Dylan Dog #307 – L’assassino della porta accanto

Dylan Dog #307 – L’assassino della porta accanto

Due esordienti sulla serie regolare dell'indagatore dell'incubo ci regalano un'avventura malinconica e delicata, che cattura il lettore riuscendo dove ormai molti sceneggiatori del personaggio stanno fallendo: appassionare.

Dylan Dog, tra i personaggi editi dalla Sergio Bonelli Editore, è quello che sta vivendo la sua stagione editoriale più mediocre. Dalla testata dedicata all’indagatore dell’incubo ci si attendeva, dopo la boa del trecentesimo numero pubblicato sei mesi or sono, un cambiamento di rotta, un innalzamento di qualità verso il quale il nuovo curatore della testata, Giovanni Gualdoni, in carica ormai da un po’, non riesce a spingere il prodotto.

Il personaggio continua a vivacchiare, con storie dimenticabili e tematiche già affrontate da molte e certamente più memorabili narrazioni. I sei numeri intercorsi dal 300 a questo 307 ne sono la purtroppo sbiadita cartina di tornasole: storie che si leggono in fretta e ancora più in fretta vengono dimenticate, per poi difficilmente essere citate in discussioni tra appassionati su quali siano gli albi indimenticabili di Dylan Dog; caratterizzazioni senza sale, non solo dei personaggi secondari, peccato grave ma fondamentalmente perdonabile, ma anche dei personaggi principali, soprattutto di quello che dà il nome alla testata.

E se è impossibile che tanti sceneggiatori diversi sappiano approfondire tutti allo stesso modo Dylan Dog, neanche negli ultimi anni si è riuscito a portare un minimo di freschezza o un tentativo di rivoluzionare qualcosa negli ormai arrugginiti meccanismi narrativi dylandoghiani. E le persone che sembravano dovessero farlo si sono allontanate dalla serie: Paola Barbato è impegnata col suo progetto Davvero, web comics che tra poco andrà anche su carta per la Star Comics1. E anche Roberto Recchioni ha preso strade diverse da quelle dell’indagatore dell’incubo, strade che lo stanno portando a scrivere Tex e la prima miniserie a colori della Bonelli (Orfani, in uscita nel 2013).

Ma Dylan Dog è il classico personaggio che in punto di morte riesce a dare un colpo di coda, una scossa, come tante volte gli è capitato di fare durante le sue avventure. E stavolta il colpo di coda ha un nome e un cognome: Fabrizio Accatino.  Lo sceneggiatore torinese, che finora per il personaggio creato da Tiziano Sclavi aveva scritto tre storie, fra cui ricordiamo soprattutto la bellissima “La Strada per Babenco” pubblicata nell’Almanacco della Paura 2005, è al suo esordio sulla serie regolare, dopo un lungo silenzio dovuto a suoi impegni lavorativi extra-fumettistici.

La sua L’Assassino della porta accanto è un manuale su come scrivere un Dylan Dog e contemporaneamente un sunto di tutti gli errori che si stanno compiendo sul personaggio: anche in questa storia, come in tantissime precedenti, tutti gli eventi succedono perché sono scritti, senza che Dylan faccia niente per evitarli. Gli capitano, e basta, e lui ci si butta a pieno, senza rete di protezione, come precedentemente erano stati abili a mostrarci Sclavi e la miglior Barbato.
Ma il fatalismo pieno di speranza che c’è alla base di Dylan Dog è stato troppo spesso trasformato in sciatteria da sceneggiatori meno sensibili di Accatino, che hanno indebolito sia il personaggio che il suo forte senso umano, riducendolo spesso a macchietta e svilendo la sua inappuntabile caratterizzazione. Accatino recupera un Dylan galante ma timido, realmente innamorato ma allo stesso tempo farfallone, triste, malinconico eppure pronto alla battuta. Un inizio in cui si sorride molto per le situazioni e i dialoghi che avvengono tra i coinquilini del nuovo palazzo dove Dylan alloggia, ma il tutto, a rileggerlo, appare già intriso di una vena fortemente amara.

E anche se durante la storia sia Groucho che Bloch sono assenti, noi riusciamo a sentirne la presenza tramite le lettere che Dylan invia loro. Possiamo quasi immaginare la faccia di Bloch che dice a Dylan di non comportarsi da ragazzino e sembra di leggere le battute di Groucho, anche se lui non c’è. Rispetto agli scialbi ruoli degli ultimi periodi, questa pesante presenza-assenza è quasi balsamo per i lettori, invitati a riscoprire un rapporto talmente profondo che ha resistito ad attacchi all’arma bianca di storie quali Oltre quella porta, Il Giardino delle illusioni ma anche Il Numero 200, nelle quali la Barbato accusava il personaggio di egoismo nei confronti della vita delle persone che lo circondano.

In più il ritratto del cattivo, paranoico ma credibile, patetico e pericoloso, che alla fine sarà l’unico a uscire da questa storia senza graffi dell’anima, è uno schizzo che tarda ad asciugarsi, che rimane attaccato dentro.
I flashback che lo ritraggono da piccolo con una nonna fin troppo presente e pressante, non riescono a togliere di dosso l’incredibile fastidio che si prova a vederlo farla franca, fino all’incredibile pasticcio che combina a causa delle sue paranoie, non permettendo a Dylan di riconciliarsi col suo grande amore eterno mensile, facendocelo definitivamente odiare.
Ma tutto il cast allestito da Accatino è, se non credibile, almeno funzionale alla storia: il quasi quarantenne Peter Pan, la bellona, la padrona di casa simpatica, la straniera che nasconde segreti inconfessabili. Tutte personalità che Accatino tratteggia come meglio può, riuscendoci bene nella maggior parte dei casi. Tutta la storia è un’enorme porta scorrevole dove, se non si fa attenzione, ci si perde dentro un dialogo, un elemento lasciato in sospeso, nella speranza, alla fine delusa, che tutto vada per il meglio. Questa storia scritta da Accatino sembra la vita reale, e in quella difficilmente tutto va per il verso giusto. Scontato non pensare a tante storie, soprattutto degli inizi della serie, in cui l’orrore veniva dal mondo reale, dalla gente vera, quella che potremmo incontrare tutti i giorni anche noi. Quella frustrata da un lavoro con un capoufficio tartassante, inappagante affettivamente, economicamente e sessualmente, noiosa e banale. Anche in questo caso è così, e la classe, se non la stessa, è comunque notevole. E c’è solo una parola per terminare il discorso: finalmente!

Ai disegni un’altra new entry, non solo della serie regolare ma proprio del personaggio e addirittura della casa editrice: si tratta di Sergio Gerasi, disegnatore che in Star Comics ha prestato le sue matite per serie quali Nemrod e Valter Buio, nelle quali ha mostrato tutte le sue capacità, fino alla chiamata in Bonelli, alla corte dell’Indagatore dell’incubo.

Tutti, all’inizio dell’avventura di Valter Buio, riflettevano sulle similitudini tra i due personaggi; e se la serie è giunta poi a smentirle, alla Bonelli saranno comunque piaciute le atmosfere che Gerasi riusciva a conferire alla Roma immaginata da Bilotta e hanno giustamente pensato che il tratto del disegnatore sarebbe andato a pennello anche per Dylan Dog.
Scommessa vinta: dal cilindro il disegnatore milanese tira fuori una prova tutta sostanza e realismo, una caratterizzazione grafica molto positiva di tutti i personaggi della storia, ma soprattutto di Dylan, finalmente ritratto in tutta la sua triste bellezza, che alle volte parecchi altri disegnatori tendono a dimenticare. E se sicuramente è attesa la sua prova quando verrà il momento di disegnare gli altri personaggi storici della serie (lo vedrei bene a disegnare una Madame Trelkovski tutta rughe e lapsus), questa prova è da promuovere senza dubbio a pieni voti.

Abbiamo parlato di:
Dylan Dog #307 – L’assassino della porta accanto
Fabrizio Accatino, Sergio Gerasi
Sergio Bonelli Editore, Aprile 2012
96 pagine, brossurato, bianco e nero – 2,70€
ISBN: 9771121580009


  1. come a suo tempo da noi segnalatovi www.lospaziobianco.it/47596-davvero…ar-comics-carta 

7 Commenti

1 Commento

  1. Luca

    24 Aprile 2012 a 14:11

    Troppo, troppo buono con questa storia e troppo cattivo con le precedenti. A me non è piaciuta particolarmente e non l’ho trovata in discontinuità con le altre. Io darei un PO’ un’occhiata al settimo rigo :-)

    • Davide Occhicone

      24 Aprile 2012 a 16:10

      Corretto, grazie…

  2. Chtulhu

    26 Aprile 2012 a 22:45

    @ Luca: che a te non sia piaciuta questa storia ci sta, ma è oggettivamente del tutto diversa dalle altre che l’hanno preceduta: diversa nella struttura e soprattutto nella qualità. Le storie dal 300 al 306 sono atroci, questa è una storia molto ben scritta come non se ne leggevano da anni (e lo dimostra il gran parlare che ha sollevato su Internet). Poi, per carità, come tutte le cose della vita può piacere o non piacere, ma i gusti personali non possono cancellare i dati di fatto.

    PS per l’ottimo recensore: l’Almanacco del 2005 è “La strada per Babenco”, non “per Laredo” (splendido lapsus edwoodiano). :-)

    • Luca

      29 Aprile 2012 a 12:37

      Potresti motivare un po’ meglio la tua opinione? “diversa nella struttura e soprattutto nella qualità” mi sembra un’affermazione piuttosto pesante, e da sola non significa niente. In cosa differisce dalle strutture precedenti? Cosa c’è di così originale ,e qualitativamente rilevante, che io non sono riuscito a cogliere?
      Poi il fatto che se na parli su internet, per me, non significa nulla. Inoltre vorrei anche capire quali sono i dati di fatto che avrei tentato di cancellare con le mie, personali e personalissime, opinioni.

    • Luca

      29 Aprile 2012 a 12:45

      Potresti motivare meglio la tua opinione? In cosa differisce la struttura di questo da quella delle storie precedenti? Cosa ti porta a dire che la qualità è diversa, ed è così ben scritto come non se ne vedevano da anni? Mi sembrano affermazioni piuttosto pesanti. Inoltre per me, il fatto che se ne parli su internet, non significa niente di particolare. In ultimo vorrei anche che mi spiegassi come i miei “gusti personali” abbiano tentato di cancellare “i dati di fatto”.

  3. Salvatore Cervasio

    27 Aprile 2012 a 01:58

    Ringrazio Chtulhu per la correzione, sono andato a memoria e mi accorgo che ricordavo male :)
    Grazie anche per l'”ottimo”!

  4. Chtulhu

    29 Aprile 2012 a 23:32

    @Luca: l’unicità di questa storia la spiega perfettamente Cervasio nella sua recensione. Quando scrive: “L’Assassino della porta accanto è un manuale su come scrivere un Dylan Dog e contemporaneamente un sunto di tutti gli errori che si stanno compiendo sul personaggio”, spiega poi molto bene il perchè. La sua non è una recensione sul gusto (mi piace/non mi piace), ma analizza bene gli elementi che rendono nei fatti questa storia molto migliore di quelle che l’hanno preceduta.

    Se non ti interessa il responso dei lettori internettiani su questa storia poco male, ma il fatto che abbia sollevato una valanga di reazioni positive qualcosa vorrà dire. Se no capiterebbe ogni mese.

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