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    Desidera un mondo diverso: intervista a Deena Moahmed

    L'autrice egiziana, presente a Lucca Comics con Shubbek Lubbek e con una mostra collettiva, ci racconta il suo percorso e la sua opera.
    Shubbek Lubbek

    Nella lista dei migliori fumetti pubblicati in Italia nel 2024 rientra sicuramente il sorprendente Shubbek Lubbek di Deena Mohamed, edito da Coconino Press. Un fantasy urbano e speculativo che intreccia cultura araba e riflessioni sul capitalismo, analisi della società egiziana, delle sue storture e delle sue potenzialità, la storia composta da tre episodi legati tra loro scritta da Mohamed è un’opera densa e stratificata che, forte di un world building impeccabile fatto di regole interne ben precise, arriva al lettore in maniera semplice e non pedagogica, capace di cattturare grazie alla caratterizzazione dei personaggi e del loro mondo, un Egitto fantastico e al tempo stesso molto reale.
    Ospite a Lucca Comics and Games 2024 e protagonista insieme a Takoua Ben Mohamed e Zainab Fasiki  della bella mostra Kalimatuna – Le nostre parole di libertà dedicata al fumetto femminile nordafricano e alle sue tematiche, abbiamo incontrato Deena Mohamed, che con grande gentilezza ed entusiasmo ci ha raccontato il suo percorso e alcuni dettagli della sua opera.

    Ciao Deena e grazie per dedicarci il tuo tempo. Vorrei parlare del tuo background, di come ti sei avvicinata ai fumetti e di come hai deciso di intraprendere questa strada.
    In realtà non ho mai deciso di fare fumetti perché non mi sembrava una cosa possibile. È per questo che ho finito per studiare graphic design: pensavo che il graphic design fosse una carriera artistica pratica, qualcosa che studiano le persone a cui piace l’arte ma che vogliono un lavoro. Alla fine l’ho odiato, perchè non si disegnava affatto e a me piace molto disegnare.
    Così, mentre ero all’università, ho iniziato a fare fumetti per conto mio, con un web comic che è diventato piuttosto popolare e virale. A quel punto mi sono dedicata maggiormente a questo. Ho anche avuto l’opportunità di entrare in contatto con Shennawy, il fondatore del festival Cairo Comix, che produce anche un’antologia chiamata Tok Tok. È un’opera d’arte straordinaria, raccogli tutti i migliori fumettisti egiziani che realizzano brevi fumetti su argomenti di attualità.  Shennawy ha tenuto una lezione alla mia università che mi ha davvero ispirato: fino a quel momento avevo odiato il design grafico, ma lui ha iniziato a parlare di design dalla prospettiva di un fumettista. Mi ha fatto capire che c’erano così tante cose del design che non stavo apprezzando.
    Inoltre, all’epoca il mio web comic era anonimo, non dicevo alla gente che lo stavo facendo. Ma ho deciso di dirlo a lui, e mi sono stupita che lo conoscesse, che gli organizzatori di Cairo Comix volessero sapere chi lo faceva. Da quel momento ho iniziato a frequentare la scena fumettistica egiziana, che mi è piaciuta molto. Ho anche deciso di lavorare al mio prossimo libro come libro cartaceo invece che come web comic e il mio obiettivo era quello di pubblicarlo in occasione della fiera. In realtà non pensavo a una carriera, fino a quel momento si trattava solo di un hobby, di qualcosa che facevo di nascosto e nel frattempo avevo altri lavori. Ma poi Shubbek Lubbek ha vinto il premio Cairo Comix, ho venduto la traduzione in inglese a un grande editore americano, che mi ha dato un grosso anticipo, ancora maggiore se si applica il cambio di valuta in Egitto. Grazie a questo ho potuto lavorare per tre anni al mio fumetto, una posizione piuttosto unica per un artista egiziano.

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    Hai anticipato la mia domanda sulla tua ispirazione. Volevo fare una domanda più generale, ma anche concentrarmi sui fumetti egiziani perché non sono molto conosciuti nel mondo, ma è un paese con una scena fumettistica piuttosto attiva.
    Adoro i fumetti egiziani. Dico sempre alle persone che il Cairo Comix è il miglior festival di fumetti del mondo, forse sono un po’ di parte (ride). Parlando di ispirazione, Shennawy è uno dei miei idoli in fatto di fumetti e design. È un ottimo mentore, molto accogliente e inclusivo. Lo stesso vale anche per Mohamed Salah (non il calciatore!) (ride). È un artista davvero molto bravo. C’è anche May Korayem, una scrittrice egiziana di graphic novel di Alessandria, che realizza fantastiche narrazioni storiche e di fantasia. E poi direi Migo Rollz o Doaa el-Adl, e la lista sarebbe lunghissima. A livello internazionale, ci sono molti artisti che amo, è difficile fare una lista qui.

    Shubbek Lubbek è un’opera molto stratificata e ricca. Vorrei iniziare, innanzitutto, parlando del mondo in cui sono ambientate le storie, che è molto chiaro e codificato in tutte le sue regole. Come hai lavorato alla costruzione di questo universo e in particolare alla sua parte principale, quella dei desideri e del loro funzionamento?
    Tutto è iniziato con il chiosco. Volevo semplicemente disegnare questo luogo e raccontare con il fumetto le cose che vi accadevano. Poi ho iniziato a pensare: e se questo chiosco vendesse qualcosa di magico? E se si trattasse di un desiderio? Che tipo di mondo è quello in cui puoi comprare un desiderio in un chiosco?
    Da queste domande ho iniziato a costruire il mondo di Shubbek Lubbek. Ad esempio, se puoi comprare un desiderio, allora sicuramente c’è un prezzo da pagare. Questa era una delle chiavi della storia: come può un desiderio avere un prezzo? Devono esistere classi di desideri, come in ogni cosa nel nostro mondo. Questo è un aspetto comune a molte storie di desideri tradizionali. Alcune storie hanno classi di geni. Ci sono geni potenti e geni meno potenti. Il cambiamento principale è stato quello di rendere il genio come un prodotto, non come una persona, e dare un prezzo a questo prodotto. È stata una cosa davvero coinvolgente, in due ore ho delineato questo mondo e le sue regole, confrontandomi anche con dei miei amici. Mi piace molto la narrativa speculativa, quindi mi sono divertita a pensare a queste cose, così come al tipo di desideri che una persona avrebbe potuto chiedere. Ci saranno le domande più ovvie, ovviamente: desiderare la pace, desiderare la vita eterna, cose fondamentali. E ci sono sempre delle regole quando si tratta di desideri. L’importante è avere un mondo con regole adeguate, in modo che il lettore senta che si può fidare, a nessuno piace qualcosa che è troppo traballante.

    A nessuno piace un mondo di fantasia che non funziona seguendo delle regole…
    Sì, ho voluto costruire questo mondo con molta attenzione, in modo che la storia si reggesse da sola. Per il mercato arabo ho realizzato tre volumi separati che poi sono stati riuniti in questa versione. Le infografiche nella versione italiana e in quella inglese non sono presebti in quella araba, per esempio, erano un libretto separato che ho realizzato gratuitamente e regalato insieme alla terza parte. Si trattava di una piccola parte non inclusa nella storia, ma pensavo fosse necessaria per la versione tradotta. Era qualcosa che avevo creato per poi pensare ai personaggi, per dare loro una vita credibile. Come detto, ci ho messo poche ore a idearla e poi ho passato circa 6 anni a disegnarla.

    A proposito di traduzione, è stato difficile adattare alcuni concetti e aspetti culturali in un’altra lingua? L’arabo e l’inglese sono profondamente diversi, non solo come lingua ma anche nei loro riferimenti culturali.
    Prima di lavorare a Shubbek Lubbek stavo lavorando a un webcomic sia in inglese che in arabo e pensavo costantemente a come trasmettere la mia cultura in un’altra lingua.
    Con questo lavoro, in realtà, volevo fare l’opposto: stavo facendo qualcosa solo per il pubblico egiziano, quindi ho deciso di non pensare a un pubblico straniero. L’obiettivo era quello di avere un successo in Egitto, della traduzione mi sarei occupata dopo averla eventualmente venduata. Ma quando ho iniziato a farlo, mi sono un po’ odiata (ride) perché era davvero molto difficile da tradurre e io non sono una traduttrice professionista. Ho addirittura realizzato un fumetto sul processo di traduzione, spiegando tutte le difficoltà.

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    Sarebbe bello pubblicarlo insieme al libro vero e proprio!
    E’ disponibile sul mio sito web e sul mio profilo Instagram. I traduttori americani hanno avuto qualche problema con gli stereotipi culturali presenti nel libro, come ad esempio quello rappresentato nell’episodio di Aziza e suo marito: non erano esattamente sicuri della natura del loro rapporto, perché in Egitto è un archetipo molto famoso, quello della moglie fredda e del marito burlone. Erano un po’ confusi, pensavano che lei non lo amasse veramente, quindi ho dovuto ampliare questa parte nella versione inglese per renderla più chiara, anche se non ho cambiato affatto la storia. Un’altra differenza sostanziale rispetto alla versione araba è che il narratore spiega solo il mondo dei desideri, mentre in inglese è anche un traduttore che spiega il significato delle parole. Credo che questo mi abbia aiutato molto nella traduzione, perché volevo proprio questo effetto, che sembrasse una traduzione.
    Per me è stato anche molto importante mantenere l’ordine di lettura da destra a sinistra, in modo da rendere le persone più aperte a una nuova storia ma anche a una nuova cultura. Come nel caso dei manga, le persone sapevano che si trattava di una traduzione, dovevano leggerlo in una direzione diversa e quindi erano automaticamente pronte per qualcosa di sconosciuto, per una nuova esperienza. Si tratta di qualcosa di fisico, che coinvolge gli occhi e il tatto.

    E’ come dire fin dall’inizio che si è di fronte a qualcosa di diverso, un nuovo mondo, e il lettore deve accettare le sue radici, quelle che hai creato tu ma anche quelle della tua cultura, che non sono le stesse di quelle del lettore.
    Esattamente, è così che mi sento quando leggo un manga, una storia coreana o cinese. E volevo portare questo spirito in una graphic novel araba, perché spesso siamo costretti a stravolgere noi stessi per i lettori stranieri. Ma è stato bello poter dire: “Aspetta, l’arabo non è inferiore al giapponese. Perché dobbiamo capovolgere i nostri libri?”.

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    Parliamo di temi. In quest’opera parli di stato di diritto e repressione, di depressione e malattia mentale e del rapporto tra le religioni. Partendo dallo stratagemma di un mondo fantastico ma molto simile al nostro, parli delle ambivalenze, delle distorsioni ma anche delle potenzialità della società egiziana contemporanea. Come hai sviluppato questo tipo di narrazione?
    Già nel mio webcomi affrontavo temi sociali. Trattavo di diversi problemi che mi preoccupavano, quindi avevo già questa esperienza. Con Shubbek Lubbek volevo evitare di dare un messaggio, non volevo essere didascalica e dare lezioni. In realtà volevo raccontare una storia e dal processo della storia credo sia nata una discussione su temi specifici. Per me è impossibile raccontare una storia interessante o onesta senza guardare il mondo attorno a me: non si può raccontare una storia sui desideri, su ciò che le persone vogliono, senza parlare di ciò che impedisce loro di ottenere ciò che desiderano, soprattutto quando un desiderio costa denaro. Devi parlare della società classista, della povertà, della burocrazia. Ma prima di tutto vreniva comunque la storia, che doveva essere interessante da leggere, che non fosse un stereotipata. Ho cercato di non dare risposte facili, come ad esempio riflettere su chi desidera la felicità. Chi è il tipo di persona che spenderebbe l’equivalente di un milione di dollari (il costo di un desiderio in prima classe) per la propria felicità? È un costo enorme. È una cosa che farebbe solo una persona per la quale la felicità è il centro del proprio mondo. Lo stesso vale se si parla di un tema come la depressione: è meglio non parlarne in modo superficiale, altrimenti la storia è inutile, non ha impatto. Per questo motivo preferisco raccontare una storia bella e onesta e cercare un nuovo modo di vedere il significato di un particolare tema, in questo caso quello del desiderio.

    Lo stile e la costruzione delle tue tavole sono molto chiari e diretti, la narrazione si concentra principalmente sulla trasmissione della storia piuttosto che su disegni più elaborati. Come hai lavorato su questo aspetto?
    Come ho detto, l’obiettivo era quello di vendere il libro in Egitto, quindi volevo che lo stile e la narrazione fossero il più chiari possibile per i lettori egiziani. Per questo ho cercato di non sovraccaricarli, perché so che molti lettori egiziani hanno problemi con le graphic novel, pensano sempre che i fumetti siano per bambini, quindi quando vedono un romanzo con contenuti un po’ più filosofici non sono preparati. La loro mente non è ancora aperta al pensiero concettuale sotto forma di fumetto.
    Ho cercato quindi di introdurre questi concetti passo dopo passo: la storia inizia con tavole molto semplici, un disegno per pagina, e poi diventa sempre più complessa nella sua struttura. Così, usando anche l’ironia e l’umorismo, vengono introdotti i personaggi e ci si affeziona ad essi, venendo coinvolti nella storia. Questo è anche il motivo per cui la prima parte ha un narratore, per guidare il lettore attraverso la storia, per insegnargli in qualche modo a immedesimarsi nei personaggi. Inoltre, questo elemento porta un po’ di equilibrio, perché la storia è molto densa.

    Infatti ci sono tre storie nel libro.
    Sì, il progetto originale era una trilogia. E dato che la storia è così ricca di avvenimenti, volevo essere sicura che la parte artistica non creasse confusione, la narrazione non poteva essere troppo fantasiosa. Non puoi raccontare una storia complicata in modo complicato. Devi raccontare una storia complicata in modo semplice, così che le persone la capiscano rapidamente e non si fermino in un punto in cui non vuoi che si fermino. Uno dei motivi per cui ho inserito le infografiche alla fine di ogni parte nella versione internazionale è che volevo che le persone si fermassero lì, tra un episodio e l’altro, per soffermarsi un po’ sulla storia (cosa di cui non avevo bisogno in arabo, perché tra un capitolo e l’altro era passato un anno intero).
    Per me la cosa più importante in un fumetto è il ritmo, un aspetto che la maggior parte delle persone sottovaluta. Quando scrivo, penso al numero di pagine che voglio avere e alle pause, per stabilire il ritmo della storia.
    Un altro aspetto importante è stato quello di bilanciare fantasia e dettagli realistici. La storia è un urban fantasy, una fiction speculativa, quindi avevo bisogno di bilanciare questo senso di realismo, rappresentando gli oggetti che le persone usano, i vestiti, il cibo che mangiano, lo sfondo, la città. In questo modo, il dilemma dei desideri diventa molto più reale. So che probabilmente ne sto parlando in modo molto tecnico, ma per me questo è il vero significato di narrazione. Se hai una storia importante e vuoi trasmettere una grande emozione, devi decostruire la struttura in questo modo.

    Shubbeklubbek Genie

    Ci sono molte cose di cui potremmo parlare, ma sono rimasto particolarmente affascinato dalla rappresentazione dei geni, ho immaginato la loro voce e il loro movimento, quasi come un’animazione. A cosa ti sei ispirata per la loro creazione? Ad esempio inserendo la lingua araba direttamente nel disegno dei geni stessi.
    Ci sono due elementi che mi hanno guidato nella creazione dei geni. Innanzitutto volevo che la storia fosse più araba e più egiziana, in un modo in cui la maggior parte delle storie sui geni non lo è più da molto tempo. I geni provengono dal Medio Oriente e da tutta la cultura orientale. Si possono trovare nella mitologia cinese, in quella persiana e in tutto il mondo arabo. Quindi volevo renderlo più egiziano in qualche modo.
    Il secondo elemento, come ho detto, è che i geni sono prodotti. Tradizionalmente, in ogni storia sui geni, essi sono il personaggio principale. Il genio di solito è uno schiavo o magari ha una storia tutta sua. Nel mio lavoro volevo spersonalizzarli completamente, quindi non volevo che avessero una forma umana. Allo stesso tempo, volevo che fossero espressivi. L’arte islamica tende ad allontanarsi dalle figure umane, tende a non raffigurarle, ecco perché c’è tanta calligrafia e tanta arte geometrica. Così, quando stavo cercando di capire come sarebbe stato rappresentanto un genio, ho pensato che l’arte islamica potesse essere interessante sotto questo aspetto. E rappresentandoli con la calligrafia, attraverso le domande che pongono, li avrei spersonalizzati. Questo mi ha anche permesso di definire le diverse classi di geni: quelli di prima classe sono rappresentati con una calligrafia molto elegante, parlano in modo molto educato, mentre i geni di terza classe sono una specie di mostro scarabocchiato e parlano in modo molto sgarbato.
    Una cosa che volevo sottolineare a proposito della calligrafia è che si adatta a ogni personaggio. Per il genio di Shawqia si tratta di una calligrafia un po’ più simile a quella dell’epoca copta e bizantina, con uno stile di pittura in miniatura. Mentre per Shukri si tratta di uno stile arabo molto classico.
    Quindi, anche solo attraverso il testo in arabo, sono riuscita a rappresentare sia la loro personalità, sia il fatto che non vengono trattati come persone, anche se sono esseri viventi, ma vengono sfruttati. Sono esseri senzienti che sono stati fabbricati e intrappolati per togliere loro tutta la forza di volontà. I geni di terza classe hanno ancora forza di volontà, ecco perché ingannano le persone, perché le odiano. Quindi penso che questo sia il sottofondo della storia: una riflessione sul capitalismo, essenzialmente.

    Direi sia sul capitalismo che sul colonialismo, su ciò che ha lasciato nei paesi che ha sfruttato.
    Sì, esatto. Anche se non viene affrontato in maniera esplicita, si percepisce un senso di disagio. E credo che questo sia il motivo per cui alcuni trovano la terza parte, l’argomentazione di Shukri, in qualche modo convincente, perché c’è un senso di inquietudine per il fatto che sicuramente usare i desideri non può essere giusto. Questa storia parla di ciò che le persone desiderano, ma alla fine la domanda rimane: è eticamente giusto esprimere un desiderio? E questo è anche il modo in cui viviamo nel nostro mondo. Prendiamo costantemente decisioni che non sono eticamente corrette, perché è così che è costruita la società. Volevo che ci fosse un senso di impotenza nel non poter affrontare questo problema. La storia ruota attorno ai personaggi, non alle strutture della società, e i personaggi non hanno voce in capitolo, tranne Shukri, che guarda la situazione da una prospettiva religiosa.

    Grazie mille per il tuo tempo e la tua risposta Deena!

    Intervista realizzata il 2 novembre a Lucca Comics and Games 2024

    Deena Mohamed

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    Deena Mohamed è un’artista di fumetti, scrittrice e designer egiziana. Ha iniziato a realizzare fumetti a soli diciotto anni con Qahera, un webcomic semi-satirico e semi-serio che racconta le avventure di una supereroina visibilmente musulmana egiziana, affrontando temi come l’islamofobia e la misoginia.

    Durante gli studi universitari in graphic design ha approfondito la storia dei fumetti egiziani per la sua tesi, un lavoro che ha ispirato la creazione della sua trilogia a fumetti,
    Shubeik Lubeik. Quest’opera, una storia urban fantasy ambientata in un mondo dove i desideri si possono acquistare, ha riscosso grande successo. La prima parte è stata autopubblicata al Cairo Comix Festival, dove ha vinto il premio per il Miglior Fumetto e il Grand Prize nel 2017.

    Successivamente, l’intera trilogia è stata pubblicata in arabo in Egitto da Dar El Mahrousa come tre graphic novel distinti. L’edizione inglese, tradotta e pubblicata come volume unico, è stata acquisita da Pantheon Books per il Nord America e da Granta per il Regno Unito, uscita a gennaio 2023, e per Coconino Press in Italia nel 2024. Oltre al suo lavoro personale, Deena realizza illustrazioni freelance per clienti locali e internazionali come Insider, Viacom, Google, UN Women, Harassmap e Mada Masr. Ama lavorare su progetti legati allo sviluppo comunitario, alla sensibilizzazione e all’editoria per bambini.

    Attualmente vive e lavora tra Il Cairo e New York, dedicandosi ai fumetti e collaborando con varie realtà creative.

     

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