Che cos’è un cartone animato? è un agile volume edito da Carocci, incentrato sulla definizione del cartone animato principalmente in Italia, quindi in Europa e negli USA. L’autore non lascia da parte l’analisi e la storia degli anime, ma a questi dedica uno spazio minore rispetto a quello impiegato per discutere il cartone animato.
Marco Bellano, dottore di ricerca in Storia del cinema, insegna History of Animation e Digital and Interactive Multimedia all’Università di Padova. Ha insegnato anche Storia della Popular Music al Conservatorio di Ferrara e History of Italian Cinema presso la sede di Padova della Boston University.
È autore di numerose pubblicazioni sulla musica per gli audiovisivi e sul cinema d’animazione, uscite in Italia e all’estero. Giornalista pubblicista, si occupa di divulgazione e didattica musicale dal 2001. Collabora con enti attivi nell’ambito dell’organizzazione di eventi musicali e cinematografici.
Oltre alla carriera accademica, è anche diplomato in Pianoforte presso il Conservatorio di Vicenza, percorso completato con il diploma in Direzione d’Orchestra.
Che cosa ci dice questo libretto che già non sappiamo? In primo luogo, lo studioso ci dimostra quanto sia sbagliato usare, come fossero sinonimi, la parola animazione e l’espressione “cartone animato”. Quest’ultimo, infatti, è un tipo di animazione e non risolve da sola tutta la gamma di possibilità e di generi propri di quella.
Dopo aver chiarito un primo equivoco, l’autore affronta un secondo problema, relativo all’espressione “cartone animato”, con riferimento alla prima parte di questa coppia di parole: il termine cartone infatti ha origini romanze, ma diviene ben altra cosa in USA, quando finisce per indicare appunto i cartoons, per tornare in Europa con il significato di cui è stato caricato dalla produzione cartoonistica americana: un tipo di disegno vicino al fumetto, semplificato nelle forme, caratterizzato poi dall’animazione.
Ma il libro non è solo una descrizione e un’analisi di espressioni e parole: l’autore dedica spazio alla storia del cartone animato, raccontando sinteticamente, ma con chiarezza, le tappe e i momenti fondamentali, secondo una logica temporale; senza però dimenticare l’importanza delle tecniche, delle scoperte e delle innovazioni che hanno contribuito alla forma che oggi definiscono il cartone per come lo conosciamo.
In questa narrazione lo studioso affronta anche un’altra questione, relativa a un fatto di ricezione: il cartone è stato percepito come forma di intrattenimento esclusivamente infantile. Questa considerazione è da mettere in relazione con il fenomeno, che nasce come probabile reazione a questo pregiudizio, dell’etichetta di cartoni per adulti, caratterizzati spesso più che da maturità e serietà dei temi e dei modi di narrare, da violenza e volgarità, spinti all’eccesso.
Per una serie di motivazione storiche, il cartone ha preso, nella coscienza dei più, una piega fanciullesca, finendo per essere considerato un prodotto adatto all’infanzia e ai quali un adulto tornerebbe solo perché spinto dalla nostalgia. Naturalmente, oggi è evidente che le cose stanno in modo diverso.
Lo studioso, quindi, anche quando guarda al passato, tiene presenti i pregiudizi del tempo presente: la storia diventa quindi uno strumento utile a confutare alcuni stereotipi.
In ciò diventa importante il fenomeno Walt Disney, dato che la storica casa produttrice di cartoni animati è quella che ha avuto la forza di imporsi sull’immaginario occidentale e non solo, finendo con il condizionare la percezione del cartone animato: le prime produzioni, rifacendosi a racconti per bambini, hanno spinto in questa direzione.
La forza iconica della Disney è tale che altre grandi realtà nate successivamente, anche quando hanno preso strade diverse, non possono essere comprese se non poste in relazione all’immaginario Disney: si pensi alla Warner Bros, alla Metro Goldwin Mayer e, per avvicinarci ad anni più recenti, alla Nicklodeon e a Cartoon Network.
Queste realtà hanno creato cartoons diversi dallo stile Disney: ai disegni realistici di questa, si oppongono cartoni animati esagerati, caratterizzati da disegni in cui si vede con chiarezza la mano del disegnatore; ai quali aggiungere anche storie che sfruttano creatività e fantasia oltre il reale, soprattutto nei movimenti dei personaggi, che diventano flessibili e plasmabili oltre ogni limite fisionomico.
A proposito di stile, colpisce un’osservazione dello studioso, alla quale concede spazio quando discute le caratteristiche grafiche della Pixar: Marco Bellano scrive che i personaggi prodotti dallo studio d’animazione digitale subirono un processo di stilizzazione «geometrica e pupazzettistica, quasi si trattasse di marionette in stop motion», così da evitare «sgradevoli effetti di straniamento perturbante causati da personaggi umani fotorealistici». Un’osservazione che restituisce la qualità delle argomentazioni: anche quando l’autore allinea dei fatti, in ragione di un’analisi storica, li discute. In questa cursoria analisi, ci restituisce uno dei problemi concreti delle produzioni tecnologicamente più avanzate: se prima, quando nacque la Disney, era importante costruire cartoni animati che riproducessero la realtà (si pensi ai primi lungometraggi), adesso il problema, con i nuovi mezzi, è evitare effetti stranianti e perturbanti, ricorrendo a fenomeni di differenziazione dal reale dei corpi dei personaggi.
Infine, una cursoria analisi è dedicata ai cartoni animati fuori dall’Europa e dagli USA. Anche in questo caso, ci ritroviamo davanti a un problema di nomi: l’etichetta anime, per esempio, è usata in Giappone in sostituitone del nostro cartoni animati e non indica, come in Italia, una specifica estetica orientale, in particolare nipponica.
Infine, la nuove tecnologie, legate al digitale, ci proiettano verso un nuovo modo di fare cartoni animati, fermo restando che davanti a una produzione che di fatto non usa i disegni (intesi in maniera tradizionale) si pone ancora una volta un problema di definizione: i nuovi cartoni restano cartoni per un fatto di percezione, ma sono nuovi prodotti, con nuove tecniche e con una estetica diversa. Certamente, cambiando i tempi e le tecnologie, vedremo nuovi sviluppi di quello che tradizionalmente chiamiamo cartone animato.
Il saggio si legge bene: brevità e chiarezza rendono la lettura scorrevole realizzando concretamente la vocazione introduttiva, caratteristica della collana Le bussole a cui appartiene il libro. Il volume, infatti, persegue due obiettivi: spiegare la storia dei cartoni e delle tecniche di produzione; e dimostrare che i cartoni animati non sono solo per bambini. Si tratta, quindi, di una ricerca storica in senso tradizionale, ma anche di un’opera di critica sia sui cartoni animati citati che su alcune questioni lessicali e di percezione del fenomeno cartone animato.
Abbiamo parlato di
Che cos’è un cartone animato?
Marco Bellano
Carocci Editore, 2024
144 pagine, brossurato – 13,00 €
ISBN: 9788829025350