato che io non avrei mai avuto il coraggio di chiederglielo, come puoi rifiutare?

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Rusty Dogs #29, disegni di Michele Petrucci. Bozza della seconda tavola (clicca per ingrandire)

Quali sono i “numeri” prodotti da Rusty Dogs e quali invece i feedback che avete ricevuto in questi anni da lettori e critica?
I numeri erano inizialmente parecchio incoraggianti, ma a causa della progressivamente sempre più incostante periodicità della pubblicazione degli episodi, si sono molto ridimensionati: da qualche migliaio siamo passati a poche centinaia. Pazienza, vedremo di riconquistarli tutti, a costo di spammare casa per casa. Per quanto riguarda i commenti, invece, sono felicissimo del fatto che finora i riscontri tanto di pubblico quanto di critica siano stati estremamente gratificanti e positivi. Mi fa piacere in particolare che Rusty Dogs abbia trovato l’attenzione e l’apprezzamento da parte di molte riviste che si occupano in senso lato di letteratura di genere, non specificamente di fumetti. E non nascondo che anche i tanti commenti positivi dei lettori siano un costante carburante per l’ego. Non faccio quello che tratta con sufficienza gli apprezzamenti che riceve: non mi piace blandire i lettori, ma se scrivo un fumetto è perché voglio che sia letto con la speranza che piaccia. Se non c’è pubblico, non c’è opera. Anche voler disturbare il pubblico, volerlo provocare, irretire, coinvolgerlo in un gioco “doloroso”, vuol dire trovare un pubblico, trovare una via perché l’opera si completi, altrimenti è come se uno dicesse che dal pubblico vuole indifferenza, ma allora ciò significherebbe non volere un pubblico e mi pare una gran cazzata. Il pubblico non è necessariamente composto da centordicimila persone, il pubblico è chiunque completi il percorso espressivo di un’opera.

Makkox_road-to-ferraraIn cinque anni è cambiato Internet e sono cambiati i webcomic, per popolarità ma anche per ciò che riguarda le possibilità legate al mezzo. Alla luce di questi cambiamenti, se tu dovessi ricominciare daccapo, cambieresti qualcosa in Rusty Dogs?
Non ci ho mai pensato, ma d’istinto ti direi di no perché da un punto di vista tecnico sono un totale ignorante: pensa che all’inizio non pubblicavamo gli episodi su Issuu, ma presentavamo quattro file jpeg da aprire uno dopo l’altro, approccio che dal punto di vista della leggibilità e della fruibilità dei tempi narrativi è una bestemmia assoluta, perché condizionava troppo il modo di leggere la storia.
Quindi come autore ti dico di no, ma come lettore sono molto curioso. L’intuizione avuta da Makkox con lo scrolling verticale ha detto tutto quello che ci poteva essere da dire in termini di fruibilità del fumetto per la definizione che io attribuisco al mezzo su Internet.
Se resta valida la definizione di fumetto data da Scott McCloud, “una successione di immagini e altre figure giustapposte in una deliberata sequenza con un determinato scopo”, tutto ciò che c’era da dire da un punto di vista tecnico è stato detto nei passati cento anni e più di recente l’ha detto Makkox per quel che riguarda Internet. Se invece iniziamo a parlare di animazioni, musica e quant’altro, allora stiamo parlando di un mezzo ibrido, nei confronti del quale non ho nessun tipo di resistenza ma anzi ho solo curiosità, che non mi azzarderei però a chiamare fumetto. Chiamiamolo in un altro modo. Le parole sono molto importanti e per me sono davvero tutto: le vendo le parole, ci sono cresciuto con le parole e ci lavoro quando scrivo. Una parola usata al posto di un’altra cambia i concetti e cambiare i concetti, dal mio punto di vista, può essere spesso criminoso.
Quindi chiamiamoli in altro modo, ma non fumetto. Sarebbe anche stimolante e divertente provare a cercare nomi nuovi per cose nuove.

I webcomic potranno mai essere fonte di revenue, anche in Italia?
No, perché per me, in Italia, il pubblico vuole tutto gratis e finché non cambierà il modo di fruire dei contenuti creativi nella Rete da parte dei lettori, resterà tutto così.
Si può fare crowdfunding, si possono fare donazioni, si può arrivare a vendere gadget legati al webcomic, a creare indotti economici collaterali, ma se chiedi soldi per leggere fumetti su Internet, temo non te ne darà mai nessuno, almeno non in quantità sufficiente da rendere la cosa appetibile. Da questo punto di vista sono totalmente pessimista.

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Rusty Dogs #7, disegni di Michele Benevento. Tavola 4.

A prima vista uno potrebbe vedere un apparente contrasto nella tua attività di creatore di un webcomic gratuito e di venditore di volumi a fumetti (e non solo) cartacei. Dal tuo punto di vista privilegiato che riflessione e che ipotesi ti sentiresti di fare sullo stato attuale del mercato del fumetto e del suo possibile sviluppo o inviluppo?
Il contrasto fra venditore di carta e sceneggiatore di webcomic è solo un caso: fossi stato ricco o fossi stato un editore, probabilmente Rusty Dogs sarebbe stato cartaceo dall’inizio. Il fatto che ora sia un webcomic, però, non significa che in futuro – come dicevo poco prima – non possa avere anche forme cartacee che riempiano di sporchissimi soldi le mie tasche di avido libraio (e quindi quelle di tutti coloro che vi stanno prendendo parte). Tornando seri e parlando di mercato, intanto preciso che la mia non è una fumetteria, ma una libreria specializzata in quattro settori, uno solo dei quali è il fumetto. Questo settore, però, è generalista, nel senso che vendo fumetti a 360°, come una libreria di varia potrebbe trattare i libri, cioè tutto ciò che esce cerco di farlo arrivare. Il settore delle fumetterie è alla canna del gas, inutile girarci troppo attorno, perché ci sono troppe storture a livello di produzione e distribuzione. Tanti editori non hanno una chiara consapevolezza di quello che fanno e di come lo fanno; ci sono poi distributori legati a modelli di distribuzione che definire vetusti è fargli un complimento: non riescono a venir fuori da quel tipo di visione del mercato, che piano piano li sta distruggendo e ci sta distruggendo. Ho la presunzione di dire che salteranno i distributori prima dei librai: per quanto anche noi librai abbiamo le nostre belle responsabilità (a cominciare da una scarsa preparazione sotto tanti aspetti, specifici e commerciali in genere) la distribuzione è morta, anche se ancora non se ne rende conto; però, visto l’attuale successo di The Walking Dead, probabilmente sono convinti di avere ancora vita lunga come la bella serie zombesca di Kirkman.

In Italia dell’industria fumetto non si riescono a conoscere le cifre, sei d’accordo?
È vero. Se uno volesse fare informazione, sarebbe importare trovare una risposta da parte degli editori, ma è sempre stato così: già fin da quando facevo una fanzine negli anni ‘90 e con tutta probabilità anche prima. Onestamente, non ho un pensiero preciso sulla questione perché da una parte capisco anche che un editore abbia tutti i diritti di non mettere in piazza i propri numeri, visto che non è un ente pubblico. Quindi, ci sta anche che non dare informazioni rientri nell’opera di tutela della propria fetta di mercato per non fornire informazioni a concreti o potenziali concorrenti. Capisco però le ragioni di chi – come noi lettori o chi fa informazione – vorrebbe approfondire di più l’argomento, anche per contestualizzare meglio alcune dichiarazioni che vengono fatte, per esempio quando viene detto che un fumetto ha molto successo: relativamente a cosa? Alle aspettative dell’editore, al suo catalogo o se paragonato alle vendite di prodotti analoghi o rispetto alle vendite di libri? E dove: in fumetteria, in libreria? Senza informazioni dettagliate, quelle dichiarazioni restano un semplice slogan, che però noi dobbiamo prendere come dogma. Non voglio vedere la cosa in maniera troppo “democristiana”, ma ci sono ragioni forti in entrambe le posizioni.

ZeroC FahreDopo la polemica scatenatasi tempo fa per la candidatura di Unastoria di Gipi al premio Strega, è degli ultimi giorni un’altra polemica, stavolta portata avanti da alcune frange del popolo di lettori di fumetti, relativamente alla vittoria di Zerocalcare con Dimentica il mio nome quale libro dell’anno votato dagli ascoltatori/lettori della trasmissione radiofonica Fahrenheit. Qual è il tuo pensiero al riguardo?
A Fahrenheit potrebbero parlare tranquillamente di qualsiasi tipo di libro, quindi nel fatto che trattino di fumetto non ci vedo assolutamente niente di sbagliato, proprio perché nell’oggetto libro ci sta dentro poesia, fotografia, romanzo o altre forme anche ibride di narrazioni. Oltretutto, quello di Fahrenheit è un premio del pubblico, non quello di una giuria tecnica: viene prima selezionato il libro della settimana, viene votato, poi si passa al libro del mese e, alla fine, al libro dell’anno. Quindi non mi sorprende che possa aver vinto un fumetto, perché avrebbe potuto vincere qualsiasi genere di libro. La grossa polemica, invece, è nata per la candidatura di Gipi allo Strega e in questo caso faccio mio il pensiero dell’autore, che alla fine se l’è risolta in maniera apparentemente semplicistica ma invece solo semplice, che non vuol dire leggera o superficiale: se dobbiamo valutare i linguaggi, in quel contesto il fumetto non c’incastra nulla, perché allo Strega non sono mai stati candidati né film né performance teatrali, ma solo romanzi di letteratura. Quindi, Unastoria, non essendo letteratura ma fumetto, due linguaggi completamente diversi, non ha senso che stia in quel contesto. Detto ciò, quell’evento ha fatto parlare così tanto dell’opera che il libro ha continuato a vendere per molto tempo e io, come dicevo libraio avido, ringrazio che sia partito il polemicone: ragionando in termini cinicamente commerciali, va benissimo che si scatenino queste cose. Purché se ne parli, no? Al di là della provocazione, dicevamo che le parole sono importanti e quindi anche qua, ci mancherebbe: mi pare che sulla sostanza, davvero, ci sia ben poco da discutere. In senso più generale, però, se vogliamo continuare a guardarci solo l’ombelico, se vogliamo continuare ad avere paura delle contaminazioni con l’esterno, ad avere paura di “esportare” il fumetto, fuori dalle fumetterie, fuori dalle edicole, fuori dalle librerie, fuori dalle biblioteche – quelle poche che tengono fumetti – continueremo a leggerlo e a parlarne in sette e a meritarci ogni pregiudizio.

Copertina ZannoniConsigli un fumetto cartaceo e un libro, noir oppure no, ai nostri lettori?
Mi ripeto e ricito Storia di Cani di Peppe Ferrandino e Giancarlo Caracuzzo. Del fumetto abbiamo già parlato prima, ma ne approfitto per dire qualcos’altro e se qualche editore con un minimo di coraggio leggerà queste mie parole, spero gli nasca l’idea di riproporre al pubblico questa storia che ormai è assente da più di vent’anni dal mercato italiano. È un’opera importante che meriterebbe di avere una nuova vita e di essere a disposizione di chiunque la voglia leggere. Storia di cani rappresenta tanto della visione degli autori ma anche tanto dell’editore che l’ha pubblicata, di Luigi Bernardi, che è una figura che manca al mercato italiano del fumetto e al mondo dell’editoria italiana in generale. Moltissimi si sono già dimenticati di lui e questo è vergognoso; era certo un personaggio scomodo, che dava fastidio e probabilmente qualche antipatia, se non proprio inimicizia, nel corso della propria vita se l’è fatta, ma il silenzio che ora grava attorno a lui è davvero criminoso. Per fortuna è nata di recente l’Associazione culturale Luigi Bernardi, fondata da familiari e amici stretti/collaboratori storici di Luigi, e che ha l’obiettivo di organizzare incontri, mostre, eventi, che permettano di analizzare e studiare l’impatto che ha avuto nei vari settori lavorativi che ha affrontato nel corso della propria carriera.
A mio avviso, Bernardi è un pilastro fondamentale del nostro modo di pensare perché è stato editore, editor, sceneggiatore, curatore, scrittore, scopritore di talenti che ha messo le mani su tante cose importanti: per fare solo un esempio eclatante, Romanzo criminale di Giancarlo De Cataldo molto probabilmente non esisterebbe così come lo conosciamo, senza Bernardi. E senza quel libro sarebbe cambiato non solo il modo di concepire o scrivere certa fiction in Italia, ma anche il mercato sarebbe stato diverso.
Per quanto riguarda il romanzo, invece, dico Le cose di cui sono capace di Alessandro Zannoni, scrittore sarzanese. Guarda caso, anche questo libro è stato pubblicato da Luigi Bernardi quando era curatore della collana Perdisa Pop per l’omonima casa editrice. È un romanzo che meriterebbe veramente grande attenzione da parte di tutti perché è un grandissimo crime (anche se so che ad Alessandro darà fastidio che io usi questa etichetta), e che riesce a essere contemporaneamente non solo un omaggio a quella letteratura americana che può fare capo a Jim Thompson, ma anche, al contempo, un grande romanzo prettamente italiano, scritto benissimo, con un linguaggio molto feroce e allo stesso tempo molto romantico, e – soprattutto – una bellissima storia.

Si ringrazia Emiliano Longobardi per la disponibilità.

Intervista realizzata dal vivo, dicembre 2014

 

Clicca qui per leggere la prima parte dell’intervista

Del webcomic Rusty Dogs è stata rilasciata di recente anche una versione che riunisce i primi venticinque episodi in un unico file. La versione è l’ideale sia per chi non ha mai letto questo fumetto e desidera recuperare, sia per chi ha intenzione di goderne nuovamente attraverso una lettura senza soluzione di continuità. Il file è impreziosito dall’intro di Leonardo Valenti e dall’outro di Luca Blengino.

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