Prima di iniziare questa recensione devo fare una premessa: verrò meno per un momento al precetto che ogni “critico” dovrebbe mantenere, ovvero non parlare di se stesso. Purtroppo non posso evitarlo, se si tratta dei Fantastici Quattro. Sono un Marvel fan da vari anni e uno dei supergruppi che ho sempre amato e seguito nel bene e nel male sono stati i Fantastici Quattro. In anni in cui Vendicatori e X-Men spadroneggiano nei fumetti e al cinema, io sono rimasto legato a questa famiglia strana ma unita, affascinato da questi avventurieri dell’ignoto, che cavalcano il brivido della scienza e dell’esplorazione, alla continua ricerca di nuove domande. Dopo i primi due film dedicati al quartetto sono rimasto come tutti deluso dalla loro realizzazione.
Come già successo con Daredevil, aspettavo un reboot cinematografico all’altezza dei personaggi. E sono stato contento quando nel 2013 hanno annunciato il ritorno del mio gruppo preferito al cinema. Non mi sono fatto scoraggiare dalle voci di una Torcia Umana nera, un gruppo di ragazzi a interpretare il quartetto (modello ispirato dalla versione Ultimate del gruppo) e un Dottor Destino hacker. Sono sempre pronto al cambiamento, e anzi ammiro chi osa e reinterpreta, nel fumetto così come al cinema, dato che un film non deve essere pedissequa riproduzione di ciò che si legge su carta. A patto che, ovviamente, non si tradiscano le caratteristiche fondanti della storia da cui si trae ispirazione, deformandola e snaturandola. Il fatto che tutti gli elementi sopracitati fossero affidati nelle mani di Josh Trank, che mi aveva convinto appieno con Chronicle, mi hanno fatto rimanere fiducioso, anche di fronte ai primi trailer.
All’uscita del film negli USA, però, ho capito che qualcosa era andato profondamente storto durante la produzione, con ripercussioni sul risultato finale del film. Le recriminazioni di Trank prima e della Fox e di alcuni collaboratori poi hanno fatto emergere uno scenario terribile dietro alla realizzazione del progetto, che è diventato un bignami di come un buon film non dovrebbe essere fatto. E i perché sono molteplici.
Trama: chi ben comincia, finisce malissimo
Inizialmente, l’impostazione della trama lascia ben sperare per il proseguimento del film. Fin da subito gli sceneggiatori sembrano puntare sulle relazioni tra i personaggi, grazie a una sequenza un po’ scontata ma d’effetto: in una scena dal passato vediamo la nascita dell’amicizia tra Reed Richards, strambo bambino emarginato da tutti per il suo amore per la scienza, e Ben Grimm, ragazzino cupo dal cuore tenero. Grazie a questo incontro e ai primi rudimentali esperimenti sul viaggio interdimensionale, Reed (senza Ben) si trova a lavorare in un gruppo di ricerca che studia questa tecnologia per cercare nuove risorse per il nostro pianeta. Il team, guidato dal dottor Storm, comprende il figlio biologico Johnny, la figlia adottiva di origini kosovare Sue e il creatore del progetto, Victor Von Doom. Puntando sulla scienza e l’esplorazione come idea centrale, gli autori richiamano un altro elemento fondamentale del gruppo, attualizzandolo in maniera efficace. Da qui, il film muove lentamente verso la trasformazione dei cinque, che avviene in maniera violenta, brutale, drammatica. Le reazioni dei ragazzi sono reali, piene di paura, rabbia e dolore.
Purtroppo a questo punto, invece che decollare e approfondire le ripercussioni psicologiche, la storia comincia a sgonfiarsi, subendo un’accelerata eccessiva a causa di un’improvvida elisione di un anno in cui vediamo Reed fuggire dal governo che ha trasformato i ragazzi in docili cavie o armi. Avanzando tra strattoni e forzature, la vicenda si avvia velocemente allo scontro finale, che scaturisce da motivazioni impalpabili e che si conclude in maniera banale e frettolosa, con il nemico battuto e i quattro protagonisti che sono improvvisamente diventati una squadra.
A ben vedere, da questa sinossi si intuisce che Fantastic 4 soffra del tipico problema di molti film di supereroi, da Capitan America a Thor, ovvero quello della doppia velocità, che spezza il film in due parti, in cui una è nettamente inferiore all’altra. In questo caso il problema è ancora più marcato: il film parte lentamente e in maniera abbastanza convincente, ma non riesce a sfruttare il tempo per approfondire nemmeno uno tra i molteplici spunti che potrebbe offrire, rendendo puramente decorativi l’attualizzazione di tutti quegli elementi caratteristici sopracitati (esplorazione scientifica tra speranza e controversia, rapporti interpersonali conflittuali, superpoteri come dono e maledizione). Un mero esercizio di stile teso a conferire in maniera forzata un’atmosfera più oscura e matura, per rincorrere altri, più fortunati esempi, senza però costruire basi solide che portino a una risoluzione concreta e organica dei conflitti.
Personaggi: si vede che non era Destino
L’inconcludenza della trama si lega a doppio filo con una debole caratterizzazione dei personaggi e soprattutto delle loro relazioni. Nessuno dei quattro (più uno) protagonisti riceve la giusta attenzione. Reed è un genio incompreso, che per via della sua arroganza giovanile condanna gli altri a un destino difficile, salvo diventare in poche scene un leader e un salvatore: a poco serve l’impegno di Miles Teller, che ha fornito prove ben diverse in altri film (Whiplash). Il suo rapporto con Ben Grimm, sia prima che dopo la trasformazione, è affrontato con frettolosità e superficialità: per tutta la prima parte del film, il personaggio (interpretato da un modesto Jamie Bell) appare in poche scene, dissipando così gli spunti positivi dell’incipit. Dopo essersi trasformato in un mostro, il rapporto tra lui e Reed si incrina, ma bastano poche scene nel finale per riconciliare i due. Anche la nascita della relazione tra Reed e Sue Storm soffre dello stesso problema: i primi incerti passi della relazione rappresentano uno spunto che non raggiunge alcun tipo di maturazione. A questo si aggiunge un’interpretazione incolore di Kate Mara, che non riesce a sfruttare le poche opportunità riservate al personaggio. Il rapporto tra il dottor Storm e il figlio biologico Johnny, seppur non troppo originale e non approfondita, riesce per lo meno a contestualizzare il carattere della discussa Torcia Umana nera. Il “problema” del colore della pelle sollevato da molti passa in secondo piano di fronte alle pochissime scene dedicate a quello che è forse il personaggio scritto in maniera migliore, interpretato da un talentuoso quanto sprecato Michael B. Jordan. Il resto dei personaggi, dal dottor Storm al dottor Allen, appare semplicemente come una serie di figure stilizzate viste e riviste in tantissimi film. A completare le pessime caratterizzazioni, dialoghi scadenti e riciclati da altri mediocri film sci-fi e di avventura.
Tutti questi difetti però scompaiono di fronte alla rappresentazione del Dottor Destino: dal suo esordio come Victor Von Doom alla sua trasformazione, non c’è un solo elemento che funzioni. Il Destino interpretato da un monoespressivo Toby Kebbell è un personaggio vuoto e senza un briciolo della personalità della controparte cartacea, trasfigurato in un ragazzo abbattuto da un cotta non corrisposta, con inconsistenti velleità anticapitaliste e confusamente ribelli, che trova nel “Pianeta Zero” una nuova patria da difendere dalla voracità degli uomini. Il tentativo di renderlo vagamente temibile si rivela talmente maldestro da risultare ridicolo e le motivazioni che scatenano il combattimento finale riescono a distruggere definitivamente il personaggio sotto ogni punto di vista, mettendo una definitiva pietra tombale sulla possibilità di vedere al cinema uno dei più controversi e affascinanti personaggi dell’Universo Marvel.
Regia, fotografia, effetti speciali: dall’autorialità all’amatorialità
Anche da un punto di vista tecnico Fantastic 4 si rivela una completa delusione, confermando i disastri commessi in postproduzione. All’inizio del film si vede la mano di Trank che cerca di plasmare la direzione della storia grazie a una regia che cerca di cogliere le emozioni dei personaggi, che incede lenta e ricorda a tratti il precedente Chronicle. Proseguendo, però il film si adagia su uno stile piatto e inconsistente, complice l’intervento di altre mani: il film diventa così una copia di tanti altri lungometraggi di genere, ma appesantito dalla pretesa di voler mantenere una supposta autorialità e un certo realismo. In questo senso la scelta di colori plumbei e scuri non fa altro che peggiorare la resa finale del film, così come il tentativo di rendere realistico il design dei personaggi si risolve in una debolezza visiva che ben si accorda con l’irrisolutezza delle caratterizzazioni. Anche in questo caso Destino sbaraglia la concorrenza, con un costume che ricorda quello di un pupazzo da crash test imbottito di led. A tutto questo si aggiungono effetti visivi che non riescono a tenere il passo con le maggiori produzioni odierne, risultando addirittura al limite dell’amatorialità in alcune delle scene finali e comparabili solo con quelli, imbarazzanti, di X-Men Origins: Wolverine.
Conclusioni
Alla fine del film lo spettatore non può che chiedersi come sia stato possibile realizzare un film di qualità così bassa, visti i nomi coinvolti e le idee interessanti in ballo. Dalle notizie trapelate, i motivi e i responsabili sono molti. Tra questi la Fox, che ha voluto realizzare frettolosamente un reboot per non far passare i diritti in altre mani, esercitando grosse pressioni nelle scelte del regista e degli sceneggiatori, fino alla decisione di far girare alcune scene al deus-ex machina Simon Kinberg e a cambiare pesantemente il film in fase di montaggio e post-produzione. Anche Josh Trank ha avuto la sua parte in questo flop, trovandosi totalmente impreparato nell’affrontare e portare a termine un tipo di progetto completamente diverso rispetto a Chronicle, incapace perfino di gestire troupe e cast in maniera razionale (si racconta di scontri a muso duro tra lui, Teller e Kate Mara, o del suo comportamento erratico, solitario, aggressivo).
Qualunque siano le cause, Fantastic 4 è stato un’immensa occasione malamente sprecata, il canto del cigno per il supergruppo al cinema. E agli appassionati come me non resta che dimenticare. E forse, aspettare che la Marvel bussi alla porta della Fox.
O forse no.
Fra X
19 Settembre 2015 a 17:20
A me CA è parso ben bilanciato con i suoi tre atti. Un po meno Thor magari, però non ho trovato troppa differenza tra prima e seconda parte.