Tex #637 – El Supremo!: un’analisi delle prime due tavole

Tex #637 – El Supremo!: un’analisi delle prime due tavole

Presentiamo un’analisi ragionata delle prime due tavole di Tex #637 – "El Supremo!", esordio del disegnatore Maurizio Dotti sulla serie del ranger Bonelli.
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Copertina di Claudio Villa per Tex #637

Tex #637, uscito nel novembre 2013 è l’inizio di una lunga avventura del ranger bonelliano  che si dipana per ben quattro albi della serie mensile. Scritta dal curatore della testata Mauro Boselli, questa saga segna l’esordio sul mensile del disegnatore Maurizio Dotti.
Classe 1958, Dotti esordisce in SBE sullo
Speciale Zagor del 1997, per poi l’anno successivo realizzare le matite della storia di Tex presente sull’Almanacco del West (le chine furono opera di Alarico Gattia).
Diventa poi uno dei disegnatori dello staff di
Dampyr, serie creata da Maurizio Colombo e Mauro Boselli.
Ed è proprio quest’ultimo a portare il disegnatore nel gruppo di autori che firmano gli  albi della serie mensile del ranger.

Le prime due tavole di El Supremo! sono meritevoli di un’analisi approfondita per una serie di elementi in esse contenuti, sia grafici che narrativi. In queste due pagine sono infatti racchiusi alcuni tipici fattori di una classica sceneggiatura bonelliana, quel modo di scrivere un fumetto che trae origine da Gian Luigi Bonelli e che trova proprio in Mauro Boselli uno dei principali esponenti di detta tradizione.
Inoltre, le due tavole esemplificano chiaramente la cifra dello stile di Maurizio Dotti, evidenziando le caratteristiche distintive del suo modo di disegnare.

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La storia si apre con la classica vignetta, che occupa due strisce delle tre presenti nella pagina, elemento tipico della maggior parte degli albi bonelliani. La vignetta grande è anche quella che contiene il titolo della storia, mentre sotto di essa, la terza striscia è suddivisa in due vignette.

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Fig. 1 – Tavola di apertura di Tex #637

La prima vignetta presenta subito una delle caratteristiche nelle quali eccelle Dotti, cioè la resa della profondità di campo, espediente spesso presente nelle sceneggiature boselliane, soprattutto in quelle dove lo scrittore sa che il disegnatore che realizza la storia è bravo e si esalta in tali inquadrature.
La profondità di campo si ottiene mettendo un personaggio in primo piano, di scorcio, e si rende l’idea della prospettiva in modo che il resto della scena appaia come se il lettore la stesse veramente vivendo “dall’interno”, assistendo di persona a ciò che succede.
Tex637_01partQuesto effetto è estremamente evidente in questa vignetta dove abbiamo in primo piano il personaggio messo di scorcio, a sinistra, seduto con i piedi appoggiati sulla botte e l’inquadratura del prigioniero che sta per essere impiccato in lontananza è presa con un punto di fuga prospettica posto all’altezza degli occhi del lettore che pare trovarsi sotto la pergola, subito dietro il messicano seduto.
Da un punto di vista compositivo la vignetta è suddivisa in due parti secondo una linea di divisione verticale che passa giusto nel centro di essa e si esplica in precisi elementi disegnati: l’albero, il personaggio che sta per essere impiccato e la botte in primo piano materializzano questa linea, ponendo a sinistra di essa il messicano seduto “bilanciato” verticalmente dal campanile della chiesa e da uno dei pilastri lignei che sorreggono la pergola; invece a destra il peso dell’immagine viene bilanciato da altri due elementi verticali, il messicano vicino al condannato a morte e l’altro pilastro ligneo.
Il “centro” della vignetta è assolutamente l’uomo in procinto di subire l’esecuzione e tale centro è rafforzato dagli elementi verticali suddetti che servono a “inquadrarlo”.

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Fig. 2 – Vignetta di apertura di pagina 1 con evidenziati, in rosso, la linea di divisione verticale della scena e, in blu, gli elementi verticali che inquadrano l’attenzione del lettore verso il centro dell’immagine e allo stesso tempo bilanciano la scena

La seconda e la terza vignetta della pagina, poste sulla striscia di chiusura, evidenziano un altro elemento, o regola, della sceneggiatura classica di stampo bonelliano e usiamo le parole dello stesso Mauro Boselli per  spiegarla, tratte da un’intervista che ci ha rilasciato tempo fa:

Le tavole di un fumetto bonelliano devono avere varietà equilibrata, per cui in ognuna deve esserci il primo piano, il campo lungo e la panoramica: non deve mai esserci un affastellamento di un tipo solo di queste inquadrature. Ed è la lezione di Sergio Bonelli.

Ecco dunque che la prima vignetta da sinistra ci mostra un close up del prigioniero, dove del suo corpo si vedono solo la testa e il torace, mentre la vignetta di destra ci mostra il messicano seduto, nella sua completezza, in una prospettiva frontale dal basso, tipica dello stile di Maurizio Dotti.
Mentre la vignetta di sinistra serve, da un punto di  vista narrativo, ad evidenziare tutta la sofferenza dell’uomo che sta per essere impiccato, l’inquadratura di destra esalta la spacconeria del messicano, convinto di uscire impunito dall’azione che sta per compiere.

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Fig. 3 – Striscia di chiusura di pagina 1 con il close up a sinistra e la prospettiva dal basso a destra

 

Pagina 2

La seconda pagina della storia continua a narrarci gli eventi della tavola di apertura e stavolta si suddivide nelle classiche tre strisce della gabbia bonelliana: la prima contenente una sola vignetta, le altre due contenenti due vignette ciascuna.

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Fig. 4 – Tavola due di Tex #637

La prima striscia ci offre di nuovo un’inquadratura con una profondità di campo, stavolta presa da un punto di vista diametralmente opposto rispetto alla pagina precedente. Vediamo infatti in primo piano la nuca del personaggio che sta per subire l’impiccagione e sullo sfondo troviamo l’inquadratura della pergola con sotto il messicano seduto e un ulteriore personaggio seduto per terra dietro di lui, mentre di un terzo sono inquadrate solo le gambe poste subito a destra della testa del prigioniero.
Da un punto di vista cinematografico, potremmo definirla una carrellata all’indietro rispetto alla vignetta di apertura dell’albo. Il cambio di pagina sembra rimarcare la variazione del punto di vista, così che l’occhio, a un primo impatto, coglie le due soggettive diverse.
Il movimento della macchina da presa virtuale tra le due vignette è di quelli che, nel cinema, si ottengono fissando la telecamera a un braccio meccanico e, con movimento rotatorio dal basso verso l’alto la si fa passare da un punto all’opposto della scena.
Da notare come anche in questo caso l’effetto cercato dall’inquadratura sia di far vivere la scena al lettore in prima persona, ponendo il punto di vista in alto, alla stessa quota di quello del personaggio che sta per morire.
Da un punto di vista compositivo, la vignetta è sempre divisa in due parti da un elemento verticale che stavolta si materializza nel cappio, nella testa e nel tronco del prigioniero. I due personaggi posti alla sinistra di questa linea verticale sono poi bilanciati dagli elementi verticali posti a destra, le gambe del terzo messicano sotto la pergola e una parte del tronco al quale è appeso il prigioniero.

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Fig. 5 – Prima vignetta di pagina 2 con evidenziati, in rosso, la linea di divisione compositiva e, in blu, gli elementi verticali che bilanciano le due parti della vignetta.

La seconda e la terza vignetta della pagina continuano a mostrare la classica alternanza bonelliana di inquadrature che servono sia a dare equilibrio complessivo alla tavola che a portare avanti la narrazione.

Ecco così che nella striscia centrale abbiamo, a sinistra, un primo piano del messicano seduto e in quella di destra un piano americano (anche se l’inquadratura non parte proprio dalla metà della coscia del personaggio in piedi) dello stesso messicano che dialoga con il personaggio di cui nella prima vignetta si vedevano solo le gambe.
Nella terza striscia, troviamo a sinistra l’inquadratura completa di spalle del messicano con la bandana che si allontana dalla pergola e a destra ritroviamo esattamente la stessa vignetta che chiudeva la prima pagina: l’inquadratura con una prospettiva dal basso del messicano seduto, che stavolta ha messo i piedi a terra ed è in procinto di alzarsi (azione che avviene nella terza pagina).
Un’altra caratteristica classica che si evince da questa seconda tavola è che, compatibilmente con lo svolgersi dell’azione e la recitazione dei personaggi, colui che parla per primo in ogni vignetta è sempre posizionato sulla sinistra della stessa: è questa un’altra regola non scritta di un modo di sceneggiare che ha sempre caratterizzato gli albi della Bonelli.
L’artificio non è casuale, ma aiuta il senso di lettura della tavola (il nostro senso di lettura va da sinistra a destra) e sfrutta la cosa per “forzare” a dare più peso alle parole che alle immagini (ovvero: prima leggo le vignette, poi presto attenzione al disegno), anche per bilanciare il fatto che l’occhio comunque d’impatto “visiona” tutta la pagina e quindi ha già visto l’immagine, non nel dettaglio ma nel generale, e sa già chi sta parlando con il balloon che legge.
Tutto ciò ha anche una derivazione teatrale e, dunque, recitativa. A teatro, i personaggi sulla scena entrano sempre da sinistra, quasi ad accompagnare il movimento naturale dell’occhio dello spettatore, esattamente come avviene nella lettura. L’ingresso da destra è destinato agli elementi imprevisti della narrazione, inaspettati e dunque destinati a turbare la situazione.

 

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Fig. 6 – Seconda e terza striscia della tavola 2. Dall’alto a sinistra, in senso orario, troviamo l’alternanza di primo piano, piano americano, vista completa da dietro e prospettiva dal basso uguale a quella che chiudeva la prima tavola e con protagonista lo stesso personaggio.

Concludiamo con due note sullo stile di Maurizio Dotti. In queste due tavole iniziali della storia si può notare sia l’efficace uso dei chiaroscuri, di cui il disegnatore è maestro, sia la particolare cura che egli mette nella realizzazione degli sfondi e degli ambienti. Delle otto vignette analizzate solo due primi piani, uno per pagina, mostrano una voluta mancanza di sfondo sostituita la prima volta dal bianco e, nella seconda pagina dal nero. Entrambe queste omissioni hanno un senso e hanno il compito di far concentrare l’attenzione del lettore sul personaggio rappresentato: la sofferenza di colui che sta per essere impiccato e le parole del messicano che ribadiscono la sua (illusa) convinzione di riuscire a farla franca nel crimine che sta per commettere.

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Fig. 7 – I due primi piani a confronto delle pagine 1 (sin.) e 2 (destra)

 

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