A distanza di sette anni dall’ultima graphic novel, Luna del mattino, e dopo quattro dalla raccolta di racconti Notte rosa, editi da Coconino, Francesco Cattani torna con un nuovo volume autoconclusivo per Feltrinelli Comics: una storia dai tratti autobiografici in cui l’amore si scontra con difficoltà e pregiudizi, ma anche, come talvolta accade, con il peso dei non detti e dei tempismi sbagliati. Favola, infatti, racconta la relazione tra Ciccio, aspirante fumettista, e Luna, una ragazza transgender: una relazione fatta di alti e bassi, che inevitabilmente deve scontrarsi con i pregiudizi del mondo di fuori. Si crea così un’inevitabile frizione tra ciò che avviene tra Ciccio e Luna e ciò che accade al di fuori di loro: è possibile immaginare di superare insieme agli ostacoli, come nelle migliori favole? Durante il Napoli Comicon, abbiamo avuto il piacere di incontrare l’autore per discuterne insieme.
Ciao Francesco, grazie per questa intervista.
Innanzitutto volevo chiederti com’è nato Favola e com’è stato lavorare a una narrazione in parte autobiografica?
Allora, Favola è nato in un momento in cui stavo lavorando a un altro progetto. Io di solito racconto storie personali, storie autobiografiche un po’ rielaborate, quindi è normale ispirarmi alla mia vita. In questo caso è successa questa cosa e ho sentito la necessità di raccontarla. Quindi è stata una cosa molto veloce, istantanea e anche realizzata in pochissimo tempo, come una specie di fulmine a ciel sereno. Racconta di questo ragazzo che si innamora di una ragazza trans e vive questa difficoltà sociale tra famiglia, amici e accettazione in generale di questa condizione che, diciamo, non è così canonica, almeno secondo le regole imposte.
Infatti anche il titolo mi sembra incarni bene questa contrapposizione. Nel senso che alcuni personaggi fuori dalla relazione sembrano usarlo quasi in maniera dispregiativa, come se fosse un utopico immaginare questo tipo di rapporto. Mentre applicato alla relazione stessa ha in realtà un senso romantico perché, lasciando stare ciò che accade fuori, quello dei protagonisti è un legame che segue anche le normali complessità di qualsiasi rapporto umano.
Sì, è esattamente così. Ha questo doppio senso: dall’esterno i familiari e gli amici gli dicono “Raccontati tutte le favole che vuoi, ma tanto alla fine con questa persona non potrai avere figli e un giorno ti troverai una persona normale”. Questa parola, normale, dà l’idea di questa condizione che è accettata e non accettata allo stesso tempo, quindi normale e non normale, che è super violenta. D’altro canto la favola è quella che vivono loro, come storia d’amore. E in più il libro è strutturato quasi come una storia d’avventura: c’è una forza che unisce i due protagonisti che vanno verso la realizzazione della loro unione e poi ci sono le forze “avverse” che cercano di distruggere questa relazione, di stroncarla sul nascere o comunque di danneggiarla. E quindi è proprio come una favola d’avventura, no?
Sì, ci sono di volta in volta delle prove da superare.
È un vero viaggio dell’eroe ma non è che ci sia un vinto o un vincitore. Quello che rimane invece è questa grande forza che attrae i due personaggi, che è molto tenera.
Sicuramente la loro dimensione è intima, spontanea e naturale , e anche questa mi sembra una parola che ritorna spesso nell’opera, che si contrappone a ciò che invece viene da fuori. Riguardo a questo: è molto presente anche il contesto della provincia, che molto spesso appare come una bolla, come può esserlo a sua volta anche quello familiare. Durante la stesura del fumetto, hai riflettuto sull’importanza e la necessità di provare a cambiarla, anche se costa fatica, e su quella di cercare di “evadere”, come i protagonisti talvolta hanno la tentazione di fare e rifuggire tali ostacoli che, in realtà, non provengono da loro?
Guarda, sono appena venuti due ragazzi ora allo stand, una coppia che mi ha posto la stessa domanda. Hanno detto che stanno vivendo la stessa esperienza che c’è nel libro e il grosso problema è davvero il primo nucleo, cioè i genitori, perché alla fine sono poi quelli di cui fai più fatica a fare a meno, così come della loro stima, del loro consenso. In realtà è difficile però dire cosa fare, perché dipende dalle attitudini delle persone. Ad esempio io alla loro età, a 24 anni, ero molto ribelle, volevo andarmene di casa a tutti i costi, ma non puoi dire a una ragazza di quell’età “prendi e va’ via di casa se non accettano questa tua relazione”. Quindi cambiare la bolla diventa necessario, o almeno provarci, quantomeno non inibendoti, capito?
Continuare a essere te stesso, anche di fronte allo sguardo e al giudizio, diventa una sorta di attivismo che non è politico, a livello nazionale, ma è già un atto di attivismo, di cambiamento della realtà.
Quindi cambiare il proprio piccolo nucleo, o quantomeno provarci, è già tantissimo, ed è già un grande atto di forza. Io non mi ritengo un attivista, non sono un “artista attivista”: mi piacerebbe, ma ritengo che siano persone che sono più adatte, anche più preparate. Il mio libro non è fatto con questo intento, però racconta che anche nel tuo piccolo puoi fare degli atti di cambiamento, che è già durissima. Quindi non c’è una vera e unica soluzione.
Poiché questa è una storia in parte autobiografica, è stato difficile trovare il giusto equilibrio con quella che invece è pura fiction. Se a un certo punto i personaggi ti sono sembrati andare per la loro strada piuttosto che quella che magari avevi inizialmente programmato.
Sì, questo è quello che è successo, e quando succede allora dico che è tutto ok, il libro funziona. Se riesco a trattenerli troppo dove voglio io, vuol dire che non vanno bene. Quindi anche il personaggio che ha ispirato me in realtà poi fa e dice cose che magari io non direi, “fa il suo lavoro”, diciamo, quindi assolutamente sì.
Rispetto allo stile grafico, sono passati anni dal tuo lavoro e dal 2020 lavori anche su Dylan Dog: come senti che è cambiato, se è cambiato, il tuo stile in questa storia? Hai sentito di dover obbedire a esigenze grafiche diverse rispetto ai lavori precedenti?
Allora, in questo caso ho l’idea che la tecnica sia comunque un po’ schiava della storia che devi raccontare. Poi si cerca sempre di dargli un’identità personale, però comunque io metto sempre la storia al primo posto: anche se il fumetto è fatto di disegni ovviamente, ci vuole un giusto equilibrio.
In questo caso ho lavorato con il digitale, direttamente l’iPad, cosa che non avevo mai fatto prima se non per dei lavori più commerciali. Però mi ha dato la possibilità, assieme al bianco e nero, (anche se sto iniziando a lavorare ad acquerello nei nuovi lavori) di dare un ritmo e un taglio molto più forte alla storia, perché l’acquerello è più evocativo e quindi ti dà altre possibilità narrative. A me invece interessava il ritmo, infatti è un libro che leggi molto velocemente, e per me è importante, perché vuol dire che ti prende, arriva e poi dopo ti rimane, o si spera che ti rimanga.
E una delle cose che rimane di più è senza dubbio il finale, che è un spiraglio di speranza, però allo stesso tempo non credo stoni con il taglio realistico della storia, ma apra una possibilità. Volevo chiederti come e perché hai sentito fosse questo il finale giusto per questa storia.
Non saprei, il finale è venuto da sé. Credo che il grande viaggio dell’eroe sia nel personaggio maschile, che deve fare un processo di accettazione di se stesso, della società, di come comportarsi, e ricade costantemente negli errori del mondo di cui faceva parte, quindi la società classica con tutte le sue battute, che ogni tanto gli riescono fuori fino a ferire la sua ragazza Luna. Ogni volta che riesce a fare dei passi avanti poi ne fa qualcuno indietro, quindi è lui stesso il suo problema, no?
Anche perché il personaggio femminile, che vediamo sempre inevitabilmente un po’ filtrato dal suo sguardo, è un personaggio molto forte: ha delle fragilità, ma è anche già pronta.Deve invece in qualche modo “rimettersi” al suo, di tempo. Questo flashforward forse serve anche a questo, a dare a lui il tempo di arrivare dove lei è già arrivata.
Sì, o comunque di ricominciare da un punto più maturo dove a tutto quanto è sopravvissuta soltanto la dolcezza, che per me era quello che univa i due personaggi.
Un’ultima domanda rispetto ai tuoi progetti futuri: continueranno sul filone autobiografico o prevedono altro?
Allora, in questo momento sto scrivendo un fumetto d’avventura, a breve magari farò vedere qualcosa. E un libro poi, sempre del filone di Favola, che però parla del mondo del lavoro e del rapporto col padre. Saranno degli sketch abbastanza cinici, penso, è ancora in fase di scrittura.
Grazie mille a Francesco Cattani per il tempo dedicatoci e per questa intervista ricca di spunti.
Intervista eseguita dal vivo al Comicon 2025.
Francesco Cattani
Francesco Cattani nasce a Bologna nel 1980. Esordisce nel mondo del fumetto nel 2004 sulla rivista RES-ISTANZE con una storia breve intitolata Inizio. Pubblica poi storie a fumetti su numerose riviste, tra cui Internazionale, Rolling Stones, XL-Repubblica. Nel 2007 vince il Premio Micheluzzi per la sua storia breve Barcazza, che poi diventa la sua prima graphic novel, pubblicata nel 2010 da Canicola. Nel 2015 esce per Coconino il suo secondo volume autoconclusivo, Luna del mattino, e nel 2017 e alla fine del 2020, la raccolta di racconti Notte rosa. Nel 2020 torna a lavorare su Dylan Dog su una trilogia dedicata a Mana Cerace, insieme a Piero dell’Agnol. Favola, pubblicato da Feltrinelli Comics alla fine del 2024, è il suo ultimo lavoro a fumetti.