Per Gabriele Di Benedetto, più noto al pubblico come Akab, l’amore non è l’aspirazione a un’entità trascendente o a un qualche demiurgo caritatevole, né un concetto finalistico dell’esistenza umana, e nemmeno quel meraviglioso ideale romantico e solidaristico di legame fra due individui nella continua ricerca del proprio completamento, quella sublimata e semplificante interpretazione del mito degli Androgini in senso strappalacrime.
In questo fumetto, la narrazione si sviluppa su due binari con una cesura centrale, descrivendo nella prima parte un breve spaccato di vita di una coppia sposata seguito da una riflessione sul rapporto fra l’umanità e Dio, e nella seconda la situazione interiore e tormentata di una vicina di casa con il suo convivente e gli strascichi di una relazione con un vecchio compagno.
La trama è ridottissima e intenzionalmente oscura; le scene sono statiche e si svolgono in due stanze chiuse e isolate dal mondo, lasciando spazio ad una riflessione allegorica sul significato dei suddetti rapporti, che costituiscono il vero fulcro dell’opera, ed attraverso i quali Akab riesce a fornire una propria disturbante visione su tale significato.
I disegni sono oscuri, febbrili e frettolosi, la modulazione della linea è sottile e il tratto evocativo, grossolano e volutamente impreciso, con linee spesso spezzate e incomplete, a rappresentare personaggi grotteschi e malati.
L’immagine più dolorosa ad essere dipinta è quella di un Dio egoista e insensato, rappresentato attraverso due forme: la luce di un lampione e un televisore, un’entità mercificata e frutto dell’immaginazione dell’uomo.
L’autore sfrutta la metafora del televisore per mostrare come ognuno osservi in maniera passiva la propria rappresentazione del mondo e del divino, con una benda davanti agli occhi o con una maschera sul viso; l’umanità si trova quindi divisa tra chi non è capace di vedere e chi, pur vedendo, recita una parte e inventa il proprio programma/divinità preferito, ingannando sé e gli altri.
Sin dalle prime battute nel dialogo serrato con Dio, e come motivo ricorrente per tutto il racconto, viene pronunciata la frase
“Io non vi amo”, ed essa giunge sempre improvvisa e tagliente, per riportare l’uomo con i piedi per terra:
Uomo: “Il nostro amore era unico e vero, come quello che tu provi per noi.”
Dio: “Io non vi amo.”
In ciò si esprime il titolo del fumetto “Not an atom of hell shall enter into my paradise”: una divinità riluttante che si esprime in maniera oracolare, totalmente chiusa al dialogo e indifferente, che tratta le sue problematiche creature come appestati e vuole mantenere le distanze per non contaminarsi.
Questo rapporto con la divinità si proietta in maniera speculare nelle relazioni intersoggettive: l’autore parte da un presupposto di incomunicabilità e incompatibilità di ogni individuo con altri, in cui ogni soggetto sembra destinato ad essere solo.
L’amore è infine ritratto dall’autore in maniera cupa e macabra: l’amante della donna è rappresentato con sembianze demoniache, e le unioni carnali come possessioni, nell’illusoria sensazione di unire in un solo soggetto una dualità.
Alla fine dell’atto sessuale osserviamo infatti l’uomo/demonio isolarsi dalla donna giocando ad un videogioco
“come se non fossi esistita – afferma la donna – come se fossi meno reale dei personaggi con cui stava giocando”.
L’amore si riduce ad un isolamento perpetuo che si interrompe solo per il breve istante di usarsi a vicenda.
La donna stessa ha coscienza dell’incomunicabilità nel suo rapporto, del falso interesse ed egoismo che si cela dietro frasi di circostanza come “stai bene?” “ti senti stanco?”, definendole bugie, poiché vorrebbe in realtà vedere l’altro come semplice marionetta della propria volontà, provando totale disinteresse ed apatia verso di lui.
Il rapporto fra uomo e donna è dunque un mero evento carnale, la necessaria rovina che allontana l’uomo dalla divinità fittizia: la protagonista arriva persino ad esternare la propria gelosia nei confronti della Vergine Maria, unica donna priva del peccato originale, la sola a non essere rimasta schiava di questo insensato circolo vizioso che ha come risultato quello di corrompere gli uomini e renderli pazzi.
È una visione sulla relazione di coppia dolorosa e straziante, che dimostra come sia facile fraintendere i legami e la loro profondità. Una divagazione personale sulle false speranze che la parola “amore” può creare e sulle sue dolorose conseguenze.
Per Akab, forse, la parola “amore” non esiste più.
Abbiamo parlato di:
Not an atom of hell shall enter into my paradise
Akab
Kunst Kabinet 451 Press, settembre 2014 (lingua inglese)
54 pagine, spillato, bianco e nero
umberto baccolo
2 Novembre 2014 a 17:08
http://mattatoio23.blogspot.de/2014/09/not-atom-intro.html
la mia prefazione al libro dal sito di AkaB
la redazione
3 Novembre 2014 a 09:55
Grazie della segnalazione!