La penultima serie dedicata alla JLA pre-Flashpoint, iniziata a fine anni Novanta del XX secolo da Grant Morrison con l’apporto grafico di Howard Porter, dopo l’abbandono dello sceneggiatore scozzese marciò a fasi alterne fino alla naturale conclusione, per poi ricominciare dal numero 1 con un nuovo sceneggiatore, Dwaine McDuffie, affiancato dal disegnatore Ed Benes.
Gli aspetti interessanti delle storie di McDuffie erano molteplici: da una gestione più intrecciata delle dinamiche di gruppo, all’inserimento nella formazione di supereroi non scontati come l’insegnante afroamericano Blacklightning, o a un’interpretazione molto interessante di Batman, che in uno degli episodi iniziali di McDuffie, dà voce a un’affermazione al limite dell’anarchismo:
Sono convinto che, quando nessuno sa cosa sta facendo il governo, ciò che fa il governo diventa illegale
È interessante osservare come questa affermazione catturi perfettamente lo spirito di uno dei personaggi più intriganti del vecchio cast batmaniano: Anarky. Ideato da Alan Grant e Norman Breyfogle sulle pagine di Detective Comics #608, da un punto di vista squisitamente libertario la sua esistenza risultava e per certi versi risulta ancora necessaria per impedire di confondere il caos generato dal Joker a Gotham con i principi anarchici. Questi ultimi sono essenzialmente all’opposto rispetto alla lucida follia del pagliaccio del crimine, coprotagonista di Gioco finale, saga che, insieme con Anarky, si conclude proprio su Batman #42.
Lotta all’ultimo respiro
Si potrebbe dire che nei meccanismi del fumetto seriale supereristico è tutto sommato semplice proporre colpi di scena sconcertanti. La struttura stessa di questo genere, fatta di retcon, universi paralleli e altre possibilità simili, permette di spiazzare il lettore con trovate d’effetto, in considerazione del fatto che lo sceneggiatore di turno, o chi prende le redini dopo di lui, ha sempre a disposizione un set di strumenti narrativi validi per riproporre lo status quo più tradizionale.
Eppure conta molto anche il “come” si realizzano questi colpi di scena. Possono rientrare nell’ambito di grandi eventi annuali, di sapore fortemente commerciale, o possono comunque apparire gratuiti nella loro funzionalità, unico motivo di interesse in una storia invece piuttosto ordinaria.
Oppure possono costituire l’imprevedibile epilogo di un lungo duello tra il supereroe e la sua nemesi, imprevedibile quanto logico, con il senno di poi. Perché la “guerra fredda” tra Batman e Joker, in Gioco finale di Scott Snyder e Greg Capullo, è stata costruita dallo sceneggiatore in modo tale che non potesse che finire così, per essere presa sul serio nella sua portata. Ci sono già state tante storie in cui i due nemici si confrontavano, e molto spesso la posta in gioco risultava molto alta e il pericolo estremo.
Scott Snyder lo sapeva, ed è con questa consapevolezza che ha scritto una storia che aveva il suo finale già impresso nel titolo stesso dell’arco narrativo. Per mettere in piedi questa ennesima sfida tra i due personaggi, non occorreva tanto alzare ulteriormente l’asticella del pericolo, effetto comunque ottenuto dal grado di caos portato a Gotham City dal pagliaccio del crimine, quanto partire da una base diversa come concezione – un Joker che non vuole più giocare con il suo avversario perché si sente tradito nel tacito patto che lui vedeva – e costruire una storia che come un imbuto si restringeva sempre di più nelle possibilità di sfogo, fino alle ultime pagine. Il capitolo conclusivo di Gioco finale è uno scontro claustrofobico, in una caverna sottoterra, tra due nemici ancestrali, una lotta fatta di coltelli e pugni, di dolore fisico e psicologico.
C’è un Joker manipolatore, come quello raccontato da Sam Kieth in Segreti, che continua a giocare con la sua presunta immortalità, caratterizzato però come in The Killing Joke di Alan Moore e Brian Bolland.
C’è persino una rielaborazione di alcune delle battute chiave di quella storia all’interno del confronto nelle viscere di Gotham, un confronto che inevitabilmente richiama quello avvenuto nel tunnel dell’amore del luna park di Gotham ne Il ritorno del Cavaliere Oscuro di Frank Miller.
È, dunque, un rinnovare l’epica della sfida partendo dalla tradizione, in particolare dalle caratterizzazioni fornite da Miller e sopratutto da Moore, il cui lavoro nel complesso sembra aver inciso di più sulla caratterizzazione di Batman. Il personaggio descritto da Snyder è infatti ben lontano dal vigilante ossessionato di Miller, ma molto più vicino al temerario protettore di Gotham proposto da Moore nel 1986 sulle pagine di Swamp Thing #53.
Questione di stile
E c’è Greg Capullo, che raggiunge qui uno dei punti più alti della sua carriera su Batman. Le tavole risultano particolarmente efficaci in ogni fase dell’albo, sia durante il primo scontro per le strade della città, dove rende perfettamente le capacità acrobatiche di Dick Grayson, che si era sostituito al suo mentore sotto il mantello di Batman, quindi durante il violentissimo scontro nelle caverne sotto la città. Di chiaro stampo eisneriano è, in particolare, il modo in cui rende la loro rotolata lungo una scarpata, spostando la vignetta con il dettaglio dello scontro secondo la pendenza che ha dato con la vignetta gigante che ne fa da sfondo.
Oltre alla struttura della pagina, che viene adattata alle esigenze narrative, Capullo presenta anche alcune citazioni al Batman di Miller, soprattutto in alcune delle posture dell’eroe.
La resa finale è altamente spettacolare, anche grazie agli effetti aggiunti dal colorista FCO Plascencia, con i due personaggi che si muovono in maniera plastica sulla pagina, e un Joker mai così demoniaco e disperato nell’aspetto.
Gioco finale, soprattutto alla luce dell’ultimo capitolo, risulta così uno dei momenti migliori della gestione Snyder-Capullo, a dimostrazione che dopo anni sulla testata i due autori non accennano ancora a perdere lo smalto e il polso del personaggio.
Osservazione finale va a Stefano Visinoni, le cui traduzioni rendono alcune delle battute del Joker particolarmente efficaci, forse ancor più che nella versione originale.
Anarchia o vendetta?
[Anarky è] un eroe d’azione filosofico, un Aristotele in calzamaglia, che passa dal mero status di “combattente del crimine” nel reame dell’incisiva critica sociale. Infatti, Anarky esiste innanzitutto per sfidare lo status quo del potere gerarchico, ed egli può essere il primo eroe dei fumetti tradizionali del suo genere a fare ciò in modo consistente e con tanta intelligenza razionale.
In un certo senso questa descrizione fornita da Norman Breyfogle, il creatore grafico del personaggio originale, sintetizza perfettamente il senso dietro la creazione di Anarky. D’altra parte Alan Grant non ha mai nascosto di essere un simpatizzante dell’anarchismo e non è un caso, nonostante le iniziali critiche anarchiche rivolte alla storia Anarky in Gotham City, che con il passare degli anni proprio questi ambienti abbiano sostanzialmente rivisto la loro posizione rispetto al personaggio. Ad esempio secondo Roderick Long, libertario del Ludwig von Mises Institute, Anarky ha rappresentato “una voce impressionante per la libertà nei fumetti moderni“.
Era dunque con questo substrato per il personaggio originale che Brian Buccellato e Francis Manapul dovevano confrontarsi con il loro Anarky. E i due autori preferiscono affrontare la sfida adottando il trattamento “alla burlone” di Kyle Higgins su Nightwing: un personaggio che si nasconde dietro i principi anarchici per ottenere una vendetta personale.
D’altra parte il mezzo stesso usato per raggiungerla distorce non solo quegli stessi principi portati all’attenzione del pubblico da Grant e Breyfogle, ma anche il personaggio stesso: che decide di controllare le azioni della popolazione di Gotham con le maschere distribuite nei numeri precedenti e togliere loro la libertà di scelta. Ciò indebolisce le pur giuste critiche allo status quo da parte del nuovo Anarky, e di fatto lo trasforma nell’ennesimo personaggio che, confondendo la giustizia con la vendetta, diventa avversario di Batman e non potenziale alleato come fu con il personaggio originale.
Un detective contro il caos
Suo contraltare in tutto questo più che Batman diventa Harvey Bullock: ottimamente approfondito nel corso di questa saga, il personaggio risulta alla fine meglio descritto dello stesso Cavaliere Oscuro, molto più profondo e tridimensionale della piatta rappresentazione di difensore della legge data a quest’ultimo, nonostante la caratterizzazione del Crociato Incappucciato sia dialetticamente più interessante durante il confronto verbale con Anarky nel finale dell’albo. Va, d’altra parte, ricordato che durante Icarus Bruce Wayne era stato ben approfondito e gestito dalla coppia di autori, quindi è anche “fisiologico” da parte di Buccellato e Manapul concentrarsi su altri personaggi.
Nel complesso Anarky presenta, comunque, un paio di punti interessanti e uno stuzzicante sviluppo futuro: innanzitutto c’è l’idea di concentrarsi sempre di più sul dipartimento di polizia di Gotham, ricalcando, anche solo parzialmente, la traccia di Gotham Central, mentre dal lato artistico Francis Manapul ottimamente supportato dai colori acquarellati di Buccellato, che per l’occasione utilizza una tavolozza leggermente più scura rispetto a Flash, continua a stupire grazie a un’ottima costruzione della pagina che sfrutta appieno le possibilità sequenziali della griglia mostrate da Will Eisner su Spirit. C’è da aggiungere che, nel complesso, il risultato finale è, soprattutto dal punto di vista estetico, una sintesi tra Frank Miller e il già citato Eisner.
Lo sviluppo futuro invece, che parzialmente salva i due autori nella loro riproposizione di Anarky, è mostrare nelle pagine conclusive il ragazzo che in Anarky in Gotham City è, in realtà, l’anarchico vigilante ideato da Alan Grant e Norman Breyfogle.
Ammiccamenti
Lo spillato italiano si chiude con Grayson #8, che termina il suo primo arco narrativo.
Il racconto presenta tre livelli di lettura, quello spionistico, quello avventuroso e quello ironico/romantico.
Il primo è strettamente legato all’intreccio sviluppato da Tom King e Tim Seeley, (forti anche dell’esperienza da spia della CIA di King), nonostante il numero si focalizzi sugli aspetti più strettamente supereroistici che si concentrano nella parte centrale dell’albo. In questo modo il racconto ha un andamento più chiaro rispetto ai numeri immediatamente precedenti, nonostante (o anche grazie a, dipende dai gusti) l’utilizzo di un avversario che è una variazione sul tema di Amazo.
Ne guadagna così la trama nel complesso e anche la figura di Dick Grayson, che in un contesto più vicino alla sua carriera precedente, viene esaltata nei suoi volteggi da eroe ben rappresentati dal dinamico Mikel Janin. Anche in questo episodio il disegnatore riesce a rappresentare le fasi della lotta utilizzando pagine doppie ricche di azione.
Non ultima, è da lodare una certa quantità di ironica leggerezza, grazie all’enfasi sulla giovanile attrazione fisica che alcune studentesse dell’agenzia provano verso Dick, che non stride con l’azione senza respiro del numero ma anzi la esalta e per certi versi la completa.
Nel complesso gli sviluppi narrativi proposti dal team di Grayson rendono più interessante l’agenzia spionistica Spyral, aprendo a scenari che promettono di essere più interessanti di quanto visto con una certa confusione finora.
La conclusione dei tre cicli narrativi in corso d’opera su questo numero non è casuale e permette ai lettori regolari della testata di non interrompere il ritmo narrativo: sul prossimo numero, infatti, verranno pubblicati i tie-in di Shadow of the Bat e di Batman and the Outsiders con il crossover Convergence.
Abbiamo parlato di:
Batman #42
Scott Snyder, Greg Capullo,Francis Manapul, Brian Buccellato, Tim Seeley, Tom King, Mikel Janin
Traduzione di Stefano Visinoni
RW Lion, ottobre 2015
96 pagine, spillato, colore – 3,50 €