Si chiamano Joris Chamberlain (sceneggiatore) e Aurélie Neyret (illustratrice) gli autori de I diari di Cerise, il cui primo volume, Lo zoo di pietra, è stato tradotto quest’anno da Panini Comics.
La protagonista, Cerise, è una bambina di dieci anni che sogna di diventare una famosa scrittrice. E per cominciare, racconta al suo diario tutto quello che, curiosa osservatrice, le capita di notare quotidianamente. In una rara forma di diario e fumetto, Cerise affronta in questa sua avventura la sua prima vera indagine. Noi intanto scopriamo i segreti dietro questa nuova eroina con un’intervista alla coppia di artisti.
Voi vi siete messi in contatto grazie al web. Oggi i social network, i forum, i blog aiutano a superare precedenti difficoltà a trovarsi fra autori e disegnatori?
J – Sì, enormemente. Oggi le case editrici e le redazioni hanno delle pagine per i professionisti. Possiamo contattare direttamente gli editori quando, prima, si faceva tutto per posta o al telefono. Permette di guadagnare tempo. Per gli autori, è la stessa cosa. Tutti i frutti del loro lavoro sono in rete. Per cui ci si può fare rapidamente un’idea del loro stile, i loro universi, i loro desideri… Prima, bisognava aspettare di uscire dalle scuole d’arte, frequentare le fiere di tutto il paese, contare sul passaparola…
A – Certamente, si tratta di uno strumento formidabile per vedere il lavoro di un sacco di gente, parlarsi, fare progetti, avere dei feedback, imparare e anche lavorare. Non ho mai conosciuto il mio mestiere « prima di internet », ma ha sicuramente cambiato molte cose. Io e Joris non ci conoscevamo, né vivevamo nella stessa città e non sono neanche sicura che avessimo degli amici in comune quando mi ha inviato la sua sceneggiatura. Senza internet forse non avrebbe mai visto i miei lavori. D’altra parte, internet può essere anche controproducente, o in ogni caso invadente. Si vedono talmente tante persone migliori di noi, siamo subissati di immagini, di informazioni, e a volte può essere un po’ troppo forse, bisogna saper interrompere il flusso per orientarsi. Come tutti gli strumenti, va maneggiato con giudizio.
In che modo ci si arricchisce l’un l’altro? Discutete – leggo – su ogni vignetta, ogni balloon e quanto ancora ci si stupisce l’uno dell’altro dopo 3 volumi?
J – Un bambino si fa in due. Sempre. E prima di farlo, bisogna desiderarlo. Noi discutiamo tantissimo delle novità che vorremmo introdurre nel seguito della storia. Andiamo a cercare quello che non abbiamo ancora esplorato in termini di sentimenti, peripezie, ambientazioni, scenari…
Personalmente, Aurélie mi stupisce a ogni nuovo episodio. Sono il primo lettore privilegiato delle sue meravigliose pagine e tutte le volte resto abbagliato da come supera i limiti del suo disegno. Non solo gli album, ma anche i personaggi hanno guadagnato in espressività, gestualità, la sua gamma di colori si è ampliata considerevolmente e il suo senso della regia si è affinato.
Aprite i volumi, e capirete perché resto ogni volta affascinato!
A – La nostra collaborazione si basa sull’ascolto, effettivamente. È piuttosto normale, e, per fortuna, visto che lavoriamo comunque molto insieme. Parliamo molto, ancor prima di scrivere o di disegnare un nuovo volume, e anche durante. È molto importante per me (e anche per Joris) sapere che non abbiamo rimpianti, che quello che abbiamo fatto insieme ci piace, e che è così che lo dovevamo raccontare. Anche stupirsi è molto importante, per se stessi e per l’altro. A che pro rifare quello che si è già fatto? Tre volumi possono sembrare molti, ma allo stesso tempo non sono niente: restano talmente tante cose che non abbiamo mai messo in scena, momenti che non abbiamo raccontato, ambienti, emozioni da esplorare. Ho sempre bisogno di novità per divertirmi: Joris l’ha capito, e anche lui si diverte a propormene. Allo stesso modo, anch’io cerco di sorprenderlo sempre. È la base di ogni relazione umana che funzioni, no?
Essere affascinati dall’essere umano e dai suoi comportamenti – come Cerise e come te Joris – è alla base della scrittura. Tu come hai iniziato e perché hai scelto questo lavoro?
J – L’ho scelto come seguito del mio precedente lavoro, in cui mi occupavo molto di bambini. Qualcuno un giorno mi ha detto “i bambini, bisogna inondarli di bellezza“. Quindi è quello che cerco di fare, nel mio piccolo. E l’osservazione di quello che c’è di bello negli altri, è il punto di partenza che ho scelto.
Finché le persone si fermeranno a bordo strada per osservare un arcobaleno, finché sorrideranno vedendo i fuochi d’artificio, qualcuno che fa le bolle di sapone o la neve che cade, avrò fiducia nell’umanità!
A – I miei inizi col disegno sono troppo lontani perché io ne potessi essere cosciente e potessero costituire davvero una scelta: come tutti i bambini disegnavo, solo che non ho mai smesso. Disegnavo sui bordi dei quaderni, sui taccuini, dappertutto! Mi raccontavo delle storie e le disegnavo. Avevo anche molti libri illustrati che mi piacevano tantissimo: leggevo molto. E di colpo, quando è arrivata l’età di chiedersi cosa avrei voluto fare di mestiere, la risposta è venuta da sola. Solo più tardi, quando ho cominciato a essere pubblicata, ho scoperto il potere che un libro, una storia, può avere sulle persone. È una cosa che mi affascina ancora, è formidabile quando una mamma o un papà ci dicono che un libro che abbiamo fatto noi per il loro figlio è un oggetto di culto, e fa anche un po’ paura questa responsabilità! È uno degli aspetti che mi fanno adorare il mio lavoro e che mi spingono a cercare di fare sempre meglio.
Mettersi nei panni del personaggio è molto importante, se si vuole riuscire nella scrittura – lo dice Cerise nel primo volume. Cos’è la cosa più difficile nell’identificarsi in una ragazzina per un uomo?
J – Non c’è, perché prima di essere una piccola donna, Cerise è una bambina. E secondo le mie convinzioni, una bambina non è poi così diversa da un bambino, almeno fino alla pre-adolescenza. Proviamo le stesse emozioni, ci comportiamo allo stesso modo… per cui è stato naturale identificarsi con lei. Di bambine ne ho incontrate tante nel mio lavoro precedente. Le conosco bene!
Cerise cresce, ma le tappe che attraversa posso immaginarle senza problemi. Il fatto che sia una femmina non condiziona per niente la storia. Prima di tutto, è un essere umano sensibile.
Cosa fa un editor illuminato? I vostri come vi hanno aiutato?
J – Un editor illuminato è quello che indovina istintivamente tutte le potenzialità di un progetto e che si prende il tempo di aiutare i suoi autori a progredire e che ne assicura poi una bella promozione affinché tutti possano scoprire il libro. Per noi sono Clotilde Vu e Barbara Canepa, le direttrici della collezione Métamorphose, che ci stanno accompagnando pagina dopo pagina lungo tutta la serie. Clotilde è più attenta ai testi e Barbara al disegno. Conoscono il nostro potenziale e ci spingono a rinnovarci ogni volta, a sorprendere prima di tutto noi stessi, a rimanere coscienziosi e attenti… In breve, per noi sono preziose e la serie deve loro molto.
A – Clotilde e Barbara si sono davvero appassionate e coinvolte quanto noi. È una fortuna poter lavorare con delle persone per cui quello che facciamo conta davvero. Anche umanamente. A volte il rapporto autore / editore può diventare un po’ un rapporto di forza, ed è facile come autori non sentirsi sostenuti, purtroppo. Il fatto che Barbara sia lei stessa un’autrice, oltre a essere direttrice della collana, senza dubbio è utile. Ma entrambe ci hanno davvero aiutato a portare avanti il nostro progetto, ne hanno visto il potenziale e ci assistono quotidianamente nella realizzazione.
Avete consigli per i giovani che vogliano fare il vostro mestiere?
J – Io consiglierei di riflettere bene, prima di tutto, sul motivo che li spinge verso questo mestiere. Innanzitutto, bisogna desiderarlo VERAMENTE. È un mestiere difficile, esigente, che chiede un estremo rigore. E bisogna avere delle convinzioni profonde, dei valori da condividere. Se no, il prodotto sarà privo di senso.
Per avere dei valori è necessario documentarsi, viaggiare, parlare con la gente, discutere, prendere delle parti, farsi coinvolgere… è prendendo posizione che ci si apre al dibattito, e questo arricchisce davvero la scrittura. I miei valori sono molto semplici! Ma li difendo con fervore.
A Di non scoraggiarsi, se è veramente quello che si vuole fare, ma di essere coscienti che niente è facile. E bisogna anche essere coscienti del fatto che una passione e un mestiere sono due cose differenti, anche se a volte si possono conciliare. Quando si fa del disegno il proprio lavoro, ci sono degli aspetti che possono essere sgradevoli: il lato economico, l’amministrazione, il fatto che si fa raramente quello si vorrebbe davvero fare (almeno agli inizi), le imposizioni, i tempi, lo stress… disegnare per vivere vuol dire anche questo. Ma se si ha la vocazione, se si sente veramente la necessità di farlo, allora bisogna provarci. Una vocazione è una cosa troppo rara e troppo bella per non cercare di seguirla. Se si lavora senza tregua e ci si dota degli strumenti adatti, ci si può sorprendere… Un altro consiglio è quello di non isolarsi. Come dicevo, internet è un aiuto formidabile, bisogna servirsene, mostrare il proprio lavoro, cercare di imparare, vedere come gli altri fanno le cose, cercare di crearsi dei contatti, e magari anche degli amici con la stessa passione, cercare feedback e critiche costruttive, e non aver paura di mettersi in discussione.
E per i più giovani, invece, come si lavora? Quali sono le regole da tenere a mente?
J – Un bambino è un essere umano come gli altri, sensibile e in grado di comprendere moltissime cose. Ma è più permeabile alle emozioni. Ed è angosciato dal fatto che manca ancora del vocabolario necessario a esprimere quello che sente, e quindi a comprenderlo.
Bisogna quindi essere un adulto comprensivo e aiutare il bambino a crescere proponendogli storie con contesti rassicuranti e molto chiari. Bisogna parlargli di cose che lo riguardano e spiegargliele con parole che è in grado di comprendere. La lettura deve essere fluida, sensibile e soprattutto onesta. Un bambino sente quando gli si stanno raccontando delle sciocchezze, quando ci si prende gioco di lui.
Bisogna essere umili e al loro servizio. In questo modo, si contribuisce a costruire l’adulto che diventerà.
A – Non saprei dire se disegno in maniera veramente diversa a seconda del pubblico, tranne per il tema ovviamente. Nel disegno non vedo differenze, forse cerco solamente di essere veramente chiara e fluida nella regia. È un impegno continuo per me. Non considero veramente i nostri lettori come un pubblico a parte, in ogni caso non dal punto di vista della loro capacità di comprensione. Credo che i bambini possano capire tutto e che non si dovrebbero alleggerire i temi per loro. Semmai possono essere un po’ una categoria a parte nel senso che si trovano proprio al confine tra l’infanzia e l’adolescenza, sulla soglia fra la spensieratezza e la loro futura vita adulta, e questo rende l’età (di Cerise) molto interessante. La sola regola per me è cercare di essere appropriata, ricordandomi com’ero io a quel tempo, osservandoli, per cercare di creare dei personaggi che siano credibili e che parlino con loro.
Come si vede se una storia funziona, se un disegno funziona? Vi è mai capitato un errore fortunato?
J- Dico sempre che la trovata del volume 1 è stata un caso fortuito. Capita molto spesso. Personalmente, quando cerco una buona idea faccio la lista delle cose che non possono succedere. Non resta dunque nient’altro che il possibile e, molto spesso, è la cosa più inaspettata e quindi la più carina. Credo che l’essenza profonda di ogni storia derivi da un caso, una trovata fortuita. Tutto il resto è struttura, per adornarla e raccontarla al meglio.
Possiamo sapere se una storia funziona quando, facendola, ci coinvolge per diversi motivi. Se nella scrittura siamo stati sinceri, nella lettura si percepisce. Poi c’è anche da dire che una storia sincera non sempre è una buona storia, ma almeno abbiamo fatto del nostro meglio e faremo ancora meglio la volta successiva.
A- È molto facile da vedere ma molto difficile da spiegare! Se un disegno funziona, non ci si pone la questione, non lo si osserva, si guarda quello che veicola, quello che racconta, quello che succede nella storia. Se non funziona, il nostro sguardo si ferma al disegno, a quel qualcosa che fa sì che non gli crediamo, quel qualcosa che crea un blocco. A volte è difficile capire di cosa si tratta, ma c’è sempre qualcosa, allora si ricomincia, si prova qualcos’altro, finché non funziona, e in effetti molto spesso capita per caso. A una svolta, succede qualche cosa, e si decide di prendere quella direzione, di cercare soprattutto di non perderla. E a volte alla fine funziona. Questo non impedisce che ci siano dei difetti, degli errori (ne vedo talmente tanti nel mio lavoro) ma per me un disegno che funziona non è per forza un disegno buono dal punto di vista tecnico, così come ci sono dei disegni tecnicamente perfetti ma che mi lasciano fredda, perché non mi parlano. Ovviamente sono tutte cose molto relative, personali.
Tu, Aurélie, quali tecniche usi?
A – Lavoro esclusivamente al computer, con Photoshop. A volte mi piacerebbe passare a qualcosa di più tradizionale, ma Cerise è un lavoro troppo grosso, e ho paura che impiegherei troppo tempo, e che il risultato sarebbe troppo differente da quello che conosce la gente. Proverò altre cose in altri progetti, come in realtà sto già un po’ facendo. Disegno a inchiostro per delle pubblicazioni più corte, ma mi piacerebbe un giorno diventare una disegnatrice tradizionale al 100%.
Qual è stato il vostro percorso artistico?
J – Io ho fatto fumetti a livello amatoriale per qualche anno piena di lanciarmi completamente in questo mestiere, con la realizzazione dei miei primi progetti. Col senno di poi, è successo molto in fretta. Nel 2008, ho inviato la mia prima cartella, nel 2009 ho firmato per il mio primo album a fumetti, nel 2010 stavamo preparando I diari di Cerise…
A – Io invece ho fatto un anno alla scuola Emile Cohl, a Lione, dove ho imparato le basi del disegno accademico, ma ero mediocre e senza dubbio troppo giovane. Poi ho fatto un BTS [Brevet de technicien supérieur , un diploma professionale, NdT] di grafica ma mi sono annoiata da morire e ho deciso di non lavorare mai in pubblicità. Poi ho smesso di cercare di fare delle scuole e mi sono guadagnata da vivere lavorando nel campo alimentare, ma non ho mai smesso di disegnare. Sono migliorata, e mi sono evoluta, finché mi sono sentita abbastanza fiduciosa da mandare il mio book e cercare degli editori che volessero lavorare con me. Poco a poco mi sono fatta dei clienti, e ho moltiplicato le pubblicazioni al punto da poterne vivere.
Cerise è nata – ho letto – perché le bambine sono poco presenti nel fumetto per ragazzi francese. Ci sono altre lacune da colmare secondo te? Ambiti ancora da scoprire?
J – Posso constatare oggi che c’è un’onda di ragazzine in arrivo e ne sono felice. Spero che in tutti i casi vengano ben raccontate. E io partecipo attivamente, perché sto moltiplicando le serie con protagoniste delle eroine e non ho ancora finito!
E sì, c’è ancora una grossa lacuna nel fumetto per ragazzi in Francia e questa volta riguarda i piccoli maschietti! Si trovano solamente come eroi di tavole umoristiche e per la maggior parte del tempo sono dei monelli. Mancano ancora dei ragazzini sensibili, un po’ sognatori, più realistici del semplice bambino turbolento o goffo. Se nessuno si lancia nell’impresa, mi ci consacrerò molto presto!
Che cosa pensate del fumetto digitale ?
J – Onestamente, non grandi cose. Che esistano nuovi supporti di lettura mi rallegra! Però non ne sono un gran consumatore e non sono preoccupato che metta in pericolo il futuro del mio mestiere.
A – Come Joris, non grandi cose. Neanch’io sono una gran consumatrice, sono un’irriducibile fanatica delle pagine che si possono sentire con le dita, dell’odore della carta e dell’inchiostro… Quando si è cominciato a parlarne, si è gridato alla fine annunciata del libro, ora non mi sembra che sia successo, anche se non è tutto rosa… quindi perché no, a condizione che sia ben inquadrato e ben pensato per l’interesse degli autori.
Quali sono i vostri prossimi progetti?
J – Al momento, portare avanti le 3 serie che ho in corso: «Sorcières Sorcières», «Enola et les animaux extraordinaires» e naturalmente «I Diari di Cerise» e scriverne il seguito.
Ma sono in arrivo nuovi progetti: «Nanny Mandy» una nuova serie di cui uscirà il primo volume nel settembre 2016; «Journal d’un enfant de lune», un fumetto su dei bambini affetti da una malattia orfana (rara e poco studiata, NdT], lo xeroderma pigmentosum; e ci sarà anche un libro per ragazzi intitolato «Quand papa n’est pas là» a inizio 2016.
Sono sul punto di firmare una nuova serie d’avventura con una ragazzina (ancora!) e sul punto di firmare l’adattamento a fumetti di una serie di romanzi per ragazzi, ma non posso ancora svelarne il titolo.
Sono anche in trattativa per riprendere di una serie a fumetti per ragazzi molto famosa ma per il momento non posso dire di più! Spiacente!
E ho ancora un sacco di storie nel cassetto. Non sono pronto a smettere di raccontare…
A – Per me, finire il ciclo de I diari di Cerise, per arrivare alla fine di quello che raccontiamo ormai da qualche anno. Parallelamente, cerco di fare più disegni personali, perché mi mancano molto. Mi piacerebbe tornare ai libri illustrati, come facevo prima, con “Les Vacances de Monsieur Rhino per esempio, e mi piacerebbe molto farne uno con testo e immagini. Ho un po’ di cose in corso, bisogna che trovi il tempo… E penso anche a prossimi progetti a fumetti, ma c’è ancora tempo e preferisco vivere il presente.
Intervista realizzata per e-mail ad agosto 2015.