Transmetropolitan TP #11

Transmetropolitan TP #11

Warren Ellis - Darick Robertson Play Press - 2003 - 148pp/col - 12,50euro

Transmetropolitan #11Se non fosse che ad esser protagonista di questa serie è stato quel gran bastardo di Spider Jerusalem, ci sarebbe da commuoversi un poco. Come quando finisce qualcosa che ci ha accompagnato per molto tempo, che attendevamo con impazienza in fumetteria, che ci ha fatto ridere, riflettere, incazzare, inveire. Transmetropolitan termina con questo undicesimo paperback, e Warren Ellis e Darick Robertson chiudono le trame in sospeso, con il loro stile inconfondibile che ha fatto di Spider una icona del fumetto moderno, e di Transmetropolitan, con molta probabilità, la migliore serie Vertigo dai tempi di Sandman e Preacher.

Testi crudi, parolacce e volgarità snocciolate come rosari, ironia amara e cattivissima, personaggi che sotto la loro stronzaggine non mancano di avere una propria, personalissima ma integra, morale: questi sono gli ingredienti principali dello stile narrativo che balzano agli occhi. Confrontandoli con i disegni, è chiaro che Transmet non avrebbe potuto essere senza le matite di Robertson, che riempiono le strade di spazzatura, di sesso, di degrado, di fobie, paranoie e mutazioni, facendo apparire tutto ammantato da una patina di unto e sporco, e per questo non troppo lontano, con poca fantasia, dalle strade che percorriamo ogni giorno. È un futuro possibile questo? Non lo sappiamo, ma nella nostra sospensione dall’incredulità lo è certamente più di un futuro alla Terminator o alla Matrix. Perché é un futuro terra-terra, dove l’uomo non è scomparso, ma anzi, continua a vivere, sporcare, fornicare… Dove l’umanità tira avanti rovinandosi con le proprie mani, ma pulsante e resistente come una blatta. Nella brulicante città di questo futuro, il mestiere di giornalista è per persone dure, cattive ed incoscienti, come Spider Jerusalem e le sue assistenti.

Giornalista e Bastardo nel sangueRitroviamo i nostri dove li avevamo lasciati, in piena guerra contro il viscido presidente, pronti a svelare tutto il marciume nascosto dietro un uomo che vive solamente per il potere. Una lotta che si svolge utilizzando i mezzi, non sempre puliti, del giornalismo, ma ben lontana da quelle rutilanti e ipercinetiche del fumetto mainstream. La guerra è guerra di informazioni, una riflessione sul potere della notizia, sulla capacità della verità di essere più distruttiva di cento colpi di pistola. E la storia è anche occasione per una denuncia sulla violenza creata ad arte, sulla manipolazione del potere, sulla mancanza di coscienza, e sul coraggio di dire “Basta” con i mezzi in proprio possesso, senza abbassarsi alla lotta fratricida, ma usando i mezzi dell’intelletto.

Spider Jerusalem è un personaggio capace di riscrivere, in parte, l’idea stessa dell’eroe del fumetto americano: una considerazione forse pretenziosa, ma in linea con la creazione del primo, vero, supereroe senza super-poteri, che inneggia al risveglio della coscienza del proprio potere di essere umano, della predominanza della comunità sopra coloro che dalla comunità sono eletti. Un fumetto capace di fare politica in un contesto assolutamente ironico, assolutamente assurdo, assolutamente liberatorio. Spider che prende a calci un predicatore, è la rappresentazione della nostra insofferenza verso dei rapporti interpersonali che si sono corrotti e svuotati del concetto di comunità. Spider che, a costo della propria vita, combatte a colpi di notizie e di scoop colui che tiene in ostaggio la nazione, è invece la lotta per la democrazia, che non ha bisogno di armi, ma di voci, non chiede soldati, ma cittadini.

In chiusura, il saluto degli autori spezza l’ultima illusione che questo non sia l’ultimo volume di questa serie capace di esser completamente folle e completamente profonda. Allora non resta che chiudere il volume, e ricominciare dal primo.

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