Lucca Comics 2025 avrà l’onore di ospitare, durante i giorni della manifestazione, l’artista internazionale Tetsuo Hara. Il mangaka, insieme allo sceneggiatore Buronson, dal 1983 al 1988 ha dato vita al fumetto Ken il Guerriero (Hokuto no Ken), che si poi trasformato in due serie televisive anime e in un franchise allargato in vari media.
Ken il Guerriero ha segnato un passaggio fondamentale, tra la fine degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90 del XX secolo, per la diffusione del fumetto e dell’immaginario pop giapponesi nel nostro Paese, quasi come fecero i robottoni di Go Nagai alla fine degli anni ’70.
Dunque all’interno de Lo Spazio Bianco ci siamo detti: quale migliore occasione per celebrare il personaggio di Kenshiro e la sua intera saga distopica e fantascientifica dedicando loro un Essential 11?
Per farlo abbiamo deciso di rivolgersi agli amici di Dimensione Fumetto, la cui redazione è composta da collaboratrici e collaboratori che scrivono con competenza e conoscenza di fumetto e animazione giapponesi.
Il risultato è quello che vi apprestate a leggere, undici buoni motivi per cui Ken il Guerriero è meglio degli shonen che state leggendo ora!

Kenshiro: L’Eroe in un mondo anarchico
Kenshiro, l’erede della “divina scuola di arti marziali di Hokuto”, non è un semplice combattente post-apocalittico ma rappresenta un modello di eroe “completo” che spesso non ritroviamo nei fumetti contemporanei. La sua forza non risiede solo nella capacità di far letteralmente esplodere i nemici pronunciando il celebre “Tu sei già morto”, ma nella profonda integrazione tra potere fisico ed empatia universale.
Il punto di forza di Ken è la sua assoluta chiarezza morale. In un mondo devastato dal caos e dalla tirannia dove la legge del più forte regna sovrana, Kenshiro incarna l’ordine, la giustizia e la pietà. La sua missione? Liberare gli innocenti e punire i malvagi. La sua violenza è sempre un mezzo necessario per la pace, mai fine a sé stessa.
Gli eroi attuali, spesso tormentati da traumi non risolti o da continue crisi esistenziali, passano gran parte delle loro storie a imparare a controllare poteri più grandi di loro – si pensi a Izuku Midoriya di My Hero Academia – oppure lottano per scopi inizialmente personali come Monkey D. Luffy di One Piece che insegue il sogno di diventare il Re dei Pirati.
Kenshiro, invece, trasforma il suo dolore personale (la perdita di Yuria) in un mandato universale: difendere tutti gli indifesi. La vera forza si trova nell’umanità e nell’atto di salvare l’altro, un messaggio che resta straordinariamente potente anche oggi.
Mauro Paone
Post-apocalittico mon amour
Il Giappone è l’unico paese al mondo ad aver sperimentato sul proprio suolo la potenza dell’energia nucleare a scopo bellico. Le esplosioni di Hiroshima e Nagasaki hanno segnato profondamente l’immaginario collettivo nipponico determinando buona parte della produzione letteraria e cinematografica degli ultimi 80 anni. E se al cinema l’atomica prendeva la forma di Godzilla e degli altri kaiju, nel mondo dei manga Go Nagai illustrava un cupo futuro post-apocalittico (in quel caso un terremoto di dimensioni bibliche) in cui si muoveva il terrificante Violence Jack.
Quella di trasportare Kenshiro in un prossimo futuro segnato dall’esplosione di ordigni atomici fu un’idea dello sceneggiatore Buronson (alter ego dello scrittore Yoshiyuki Okamura) che, intenzionato a riproporre nel fumetto l’estetica della saga cinematografica di Mad Max, aveva apportato delle modifiche al progetto originale sviluppato da Tetsuo Hara e dall’editor Nobuhiko Horie.
Per Buronson il modo migliore per dar vita a una saga sulle arti marziali, come doveva essere quella di Ken, era quello di ambientarla in un’era in cui le armi da fuoco erano pressoché inesistenti, portando così lo scontro fisico alla rilevanza che meritava. L’ispirazione ai film di George Miller permetteva inoltre di esplorare un mondo in cui la società, con le sue convenzioni e strutture, era talmente disgregata da richiedere l’arrivo del “salvatore di fine secolo.”
Andrea Gagliardi


Il caos e la forza bruta
“La storia di base è … beh, quando la struttura sociale scompare, in pratica si può sopravvivere solo grazie alla forza bruta“, diceva Buronson in occasione del lancio della serie di OAV dedicata a Hokuto no Ken, usciti tra il 2003 e il 2004.
Nonostante la storia raccontata in Ken il Guerriero tocchi dei temi universali, che riescono a essere pertinenti anche a decenni dalla sua uscita, essa è profondamente radicata nella sua contemporaneità. Lo stesso Buronson racconta come sia stata fondamentale la sua esperienza, vissuta un anno prima che gli venisse chiesto di lavorare a Ken, nella Cambogia da poco liberata dalla dittatura di Pol Pot. “Ovunque era pieno di mine e di ossa” racconta Buronson nella postfazione di Ken il Guerriero Extreme Edition 11 “Lì ho visto più resti umani di quanti ne avrei mai voluti vedere in tutta la mia vita. Fu sconvolgente appurare quanto la guerra civile avesse cambiato la vita delle persone.”
La vista di una popolazione prostrata dalla violenza e delle milizie di adolescenti armati portò Buronson a concepire una storia in cui la forza fosse l’elemento dominante in una società ormai priva di regole. “Ma cosa può trionfare sulla violenza?” si domandava lo scrittore “L’amicizia, l’amore e i sentimenti che le persone custodiscono dentro sé. Tutte queste cose vincono sulla violenza. L’amore e la compassione sono più potenti della violenza. Questo è il tema della storia.”
Andrea Gagliardi
La violenza è l’unica via?
Esplosione di crani, scheletri strappati via dalla carne, gambe spezzate, sangue a fiotti. Sono le prime immagini che saltano alla mente quando si parla di Hokuto no Ken. Nel manga di Buronson/Hara la violenza si fa estetica, seguendo un filone che parte dall’exploitation, passa per Mad Max e arriva a Bruce Lee. Hara deforma i corpi, li scompone e li ricompone, li strizza, li affetta, li schiaccia, li smembra, come se fossero plastilina, non risparmiando nulla al lettore (regalandogli ciò che vuole?). Efferatezza e gratuità, perpetrata da omaccioni brutti, sporchi e cattivi, senza morale, su uomini indifesi, donne e bambini. In un paesaggio umano drammatico, desolante, che definisce la tragedia di un mondo post apocalittico in cui vince il più forte, Ken stesso è un buono spietato, un ossimoro di muscoli e ossa, che non va per il sottile e disintegra le vite di molti, pur di vendicare e difendere gli ultimi. Allora la domanda etica (moralistica?) è: si può inseguire la pace facendo la guerra? Rispondere alla violenza con la violenza è l’unica via? Una cosa è certa, nell’inferno raccontato da Buronson non c’è altro strumento di giustizia possibile.
Andrea Cozzoni


La danza letale nelle arti marziali in Hokuto no Ken
L’epoca post-apocalittica in Ken il Guerriero, fa da scenario a scontri dove la violenza brutale si fonde con un’eleganza letale, rendendo ogni duello un’opera d’arte coreografica e sanguinosa.
Le arti marziali immaginate da Buronson e rappresentate graficamente da Tetsuo Hara, si basano principalmente sulla forza distruttiva e la velocità di esecuzione. Se quelle della “Scuola di Nanto” puntano a “tagliare” il nemico dall’esterno attraverso attacchi diretti, squarci e colpi che dissezionano l’avversario, quelle del Hokuto Shinken, l’arte marziale di Kenshiro, introducono un livello in più di sofisticatezza e spettacolarità attraverso l’arte del “punto di pressione”. Le tecniche di Kenshiro sono una vera danza fatta di precisione e velocità, sottolineando il contrasto tra la grazia del movimento e la devastazione che ne consegue: il nemico di turno, in pochi secondi, si contorce e il suo corpo esplode in mille pezzi. Ma la tecnica che più di ogni altra rappresenta la quintessenza di Kenshiro è senza ombra di dubbio il suo Hokuto hyakuretsu ken (Cento pugni distruttivi di Hokuto): una vera e propria tempesta di pugni che si abbatte sul nemico, portati da Ken gridando enfaticamente “Uoatatatatatatatatata!”. Il lettore, perso nella lettura e avvolto dalla magnificenza della tavola, sa perfettamente che Ken in quel preciso istante ha portato a termine la sua missione.
Mauro Paone
Lo stile unico nell’arte di Tetsuo Hara
L’impatto visivo in Hokuto no Ken è indissolubilmente legato al tratto inconfondibile di Tetsuo Hara, un segno con cui ha centrato in pieno l’estetica della violenza post-apocalittica.
Se nei primi volumi il disegno è più grezzo e meno dettagliato, con l’avanzare della narrazione lo stile matura raggiungendo livelli di definizione e realismo anatomico molto alti. Non è infatti un segreto che Hara si sia più volte ispirato ad attori cinematografici per particolareggiare ancora di più la resa dei propri personaggi.
Il disegno è anche uno strumento di “caratterizzazione morale”. I “buoni” (Kenshiro, Toki) sono rappresentati con una muscolatura definita e asciutta, con espressioni stoiche e inflessibili simbolo di una forte disciplina interiore. Al contrario, i “cattivi” sono l’esagerazione della forza bruta: corpi massicci e grotteschi, con espressioni e dettagli estetici che riflettono la loro mancanza di regole.
Col suo stile Hara non si limita però solo a disegnare la storia ma riesce a rappresentare una vera e propria dinamica del potere.
Una caratteristica quasi inedita anche ai giorni nostri nel panorama dei manga, è l’uso che l’autore fa delle dimensioni esagerate per simboleggiare il dominio. I tiranni e i loro scagnozzi, specialmente nei primi archi narrativi, sono spesso disegnati con proporzioni spropositate rispetto all’uomo comune e persino a Kenshiro stesso che deve affrontare nemici grossi il doppio o il triplo. Un vero e proprio espediente studiato per enfatizzare il potere anarchico che sovrasta il popolo e capace di proiettare immediatamente il lettore nel clima di terrore e disuguaglianza raccontato nel fumetto.
Mauro Paone


La potenza delle stelle da Hokuto a Nanto
I fumetti giapponesi sono frequentemente influenzati dalle più disparate tematiche, gli autori sono spesso riusciti a mescolare e reinventare praticamente qualsiasi tema e tra tutti l’astronomia ha sempre avuto un ascendente fortissimo nelle storie che nascono in Oriente. Le stelle e i pianeti rappresentano il cardine di moltissime serie, ormai diventate mito, come Saint Seiya e Sailor Moon, e anche Ken il Guerriero ha in sé un forte legame con le costellazioni.
Nella storia di Buronson gli astri non sono semplici ornamenti luminosi del cielo ma vere e proprie presenze vigili in grado di determinare il destino di ogni personaggio. I guerrieri della saga si muovono sotto l’influsso delle costellazioni che ne fissano il cammino, che può essere condanna o missione, rappresentando un chiaro messaggio che la vita e la morte non sono frutto di una volontà individuale ma sono influenzate da forze più grandi e spesso ineluttabili. Ken stesso è marchiato dalla costellazione dell’Orsa maggiore, ma molti altri personaggi diventano veri e propri messaggeri del potere della stella che li governa. Tutti e sei i guerrieri di Nanto sono caratterizzati in base all’astro dominante e lo stesso Imperatore, il sesto Sacro Guerriero di Nanto, è totalmente sottomesso alla “Stella dell’Amore Materno”, ne diventa immagine e simbolo e tale influenza da esso si propaga a chi ha intorno infondendo benessere e amore. Le stelle diventano dunque una metafora di un legame implacabile in cui la sofferenza del singolo trova posto in un disegno più ampio e misterioso.
Maurizio Vannicola
Personaggi terreni e “sacri”: le (poche) donne forti in Ken il Guerriero
Nella realtà di violenza, muscoli e forza bruta del fumetto di Buronson e Hara i personaggi femminili sono veramente pochi, trattati con ottica maschilista e predatoria, “oggetti” di poco valore, come comparse piangenti e madri disperate dal destino segnato. A distinguersi sono solo quattro nomi, che formano un chiasmo e che potremmo dividere in donne terrene e donne “sacre”.
I personaggi terreni hanno caratteristiche in cui si possono riconoscere molte lettrici, hanno maggiori sfumature caratteriali e sono raccontate come donne in carne ed ossa: parliamo di Airi e Mamiya. La prima, sorella di Rei, inizialmente soccombe alla violenza e appare senza più speranze, se non quella che il suo “padrone” non la tratti troppo male. Airi è presumibilmente una schiava sessuale – non esistono nel manga scene di stupro – ma non è del tutto annichilita dalla sopraffazione, come dimostra prima la ribellione del privarsi della vista e poi l’aver imbracciato la lotta grazie all’esempio di Mamiya. Anche quest’ultima è stata strappata alla famiglia per entrare in un “harem”, ma non si è piegata al suo destino e ha deciso di combattere, di cancellare la sua parte femminile (almeno interiormente) e trasformarsi in “Guerriero” per difendere gli abitanti del suo villaggio, più deboli di lei. Mamiya vorrebbe essere come Ken, ha gli stessi ideali e sentimenti, ma non può esserlo, per limiti di forza e contestuali: limiti dati anche dell’autore, che la riporta infine nella sua limitata dimensione femminile.
I personaggi con caratteristiche più mistiche e meno “comuni” sono sicuramente le altre due figure femminili di spicco nella trama. La prima è Rin: la conosciamo come bambina resa muta dal trauma della violenza, che però comprende subito la forza morale e interiore di Ken, la sua gentilezza e il suo animo nobile. È una presenza importante, un testimone che riesce a percepire e a volte anticipare il valore degli eventi. Crescendo diventa una leader, una figura che con la sua sola aura porta consolazione e coraggio, un punto di riferimento nel Caos; un’icona quasi religiosa, che simboleggia fermezza e determinazione, ma anche compassione e consapevolezza.
L’ultimo personaggio ha un nome che riecheggia dal primo volume, mentre la sua presenza tra le pagine è quasi nulla: Yuria. Tutti i guerrieri di Hokuto e parte dei guerrieri di Nanto amano Yuria, vorrebbero possederla e vorrebbero che ricambiasse il loro amore. Ma Yuria ha scelto Ken, e solo lui, è come la “donna angelicata” di Dante, è il massimo valore a cui si ambisce e che dà senso alla lotta e alla speranza. Per questo tutti la desiderano, ma può essere solo del prescelto, di colui che davvero la merita per la nobiltà, la forza etica e l’esempio morale: l’unico in grado di guidare gli uomini verso un mondo migliore.
Silvia Forcina


Ken e Rei: il valore dell’amicizia in un’era di perdizione
In un’epoca avvolta dal caos e dalla violenza gratuita in cui il dominio è appannaggio della forza fisica, potrebbe sembrare scontato che gli animi umani siano aridi e vuoti, votati solo alla sopravvivenza ma il messaggio che ci arriva dalla lettura di Ken il Guerriero è ben altro. I sentimenti non sono scomparsi e l’amicizia è un valore forte e più presente che mai, non è un sentimento leggero od ornamentale ma viene rappresentato come un legame silenzioso forgiato dal sacrificio con la costante consapevolezza che la fine può essere sempre prossima.
Uno dei legami più forti è sicuramente quello tra Ken e Rei, i due personaggi non condividono lunghi discorsi ma solo promesse solenni, gesti piccoli ma importanti, e si caricano del peso di scelte che diventano definitive.
Rei, presentato inizialmente come antagonista, riconosce in Ken non solo un compagno, ma una presenza in grado di percepire la nobiltà d’animo interiore. In questa intesa viene rivelata una verità assoluta: l’amicizia non è una fuga dal dolore ma un sostegno reciproco che accompagna fino al momento dell’ultimo respiro. La morte di Rei viene rappresentata come una delle più solenni e drammatiche di tutta la serie e Ken la onora in silenzio e con rispetto, mostrandoci che la vera forza non è solo sconfiggere i nemici ma custodire il valore di chi ha camminato accanto a noi.
Maurizio Vannicola
Spiritualità ed etica nella Saga: il lascito di Hokuto no Ken
Esplosioni, mazze ferrate e teste schiacciate, violenza pura, crudeltà, odio: potrebbe sembrare che Hokuto no Ken sia soprattutto questo, invece il suo messaggio è molto più elevato, e tra le pagine si possono trovare anche tanti elementi di spiritualità e un forte insegnamento etico. Oltre ai tanti riferimenti a “Dio” e alla sua volontà, al definirsi di Ken come il “Dio della Morte”, sentiamo i personaggi parlare della “Luce”, che tutti vorrebbero raggiungere e afferrare: questa luce a volte può essere intesa come la Gloria, o la vittoria della propria “Stella” sulle altre, ma molto spesso è in realtà quella simbolica, della salvezza, quella luce che dalla giustizia arriva a illuminare un mondo non più oscuro.
I muscoli e la forza in queste pagine sono dunque da interpretare come un mezzo che i tempi, quel futuro distopico e apocalittico, necessitano per poter costruire un mondo migliore, creato però solo grazie alla compassione per i deboli, alla generosità, all’amore e al sacrificio. Queste “virtù” devono essere tanto grandi quanto la potenza delle braccia e delle gambe, la grandezza del sentimento dovrà essere ancora più volumetrica della testa dei giganti senza pietà che vengono mano a mano sconfitti. Alla base delle loro azioni non c’è uno scopo, un fine più nobile o una missione, e chi usa la forza senza avere i valori positivi nell’animo non potrà mai vincere. Per questo Ken, guidato dalla sete di giustizia, dalla pietà per i deboli e dalla volontà di salvare il mondo, continuerà a vincere, accompagnandoci verso un diverso futuro senza egoismo e soprusi.
Silvia Forcina


La speranza è l’ultima a morire
In La strada, Cormac McCarthy crea due personaggi memorabili. Padre e figlio senza nome che, in un mondo devastato, tentano di sopravvivere. Se il padre lo fa per l’amore che prova verso il figlio, il figlio è animato, specialmente nell’ultima parte del libro, da un filo di speranza. La stessa speranza che ispira i tanti personaggi che Kenshiro incontra nel suo cammino. Perché se Ken è mosso dalla voglia di ritrovare Yuria, quindi da un sentimento di amore, mescolato con la voglia di farsi giustizia, qual è il motore che muove gli altri personaggi? Un popolo afflitto, vessato, affamato, ridotto in schiavitù, a cosa si può aggrappare se non alla speranza? Speranza di trovare l’acqua in fondo a un pozzo prosciugato, di avere un pasto caldo, di ritrovare il proprio padre in vita dopo che è stato rapito da una banda di predoni.
La speranza diventa dunque un filo conduttore dell’opera di Buronson, nelle mani di quei personaggi comuni, che non possiedono poteri straordinari, che a volte non hanno nemmeno nome e che non conoscono tecniche marziali assassine. Ken, sconfiggendo l’oppressore, diventa dunque non solo portatore di pace, ma dona al popolo una prospettiva, una nuova possibilità, la speranza in futuro migliore.
Andrea Cozzoni
GLI AUTORI
SILVIA FORCINA
Insegnante per caso, appassionata di letteratura, ama tantissime cose: leggere (fumetti e romanzi) disegnare, l’archeologia, l’astronomia, l’uncinetto, la Storia dell’Arte, alcune serie TV, la grammatica, il cinema, la Natura, la cioccolata e le arachidi salate. È asociale, eppure non riesce a trovare abbastanza tempo per fare tutto quello che vorrebbe.
ANDREA COZZONI
Ama fare lunghe passeggiate mentali, corrompere la sua integrità morale con aperitivi ciarlieri ad alto tasso alcolico e nuotare nel mare sconfinato della letteratura. Non resiste ai saldi, al design scandinavo, a Woody Allen e alla musica dal vivo. Nel tempo libero pianta tulipani in una zolla di terra che chiama giardino.
ANDREA GAGLIARDI
Nasce, cresce e matura (?) leggendo fumetti. Assieme ai suoi amici è uno dei fondatori dell’Associazione Culturale Dimensione Fumetto, dando vita all’omonima fanzine poi evolutasi in un sito web di informazione sul fumetto. Ha collaborato con Lo Spazio Bianco, all’interno del quale è stato autore del blog Comics Calling di cui nel 2018 realizza anche una versione cartacea.
Nel 2020 inizia a collaborare con Panini Comics in qualità di editor delle testate Marvel/DC Comics.
MAURO PAONE
Collezionista compulsivo, cuoco amatoriale (per necessità) e lettore con alle spalle un po’ di anni di esperienza nel campo, si dedica con passione a tutto ciò che costituisca una forma d’intrattenimento siano essi fumetti, film, videogiochi o musica. Particolarmente affascinato dalla cultura pop giapponese è in continua ricerca e approfondimento sui temi a lui più cari.
MAURIZIO GEKO VANNICOLA
Il suo primo fumetto fu Dylan Dog ma la rovina arrivò con I Cavalieri dello Zodiaco e Sailor Moon. Ama Buffy, The Big Bang Theory e le piante grasse. Vorrebbe tanto un gatto Sphynx da chiamare Beerus. Corrompibile con la zuppa inglese!
