Nel linguaggio televisivo, il termine “procedurale” indica quelle serie TV incentrate su un gruppo di poliziotti e/o detective che indagano in ogni puntata su un caso diverso: lo spettatore assiste solitamente ai vari passi del caso, autoconclusivo e senza particolari ricadute sugli episodi successivi.
Considerando che lo spunto di base di Gotham, di cui abbiamo parlato ai tempi dei primi due episodi, è quello di seguire i primi passi del giovane agente di polizia Jim Gordon appena arrivato in città, interpretato da Ben MacKenzie, era inevitabile pensare che la serie avrebbe flirtato con elementi narrativi inerenti al police procedural. La vera sfida era quindi quella di mixare quel genere narrativo con una struttura più unitaria e meno spezzettata di un poliziesco qualsiasi. Un’attitudine non estranea a Bruno Heller, creatore della serie, che già con prodotti come The Mentalist aveva mosso alcuni piccoli passi in questa direzione.
A prima stagione conclusa, si possono fare alcune osservazioni su Gotham, partendo proprio da questo ragionamento. La serie si è infatti rivelata, nel corso delle settimane di trasmissione, un procedurale a tutti gli effetti, con episodi che molto spesso offrivano un caso piuttosto slegato da quello seguito dalla macrotrama generale, relativo all’evento che sta alla base della mitologia batmaniana, sul quale Gordon e il collega Bullock erano chiamati a indagare. Per quanto alcune di queste indagini risultino anche ben orchestrate, chi seguiva la serie per affetto verso i personaggi e l’universo narrativo del Cavaliere Oscuro potrebbe aver trovato quelle puntate poco interessanti.
Si segnala, come esempio di rottura dell’autoconclusività, una triade di episodi legati ad un’unica investigazione (epp. #19 – #21), dove un efficace Milo Ventimiglia interpreta il serial killer chiamato Orco: la storia è ben raccontata, ma forse si prende eccessivo spazio per essere un caso come tanti altri.
Di contro, un elemento dal sapore procedurale che nel pezzo sopra citato ci si auspicava venisse sfruttato, vale a dire l’indagine sull’assassino di Thomas e Martha Wayne, viene presto messo da parte. Se nei primi episodi Gordon si recava spesso da Bruce per rassicurarlo sul caso, pian piano questa sottotrama sparisce, in linea con la sorte sempre più difficile che tocca al protagonista a causa dell’avversione dai piani alti della polizia, corrotti come buona parte della città.
È un peccato, perché un simile filo rosso avrebbe rappresentato un elemento di coesione e di interesse notevoli, riuscendo a unire i due più importanti fili paralleli della serie, Gordon e Bruce.
La gestione del futuro eroe di Gotham City risulta infatti molto buona, anche grazie all’interpretazione del giovane David Mazouz (qui la nostra intervista all’attore), un personaggio a cui sarebbe stato utile riservare anche più screen time e che riesce a incidere significativamente nell’immaginazione degli spettatori. Nelle ultime puntate la costruzione del giovane Bruce Wayne è apprezzabile e promette molto bene in vista della seconda stagione.
Non si può dire che la continuity manchi dallo show della Fox – l’arco narrativo del Pinguino, per esempio, viene portato avanti con una certa costanza – ma sicuramente non la si utilizza abbastanza.
L’alto numero di episodi autoconclusivi d’altra parte può aver reso il prodotto finale maggiormente digeribile a un pubblico più ampio (quello legato più alle serie TV che al fumetto); una volta stabilita una base solida di spettatori, quindi, questo tipo di episodi potrebbe diminuire.
Con la parte dedicata a Bruce – come già detto – si poteva insistere di più e il personaggio di Edward Nygma, presente quasi sempre all’interno della polizia, viene approfondito realmente solo negli ultimi due episodi; anche Harvey Dent non è sfruttato quanto necessario. Tutte pecche risolvibili nel futuro della serie, ovviamente, ma che fanno apparire la prima stagione una sorta di prologo in cui vengono gettati semi da far germogliare in futuro, rendendola quindi difficile da valutare.
La prevalenza di una trama verticale piuttosto che orizzontale si nota molto proprio nel season finale, un episodio davvero valido, in cui molti nodi vengono al pettine in modo intelligente e in cui il gusto per il racconto prende il sopravvento, catturando lo spettatore. Nella conclusione della stagione molti punti fermi saltano, soprattutto quelli legati alla lotta tra il clan mafioso di Falcone e quello di Maroni che fanno da collante alla serie, e tanti e tali sono i cambiamenti che avvengono ad alcuni personaggi e ad alcune situazioni che si rimane positivamente colpiti dal nuovo status quo.
Gotham chiude quindi in maniera egregia una stagione non sempre soddisfacente, che può aver lasciato perplessi per alcune scelte di struttura ma che nel complesso ha offerto personaggi ben caratterizzati, un utilizzo interessante di alcuni personaggi batmaniani e un episodio conclusivo molto riuscito.