Nel 1995 faceva il suo debutto nelle edicole italiane “Hammer”, serie di fantascienza edita dalla Star Comics di Giovanni Bovini e Sergio Cavallerin e creata dal collettivo artistico Gruppo Hammer, un team di autori bresciani composto da Riccardo Borsoni, Marco Febbrari, Giancarlo Olivares, Mario Rossi (Majo), Gigi Simeoni e Stefano Vietti, la maggior parte dei quali continua tuttora con successo la tradizione del fumetto “popolare” italiano. Il primo numero di Hammer (che prende il nome dal cargo che accompagna i personaggi nelle loro avventure spaziali), intitolato “Doppia Fuga”, esordì nel giugno 19951. La scrittura dell’albo, dell’intero trattamento e lo studio dei colpi di scena, fu condotta dai cinque titolari della testata (Borsoni, Majo, Olivares, Simeoni, Vietti), mentre la sceneggiatura fu sviluppata in seguito da Marco Febbrari in collaborazione con il disegnatore dell’episodio Mario Rossi. L’episodio vedeva i tre protagonisti, Helena Svensson, John Colter e Swan Barese, tentare la fuga dal carcere orbitale di massima sicurezza Lazareth in compagnia di un altro gruppo di detenuti.
Febbrari presenta fin da subito ai lettori le caratteristiche che il Gruppo Hammer aveva in mente per questo progetto, affidandosi a una narrazione che, facendo riferimento a una fantascienza dura e moderna, che affonda le sue origini nel movimento cyberpunk, si pone con toni adulti e introspettivi. Uno stile che non preclude allo scrittore la possibilità consegnarci grandi sequenze action, come la fuga finale dal carcere di Lazareth, raccontate con uno stile fluido e una scrittura appassionante. Lo sceneggiatore fornisce una grande prova di capacità di caratterizzazione sin dal primo numero, presentandoci tre antieroi dotati di grande carisma e di personalità già ben delineate e sviluppate, cosa che consente di instaurare velocemente un legame con i personaggi e il mood della serie. Risulta per certi versi incredibile, ma è la testimonianza della bontà di questo prodotto, come il primo numero della serie mantenga una credibilità, una freschezza e una modernità che mancano a molte delle testate sci-fi odierne.
Incredibile è anche la qualità del lavoro che il disegnatore Mario Rossi è riuscito a creare per questo numero. Se risulta egregio il lavoro svolto su tutti i protagonisti, quello che lascia basiti è l’incredibile design e mecha-design nati dal talento di Majo, che fa riferimento ad alcuni capisaldi del genere come “Akira“ di Katsuhiro Otomo. Costruzioni sontuose, l’imponente struttura di Lazareth, i droidi da ricognizione, Mech e incrociatori stellari, nulla è lasciato al caso ed è impressionante la quantità di dettagli che compongono le tavole, che, pur usando un formato bonellide, riescono però a romperne la gabbia classica adattandola alle esigenze dell’autore.
Se Nathan Never o Lazarus Ledd, le due testate fantascientifiche alle quali Hammer si contrapponeva in quel periodo, erano basati su eroi di una fantascienza dalla deriva molto avventurosa e più solare con elementi a volte riconducibili al genere super-eroico (sopratutto LL), comunque dall’impianto di stampo episodico prettamente italiano, Hammer spingeva invece nella direzione opposta. Una saga pensata per un pubblico adulto, capace di far riflettere e proporre tematiche non sempre facili, mirata ai veri appassionati e cultori della fantascienza.
Già da questo primo numero è palese la differenza di stile e di approccio: protagonisti criminali dalle forti connotazioni negative, scene impensabili per un prodotto Bonelli come un tentato stupro di gruppo ai danni di Swan, un fumetto capace di anticipare di diversi anni uno dei punti focali del primo film della trilogia di Matrix e che ricorda alcuni prodotti della BD francese/belga. Una serie che non avrebbe sfigurato nemmeno su “Cyborg”, rivista dalla forte vena sperimentale, ideata da Daniele Brolli, edita sempre dalla Star Comics, che chiuse purtroppo dopo solo sette numeri. Leggere oggi il primo numero di Hammer significa riscoprire una parte molto importante del fumetto fantascientifico italiano, regalandosi nello stesso tempo una lettura piacevole, profonda e che non risente minimamente del passare del tempo: una delle qualità dei classici.
Leggi gli altri pezzi dello Speciale Hammer:
- Hammer: fantascienza italiana a fumetti e cyberpunk negli anni ’90
- Hammer #2 – La caccia: dal cyberspazio alla space opera
- Intervista al Gruppo Hammer: giovani autori per la fantascienza a fumetti degli anni ‘90
- Hammer: intervista a Giovanni Barbieri
la serie in realtà iniziava con il numero #0 “Tradita”, scritto da Borsoni-Olivares e disegnato da Olivares, con la cattura di Helena Svensson e parte integrante della prima avventura ↩