Zerocalcare e le macerie di una generazione

Zerocalcare e le macerie di una generazione

Bao pubblica la seconda parte dell’ultimo lavoro di Zerocalcare, “Macerie prime – Sei mesi dopo”, che completa il discorso dell’autore di Rebibbia sulla cifra distintiva dei nati negli anni Ottanta secondo la sua esperienza e quella dei suoi amici.

Sono passati sei mesi dalle vicende narrate in Macerie prime; durante questo periodo Zerocalcare non ha più visto i suoi vecchi amici e ognuno ha proseguito con la sua vita, in attesa dei risultati del bando di lavoro a cui avevano partecipato. Ora, con il pretesto di andare a conoscere la figlia dell’amico Cinghiale, si rivedono e hanno l’occasione di fare di nuovo il punto sulle loro relazioni e sulla loro vita.

Macerie prime – Sei mesi dopo si configura come un vero e proprio “secondo tempo” dell’opera: non un suo sequel, non un una nuova storia collegata alla precedente, ma l’altra metà di un’opera unitaria, spezzata in due probabilmente per soli fini commerciali, dal momento che narrativamente non si trova ragione per questa suddivisione.

L’idea stessa di far passare sei mesi nella storia così come nella realtà, attraverso lo iato temporale che si frappone tra i due volumi, risulta a conti fatti pretestuosa, innanzitutto perché vale solo per chi ha letto l’opera “in diretta” e in secondo luogo perché, a voler seguire il consiglio di Bao Publishing di non rileggere la prima parte, la memoria può faticare a ricordare alcuni elementi narrativi importanti per lo svolgimento.

Alla luce di queste conclusioni, Macerie prime è dunque un lavoro che va valutato nel complesso, per condurre una riflessione realmente completa. Riprendendo le considerazioni espresse nella recensione del primo volume, con il senno di poi si possono riconfermare le tematiche di quest’opera: la maturazione e la malinconia.
Maturazione, beninteso, a livello di percezione della realtà da parte di Zerocalcare (personaggio e, presumibilmente, autore), non certo a livello espressivo e artistico.

Il più grosso limite di Macerie prime è infatti attestare una sorta di immobilità stilistica che non denota una particolare crescita dell’autore. A onor del vero alcune variazioni si intravedono, di quando in quando, nel tono narrativo, e costituiscono le punte di maggior interesse del libro: serpeggia ora più che mai una malinconia insistita e insistente, tanto da renderlo uno dei libri meno spassosi in senso stretto del fumettista romano, nonostante le apparenze.

Si tratta di sottigliezze, perché Zerocalcare non rinuncia mai alla battuta e alla gag visiva iperbolica, ma si intravede chiaramente una nota più cupa rispetto ai lavori precedenti, un’osservazione di quanto gli gravita attorno più inquieta e guardinga. Naturalmente si tratta di elementi che hanno caratterizzato da sempre le nevrosi dello Zerocalcare a fumetti, ma laddove solitamente lo stemperamento dei toni appariva come totalizzante ora l’atmosfera è più virata verso una comicità meno brillante e più amara, negli esiti.
Ciononostante l’autore resta fedele alla cifra stilistica con cui ha impostato finora la sua carriera, e se da un lato questo riconferma la sua riconoscibilità presso i fan e il grande pubblico, dall’altro rappresenta una comfort zone da cui sarebbe interessante vederlo uscire, al di là dei risultati ottenuti.

Al di là di queste considerazioni, infatti, Macerie prime nella sua interezza è un’opera riuscita, perché attraverso la commistione tra cruda realtà e metafora post-apocalittica riesce a comunicare in modo potente i concetti che a Zerocalcare premeva trasmettere. Non si tratta di urgenza narrativa, ma senz’altro di una storia che l’autore voleva raccontare, facendo il punto su se stesso e sui suoi amici, in una sorta di complessa operazione di autoanalisi in formato editoriale.

Non solo: la coralità della trama porta il lettore a soffermarsi su diversi tipi di problemi, di dolori e di sogni infranti che l’esperienza fin troppo peculiare dell’autore non permetterebbe più di raccontare. Le problematiche di avere un figlio, la tristezza di chi vorrebbe averlo e non può, il logorio insopportabile di un lavoro ripetitivo e schiavistico (rappresentato in un dialogo tanto spietato quanto esemplare), fino alla solitudine che può diventare un buco nero dal quale è difficile uscire.

L’aver messo da parte l’Armadillo in favore di un nuovo animale-coscienza che rappresenti un approccio alla vita meno coinvolto e più individualista, così come l’immaginaria realtà parallela in cui i trentenni sono come dei naufraghi che cercano di sopravvivere alla bell’e meglio sacrificando alcune parti di loro, sono idee potenti e ben gestite, anche se in modo a volte un po’ troppo didascalico. La fantasia nell’immaginare questo scenario alternativo e i mostri che lo popolano risulta apprezzabile, e denota il complesso sistema di simbolismi e rimandi in cui l’autore, in varia misura, ha sempre eccelso grazie a trovate intelligenti e calzanti.

L’amara conclusione, piuttosto rassegnata per quanto riguarda la generazione di cui fa parte Michele Rech, colpisce poi molto come tematica, e anche se non si può prendere come valida per tutti i nati tra gli anni Ottanta e i primi Novanta – come tutte le generalizzazioni – coglie bene alcuni aspetti della contemporaneità.

Per quanto riguarda i disegni, c’è poco da aggiungere rispetto a quanto si poteva osservare in passato: il tratto semplice, veloce e cartoonesco delle opere precedenti ritorna qui in tutta la sua morbidezza e plasticità, con un segno volutamente immediato e vagamente underground. Dopo il perfezionamento del suo stile iniziale, avvenuto da Un polpo alla gola in poi, il disegno di Zerocalcare è rimasto coerente, con poche eccezioni.

Eccezioni in questo caso rappresentate dalle creature che popolano la realtà post-apocalittica di cui sopra: in quelle occasioni il tratto si fa più dark, debitore di alcune estetiche fantasy, e capace di dar vita a figure effettivamente intriganti e dal sapore differente rispetto agli altri personaggi, ricordando in parte lo stesso meccanismo messo in atto da Leo Ortolani negli ultimi due anni di Rat-Man.

Nota a margine per il contributo di Alberto Madrigal, ringraziato in un inciso all’interno del fumetto stesso, che ha curato le tre tavole raffiguranti un cielo scuro con effetto temporale in un passaggio di Sei mesi dopo: il contrasto con il resto del fumetto è sicuramente affascinante e permette di accompagnare con maggiore poetica le sensazioni espresse in quel frangente della trama. Peccato però che il bianco e nero penalizzi molto la resa dell’operazione, togliendo all’arte di Madrigal uno degli elementi che determina il fascino delle sue opere: il colore.

Come nelle saghe della letteratura di formazione, i lettori sono cresciuti di pari passo con Zerocalcare, Secco, Cinghiale e gli altri, li possono sentire vicini nelle esperienze e nei problemi. La sfida del fumettista di Rebibbia è quella di riuscire a essere sempre un cantore sincero della propria vita, adeguando i temi ai vari cambiamenti che coinvolgono lui e chi gli sta intorno; in tal senso Macerie prime rappresenta, tanto o poco che sia, un punto di svolta nel lavoro di Zerocalcare, una sorta di chiusura della prima, lunga fase della sua carriera.
Chissà che questo percorso non si rifletta maggiormente anche in un’evoluzione narrativa e stilistica che, pur mantenendo l’importante fattore identitario, metta alla prova l’autore su terreni nuovi e inesplorati.

Abbiamo parlato di:
Macerie prime – Sei mesi dopo
Zerocalcare
Bao Publishing, maggio 2018
192 pagine, cartonato, bianco e nero – 17,00 €
ISBN: 9788832730760

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