Un gruppo di giovani X-Men, guidati da Tony Stark si trova sul pianeta Calculex, sulle tracce dell’ennesima minaccia per il futuro della Terra. Improvvisamente, Iron Man viene apostrofato da un essere dall’aspetto assai minaccioso; segue un interessante dialogo:
Iron Man: Chiedo scusa, ci conosciamo?
Naut: Mi hai rovinato la vita. […] Non ti ricordi di Naut?
I.M.: Ehm, mi dispiace, incontro molte persone … O qualunque cosa tu sia.
N: Ero un acronauta [seguono tre balloon che raccontano le sue vicende].
I.M. (alzando le braccia): Sono certo che fosse un po’ più complicato di così.
La scena è tratta da Senza Fine, di Sean Ryan ed è rappresentativa di una storia dove malintesi, scambi di persone, timori di cadere nell’oblio e la presenza di personaggi effettivamente dimenticati sono il motore degli eventi. Nella scena sopra citata, Stark addirittura pensa che i ragazzi mutanti siano agenti SWORD, perché, banalmente, nemmeno lui conosce le nuove reclute.
Senza Fine sfrutta/denuncia in maniera parodistica la necessità di una memoria formidabile per tener traccia di tutto ciò che può riguardare uno qualsiasi dei personaggi storici dell’universo supereroico. Per non perdere il filo della propria storia, questi avrebbe bisogno di una memoria così vasta (tanti eventi) e profonda (tante relazioni), che probabilmente assorbirebbe tutte sue le energie, di fatto bloccandolo, incatenato al proprio passato.
Oltre a quello comico, la storia ha un ovvio significato metanarrativo: la necessità di una memoria perfetta soffoca la possibilità di nuove storie.
In questo articolo, affronteremo un aspetto particolare della questione: l’opportunità di inserire nel patto opera-lettore quella che potremmo chiamare “clausola di memoria selettiva o di oblio”, che consenta di prescindere dalla verosimiglianza dei racconti appartenenti ad altre ere, con la conseguenza di poter allentare o rilasciare il vincolo di consistenza (continuity) con esse. Fissato questo punto, nei prossimi articoli potremo muoverci in ambiti più vasti.
“Questo non è un palazzo” (?)
Immergiamoci in uno degli universi narrativi supereroici mainstream basati sulla continuity, tralasciando What if, Elseworld e simili esercizi: che cosa significa, in quel contesto, la frase “l’evento X è realmente accaduto (nel passato)“?
La risposta più semplice è “X è realmente accaduto se tutte le conseguenze di X nel presente sono reali“.
Si noti che in questo modo operiamo una distinzione fra l’evento e il suo racconto; distinzione che coinvolge in particolare anche il ricordo di quell’evento, che, in effetti, possiamo considerare una forma particolare di racconto, tramite il quale tentiamo di collegare fra loro le vicende che conosciamo.
Calato nel nostro universo di storie, questo fa sì che accettiamo senza difficoltà la realtà di eventi accaduti anche in casi in cui il loro racconto originale (la prima storia in cui sono stati mostrati) ci appaia oggi inaccettabile perché non soddisfacente il nostro attuale criterio di verosimiglianza, di cui pure fa parte anche la sospensione dell’incredulità.
Vediamo il punto con un esempio banale: alcune avventure della Golden Age mostravano Superman sollevare un palazzo, e questo palazzo era raffigurato privo di fondazioni, strutture di cavi o collegamenti di altri tipo. Una simile immagine potrebbe comparire in una storia contemporanea? Ragionevolmente no, o meglio, se vi apparisse, avrebbe un significato totalmente diverso. Questo perché, mentre il patto opera-lettore della Golden Age era tale da rendere quell’immagine realistica, secondo il patto attuale quella stessa immagine raffigurerebbe un palazzo effettivamente privo di fondazioni e collegamenti agli impianti cittadini.
Niente di sorprendente, in fondo “questo non è un palazzo”, ma solo un significante, e il suo significato cambia in accordo con il contesto interpretativo. Con profondi impatti narrativi, tuttavia: nella Golden Age quella immagine rimanda alla forza di Superman; nel presente, sarebbe l’indizio di un mistero: che ci fa un simile palazzo a Metropolis? Che cosa nasconde? E così via.
Questa variazione di significato investe non solo (e non tanto) la verosimiglianza degli eventi narrati, ma anche, e soprattutto, la definizione dei caratteri individuali, delle relazioni fra personaggi ed eventi e degli eventi fra loro.
A risultarci insoddisfacente, quindi, non è solo il “come”, ma anche il “perché” di ciò che pur accettiamo sia accaduto. Ed è proprio dalla messa in discussione a posteriori delle logiche che avevano sostenuto racconti di altre età che scaturiscono storie che vanno a colmare quelli che, secondo lo spirito attuale, sono percepiti come difetti del tessuto della realtà narrativa. In altre parole, “il mondo è fuori squadro e tocca a noi sistemarlo”, questa operazione di sistemazione è comunemente nota come “retcon” (“retroactive continuity”) e, di fatto, consiste nella riscrittura del passato in accordo alle convenzioni del presente.
Trasmutazione del passato
Riprendiamo il Miracleman di Alan Moore (1982-1988): qui il passato del protagonista (ovvero le sue avventure degli anni 1950-60) diventa un sogno indotto all’interno di un esperimento e ha quindi un livello di realtà diverso rispetto al presente. È un modo molto elegante per affermare che ormai quelle storie non hanno – e che quel modo di raccontare non trasmette – più senso.
Non siamo di fronte a un caso unico: Moore si confronta con il passato dei personaggi in quegli stessi anni, prima lavorando su Capitan Bretagna (1982) e successivamente su Swamp Thing (1986 – merita fra laltro notare che alcuni momenti di Lezione di anatomia, dove inizia la ridefinizione di Swamp Thing, ricordano esplicitamente la “ricostruzione” di Capitan Bretagna).
Nel suo Sandman, Neil Gaiman fa incontrare Morfeo, protagonista della serie, con Hector Hall, personaggio creato da Roy Thomas e Jerry Ordway nel 1983 (quindi pochissimi anni prima) che fu Silver Scarab nel team Infinity Inc, intrappolato in una bolla creata all’interno del Regno del Sogno (The Doll’s House, 1989-90). Quando il Sandman umano dichiara la propria identità, Morfeo ride per l’assurdità delle sue affermazioni.
Anche in questo caso, il messaggio ultimo è che nel nuovo mondo (quello delle storie di Morfeo) le vicende ispirate a una visione tradizionale non hanno senso (d’altra parte, merita notare che, secondo una visione decisamente autoironica, la rimozione di quel Sandman porterà, per vie traverse alla fine di Morfeo).
In tutti questi casi, il passato non viene cancellato, ma reinterpretato, così da renderlo consistente con il contesto e le convenzioni vigenti nel racconto (ovvero con il patto opera-lettore) del presente.
“Elefanti malinconici”
Morale 1: la necessità di una memoria integrale delle storie del passato soffoca quelle del futuro.
Morale 2: il patrimonio di storie del passato è un potenziale nutrimento di quelle del futuro.
Migliaia e migliaia di storie sugli stessi personaggi attraverso i decenni: migliaia di incontri, scontri, amori, odi, rivalità, cambi di fazione e pentimenti.
È possibile ricordarli tutti?
È ragionevole pretenderlo?
Il patrimonio di storie del passato, infatti, costituisce una tradizione che è al contempo nutrimento e fardello per la vitalità del macrogenere supereroico. Con una piccola forzatura, potremmo addirittura affermare che la sfida decisiva e costante che ogni singola storia deve affrontare è quella di valorizzare la fertilità del patrimonio di storie già narrate e neutralizzarne la potenzialità sterilizzatrice (sfida che ad esempio tenta di raccontare Steven Seagle nel suo It’s a bird). Utilizzare la tradizione attraverso quella che potremmo chiamare “memoria selettiva” (ricordare o accettare che certe cose siano accadute, a prescindere da come furono raccontate) può essere allora una strategia efficace, che acquista un senso particolare nella prospettiva delle età narrative.
Prossimamente, generalizzeremo il caso di utilizzo creativo di storie del passato (la morale 2), introducendo il concetto di “immaginario di riferimento”.