Prima di ogni impressione di lettura sulla raccolta di storie brevi Fiori Rossi è doveroso soffermarsi sulla biografia di Yoshiharu Tsuge, soprattutto per l’importanza che riveste nella storia del manga giapponese e in particolare nella nascita di una nuova poetica narrativa e grafica, il gekiga. Il termine 劇画 è tradotto convenzionalmente in “immagini drammatiche”, e l’autore ne è precursore e fra i più importanti esponenti insieme a Tatsumi Yoshihiro che, come ci ricorda Igort nella sua interessante postfazione al volume, nel 1957 conia la parola e ne descrive gli intenti con queste parole: “I nostri predecessori ci avevano insegnato che il fumetto era comico, e usava deformare, amplificare le espressioni o gli atteggiamenti, e faceva ampio uso di gag. Si trattava di far ridere il lettore. A noi non interessa più questo modo di fare. Ci interessa rappresentare la realtà. Useremo le luci in modo drammatico e i primi piani per mostrare le emozioni del volto, cercando di far cogliere la dimensione psicologica. Noi ci rivolgiamo a lettori più maturi, in grado di comprendere”.
L’impatto della poetica di Yoshiharu Tsuge nel panorama editoriale italiano è piuttosto recente, anche per le ritrosie dell’autore nell’essere tradotto in altre lingue. Il suo percorso editoriale nel paese di origine ha un inizio e una fine, rispettivamente il 1955 e il 1987, ma la prima opera pubblicata nel nostro Paese è stata L’uomo senza talento (Munō no Hito, 1986), recuperata da Canicola edizioni nel 2017. Oggi abbiamo a disposizione, oltre a Fiori Rossi (Oblomov, 2018), anche Nejishiki (Oblomov, 2018) e Il giovane Yoshio (Canicola 2018). Qualche storia breve è apparsa anche sulla rivista linus (dall’agosto del 2018).
Fiori Rossi, con i suoi quattordici racconti, esprime un nuovo modo di intendere il fumetto nel Sol Levante. Piccole perle di vita quotidiana, raccontano con ironia e disincanto le tracce di un mondo rurale che non vuole cedere il passo alle luci e alla vita frettolosa delle città. Narrati quasi tutti in prima persona, racchiudono il punto di vista del maestro, la sua passione per i viaggi in solitaria, per la pesca e per la forza ancestrale degli elementi naturali. Ogni racconto contiene in calce la data di realizzazione, dunque il lettore riesce a stabilire con certezza una traccia temporale che va dal febbraio del 1966 all’aprile del 1968.
Molte storie sono comparse per la prima volta in Giappone sulla rivista Garo, un importante magazine fondato da Katsuichi Nagai nel 1964 e pubblicato fino al 2002 che aveva il suo focus nei manga alternativi e d’avanguardia, con un’attenzione particolare per l’originalità delle storie narrate più che per il loro genere o per lo stile di disegno.
Interessante è anche l’aneddoto che ne vede il suo ingresso nella rivista: il direttore stesso, venendo a conoscenza della situazione depressiva in cui versava Tsuge in quegli anni e a causa della quale aveva anche tentato il suicidio, si rivolse al giovane mangaka dalle pagine del magazine con l’appello: “Yoshiharu Tsuge, per favore contattaci!”. Così, nel 1966 pubblicò fra le pagine di Garo la sua prima storia breve, Chico, contenuta anche in questa raccolta. Proprio questo manga è considerata l’opera che ha dato il via al movimento del Watakushi manga, ovvero i manga introspettivi anche noti come I manga, o Manga su di me.
Non si respira però solo narrazione intimista, nonostante spesso i protagonisti dei racconti siano mangaka o dicano di disegnare fumetti (e di non guadagnare molto, altro passaggio biografico trasferito in toto nell’opera letteraria) come in Chico o in Ben della capanna di neve: Fiori Rossi è soprattutto una testimonianza diretta del passaggio da uno stile di vita bucolico e tradizionale a una nuova società e un nuovo turismo. Le tranquille stazioni termali dei piccoli villaggi non hanno più il grande afflusso del passato (La gola di Futamata, La locanda di Chōhachi) e chi ha sempre svolto lavori legati alla terra o alla pesca vive in condizioni di povertà e solitudine (La palude, Primi funghi d’autunno) ma non per questo si perde d’animo, trovando il senso della vita nei piccoli tesori della natura, o nell’arrivo di un ospite inatteso.
Così i fiori rossi diventano quasi metafora della vita che inesorabilmente cambia senza che i protagonisti se ne accorgano, come il menarca della fanciulla protagonista dell’omonimo racconto, portato via dal fiume come un bouquet di fiori recisi.
Lo stile di disegno, così come i dialoghi, è asciutto e spesso affidato al bianco e nero pulito. Le campiture di nero e le retinature pesanti sono utilizzate per descrivere le ombre, la forza della natura, l’oscurità o un ambiente malsano in cui si può trovare qualsiasi cosa, come nel grottesco racconto La salamandra.
Si trovano fra gli spazi bianchi riflessioni non scontate sulla società, sul sempre più esiguo rispetto per gli adulti (quando non addirittura per i morti, come nel tragicomico Veglia funebre) da parte dei giovani, sulla mancanza di libertà imposta agli individui con disagi mentali (indicativo del pensiero dell’autore sulla questione e sugli “outsiders” è il bel racconto L’incidente del villaggio di Nishibeta).
C’è nel lavoro di Tsuge una persistente tenerezza per gli archetipi fragili e per i dettagli, un contrasto fra lo sguardo sardonico sulla società in evoluzione e la capacità di soffermarsi sulle piccole cose che è il vero cuore dell’opera, in cui spesso i personaggi diventano simbolo di emozioni o stati d’animo provati dall’autore stesso.
Una lettura adatta a chi intende conoscere in maniera più approfondita il percorso artistico di uno dei mangaka che hanno influenzato in maniera incisiva il panorama del manga per adulti in Giappone, ma anche per chi ama i racconti intimistici e ironici, in cui la filosofia zen sembra nutrire le vite semplici dei personaggi.
Abbiamo parlato di:
Fiori Rossi
Yoshiharu Tsuge
Traduzione di Juan Scassa
Oblomov, 2018
256 pagine, brossurato, bianco e nero – 19,00 €
ISBN 9788885621572