Batman: Killing Time è una miniserie pubblicata negli Stati Uniti da DC Comics in sei albi fra marzo e agosto 2022, firmata da Tom King (testi), David Marquez (disegni), Alejandro Sanchez (colori) e Clayton Cowles (lettering), proposta in Italia da Panini Comics nel 2023 con la traduzione di Lorenzo Corti.
Dettagli
Una rapina, un prezioso cimelio da vendere all’asta; memorie, criminali e agenzie governative statunitensi che corrono e si rincorrono, giocando d’astuzia, facendo piani ed escogitando contromosse; vita e morte si giocano sul filo dei minuti. Ad arricchire il tutto, Le Baccanti di Euripide si intrecciano al loro possibile evento ispiratore e alla conclusione della Guerra del Peloponneso. Che cos’è, alla fine, questo Batman: Killing Time? Ricerca stilistica, intarsio di mestiere, opera alimentare, parodia sfrontata, un incidente di percorso? O forse un po’ di tutto questo? Attraversiamo insieme l’opera e cerchiamo di farci un’idea.
Per dare una prospettiva alla nostra lettura, dobbiamo innanzitutto collocare il fumetto nel percorso di King e la scelta più ragionevole è senza dubbio quella di considerarlo un ulteriore tassello della ricerca sulle meccaniche e dinamiche narrative di genere attraverso una loro attualizzazione e utilizzazione critica. Dopo la space opera golden age di Supergirl, il romance di Love Everlasting, l’hard boiled di The Human Target e l’investigativo di Rorschach, Batman: Killing Time affronta l’heist-tale, il racconto di rapina. Come negli altri casi, l’intreccio è costruito utilizzando i componenti tipici del genere, per realizzare una trama solida che mette in mostra e valorizza quei componenti, il tutto con uno sguardo che è al contempo rispettoso e affettuosamente ironico. L’ironia è presente già nel titolo, che richiama uno dei capisaldi del genere, The Killing di Stanley Kubrick (in italiano: Rapina a mano armata), declinandolo come “Ammazzare il tempo” (Killing Time), ovvero come un’attività magari impegnativa ma poco importante, che serve a non far pesare un’attesa. Come l’opera di Kubrick, d’altra parte, Batman: Killing Time è una prova di virtuosismo narrativo che mostra come il più rutilante degli intrecci possa essere semplicemente un pacchetto vistoso che contiene il nulla o si risolve in esso.
L’opera
L’opera è composta da due blocchi narrativi: il primo è ambientato nel corso di pochi giorni nel presente, quando l’Uomo Pipistrello era ancora alle prime ma non primissime armi, e racconta il furto di un oggetto che Bruce Wayne custodisce in una cassetta di sicurezza presso la banca di Gotham. Nel colpo sono coinvolti un gruppo di villain storici (l’Enigmista, Catwoman, Killer Croc, il Pinguino, il Re degli Orologi) e The Help, creato per l’occasione, sulle cui tracce, oltre al legittimo proprietario, si mette anche l’agente governativo Nuri Espinoza, anch’essa alla sua prima apparizione e recuperata successivamente da King per la sua serie The Penguin. Questo blocco è montato come una sequenza non cronologica, con didascalie che forniscono i riferimenti temporali (qui sta la similitudine architetturale con il film di Kubrick e il romanzo a cui fu ispirato).
Il secondo blocco narrativo è situato nell’antichità greca e diviso a sua volta in tre piani temporali: due trattano de Le Baccanti di Euripide, ne raccontano l’evento mitico ispiratore e la prima messa in scena; il terzo è invece ambientato nel momento della conquista di Atene da parte dell’esercito spartano nel 404 a.C.
L’oggetto del furto è un occhio di pietra ed è l’elemento che collega questi blocchi: nel primo emerge il significato che gli viene dato dai vari personaggi di Gotham e ne viene ricostruita la storia dalla caduta di Atene in poi; nel secondo se ne scopre l’origine. Giustapposti lungo tutto il loro sviluppo, i due blocchi convergono nel finale a dare un punto di fuga per le riflessioni sul senso del racconto: il valore di qualcosa emerge dal consenso nei suoi confronti e svanisce non appena quel consenso viene meno. Le dinamiche accurate, sottili, spietate, sanguinose che riempiono la vicenda di azione, congetture e morte sono macchine per la conquista del nulla. E, infatti, il volume si chiude con le seguenti parole, riferite proprio al tanto agognato occhio: “Oh, non è niente. Solo una cosa che mi aiuta a passare il tempo“.
Dal punto di vista estetico, il racconto è sorretto da una delle migliori prove di Marquez, che qui non patisce le discontinuità viste in altre sue opere e solo il volto dell’Enigmista soffre di una certa instabilità. Il lavoro dell’artista è caratterizzato da uno sguardo ironico, che emerge chiaro per esempio dall’interpretazione della figura del Pinguino in una marcata tonalità grottesca e dalle rappresentazioni degli emuli del Joker, catturati come un gruppo di fan che imita modi e pose e ripete i tormentoni del proprio idolo, in una sorta di cosplay morboso.
In Killing Time, King introduce un nuovo personaggio, The Help, che viene presentato come il discepolo di Ra’s al Ghul che Bruce Wayne sostituì nei favori del capo della Lega degli Assassini e che si è inventato un’attività di faccendiere in grado di risolvere i più svariati problemi. Questo legame fra Wayne e The Help genera una tensione costante ed esplicita lungo tutto il racconto, che da un certo punto in poi li vede addirittura collaborare al recupero dell’occhio. Ogni loro confronto e scontro finisce per sottolineare o interrogare i motivi della preferenza del loro antico maestro. In questo senso, The Help funziona da meccanismo per dare spiragli sul percorso di formazione di Bruce Wayne, consentendo di ribadire la distanza fra questi e il suo maestro. Come tipico dei personaggi di King, anche The Help non fa economia di retorica e i balloon che contengono i suoi discorsi tendono a invadere le immagini; ha tuttavia un’efficace presenza in scena, grazie alla sua monoliticità: una volta inquadrato nei suoi tratti, si comporta in coerenza a essi; in particolare, sottolinea spesso i propri intenti, le proprie motivazioni e persino la propria logorrea. In definitiva, un personaggio aderente a stereotipi noti, quindi immediatamente familiare e strettamente funzionale al dipanarsi dell’intreccio, che non cade nella macchietta didascalica grazie al montaggio del racconto, che gestisce i tempi delle sue apparizioni.
Riflessi in un occhio di pietra
Iniziamo il nostro viaggio attraverso l’architettura di Killing Time cercando di rispondere alla domanda “Perché Le Baccanti di Euripide?”, che possiamo tradurre come “Quali chiavi di lettura di Killing Time ci offrono Le Baccanti di Euripide?” e, per farlo, consideriamo il ruolo dell’occhio, che nel racconto è il feticcio attorno a cui tutto ruota, e della visione, il senso a quell’organo collegato. In greco antico, “vedere” coincide con “sapere”: la forma del perfetto del verbo “orao” (“vedere”, appunto), “oida“, deriva da un radicale apofonico portatore del significato di vedere. Il ragionamento alla base di questa antica forma di perfetto stativo è semplice: io ho visto, quindi so. Come suggestione combinata, consideriamo un bel verso che, nell’opera di Euripide, Dioniso rivolge a Penteo: “Tu non sai come vivi, non sai cosa vedi, non sai neanche chi sei” e lo facciamo risuonare con il fatto che il racconto di King propone un gioco continuo di disvelamenti, contraffazioni e ricostruzioni degli eventi, in una sorta di sequenza di alterazione e ridefinizione continua – “maniacale” – delle relazioni fra personaggi ed eventi.
La tragedia del Le Baccanti – rappresentata postuma ad Atene in una data incerta, probabilmente dopo la sconfitta nella guerra contro Sparta – racconta di come il re di Tebe Penteo tenti di partecipare ai riti dionisiaci riservati alle donne e di come sua madre Agave lo uccida, avendolo scambiato per un leone nell’estasi rituale, e ne porti la testa infilzata su una picca al padre Cadmo.
Le Baccanti parlano del confronto fra l’esperienza mistica e la conoscenza umana: Penteo vuole vedere, di-svelare il mito, in termini moderni potremmo affermare che intende destrutturarlo, smontarlo nelle sue componenti per ricondurlo nell’ambito dell’umanamente comprensibile. Questa modalità di confronto col divino, nella tragedia di Euripide sfocia nella follia, una follia che impedisce di vedere, perturba il sapere, come comprende Agave a proprie spese, e che, svanendo al primo barlume di sanità mentale, lascia il posto all’orrore degli atti compiuti e al dolore incurabile.
Nel racconto di King l’occhio, che tutti inseguono come talismano di potere, è creduto essere l’occhio di Atena, estratto dalla statua crisoelefantina del Partenone, o l’occhio di Cristo, in una reinterpretazione dell’oggetto che in Killing Time fa capo alla vulgata che vuole l’imperatore Costantino grande sponsor del cristianesimo, nonostante secondo gli studi più recenti sia morto con i paramenti di pontifex maximus, ossia come capo supremo della religione romana (pagana e politeista).
Più avanti, però, come lettori e unici testimoni scopriamo che in realtà l’occhio è quello della maschera teatrale di Penteo. Se da una parte questo lo definisce come una sorta di McGuffin archetipico, ne chiarisce anche il ruolo di feticcio: al di là della sua origine, è il significato che gli viene attribuito a renderlo prezioso e, per chi ne conosce solo l’esistenza e non la storia, il suo valore è dedotto e confermato dalla cura con cui è protetto. E questo è il primo tratto ironico del racconto: l’occhio, simbolo di conoscenza e connesso alla verità, non solo è un falso ma è anche ritenuto prezioso a prescindere dalla sua autenticità; la conoscenza e la verità, quindi, sono valori derivati, secondari, riflessi di credenze, oggetti di consenso.
Dal punto di vista strutturale, l’intreccio si sviluppa tramite l’interazione di due coppie speculari di elementi, che possiamo indicare come evento e racconto: nel passato, il rito delle Baccanti presso Tebe e la sua messa in scena da parte di Euripide; nel presente, la caccia all’occhio e la sua cronistoria da parte di Clock King. Questo parallelismo consente di indicare come motore delle sequenze di eventi la follia: la possessione del dio che scatena i riti dionisiaci da una parte; dall’altra la ricerca del potere, che anima tanto l’articolata trama criminosa ordita da Clock quanto lo scontro sanguinoso nel parco fra le bande di imitatori del Joker e gli uomini del Pinguino. Rispetto agli eventi, il loro racconto non agisce da costruttore di senso: è bensì un (sofisticato) mezzo di condivisione, che mette in evidenza le connessioni causali, ma passa allo spettatore/lettore la responsabilità/sfida di trovare un senso a ciò che vede accadere.
Nella sua introduzione alla tragedia, Davide Susanetti1 esprime efficacemente questo aspetto: “La scena tragica non farebbe dunque che esibire ad un pubblico profano lo scheletro della storia sacra” e, d’altra parte, “esibire gli ingranaggi della macchina mitologica significa distruggere il miraggio dell’origine e il fascino persuasivo degli antichi racconti“. Nel caso di Euripide, che scrive Le Baccanti al tramonto della parabola di Atene, si tratta della presa d’atto che la follia, che domina i riti, e la ragione, che governa la polis, non riescono a trovare un terreno comune da cui possa nascere qualcosa di nuovo, in grado di salvare Atene. Significativa in questo senso è una vignetta del fumetto in cui la sacerdotessa di Atena, dopo la caduta della città al termine del conflitto peloponnesiaco, acceca la maschera teatrale di Penteo: non c’è più niente da vedere, è sopraggiunta la fine di un’era e non si vuole più saperne2.
Difficile a questo punto evitare la domanda: se in Euripide lo spirito della tragedia emerge dalle riflessioni sul declino di Atene, di che cosa si nutre quello dell’opera di King?
Studi di genere (narrativo), ovvero: in che cosa crediamo e perché
Come scritto, Batman: Killing Time è una tappa degli studi dei generi narrativi che King propone da qualche tempo. Come nei casi precedenti, grande cura è dedicata alla proposizione dei meccanismi tipici, così che quello che abbiamo è un racconto esemplare.
Merita sottolineare che l’heist-tale smonta l’intreccio e programmaticamente esibisce gli ingranaggi: un racconto di questo tipo si fonda sul montaggio e dalla bontà di questo dipende largamente la sua capacità di coinvolgere senza ridursi a una mera enumerazione di fatti. Nel caso del racconto di King, abbiamo un’esibizione virtuosistica degli ingranaggi narrativi ma, denuncia l’Enigmista alla fine, questo virtuosismo rutilante nasconde il nulla. Nella vicenda, quel “nothing” al fondo di tutto nasce (è ragionevole farlo derivare) dal fatto che l’occhio non ha alcun potere e per questo niente, della sofisticata architettura cronologica, di quel progetto dai mille fili e dalle mille sincronizzazioni, ha più senso. Il messaggio, speculare alla considerazione di Susanetti, è la vanità di una narrazione che non offra niente oltre all’esibizione dei propri ingranaggi – un’esibizione che solletica il gusto del momento ma che in questa titillazione si esaurisce e non lascia niente. Un simile racconto, come dichiara programmaticamente il titolo, serve giusto ad “ammazzare il tempo”, in attesa che giunga qualcosa di veramente importante. Seguendo questo ragionamento, possiamo fare un ulteriore passo e leggere Batman: Killing Time come una parodia.
Batman: Killing Time come parodia
Parodia: “Travestimento burlesco di un’opera d’arte, a scopo satirico, umoristico o anche critico, consistente, nel caso di opere di poesia (meno spesso di prosa), nel contraffare i versi conservandone la cadenza, le rime, il tessuto sintattico e alcune parole e, nel caso di opere musicali, nel sostituire le parole del testo originario, conservando intatto o con leggere variazioni il motivo“. (Vocabolario Treccani Online)
Per prima cosa, vediamo un verosimile oggetto della parodia: il racconto che privilegia la soddisfazione immediata alla costruzione di una vicenda complessa. Portare in scena una pletora di personaggi del mito di Gotham, fare leva su un mistero del passato del protagonista, svolgere tutto con ritmo adrenalinico.
Ovvero il modo in cui King non ha gestito la propria run su Batman. E, tramite questa parodia, King motiva la propria scelta: quell’approccio porta a racconti autoreferenziali, che cioè si esauriscono nel proprio modo di raccontare, nel proprio stile e che non offrono alcuno sguardo, alcuno stimolo per vedere (ah, l’occhio!) oltre l’immagine e la trama offerta, in una sorta di parossismo didascalico di sé.
Diversi elementi del racconto supportano questa ipotesi:
- Gli errori nelle indicazioni cronologiche delle scene. Killing Time è costruito montando in sequenza scene di momenti cronologici non consecutivi: si va continuamente avanti e indietro nel tempo. La cronologia è tenuta ossessivamente (e necessariamente) da una serie di didascalie che indicano quando la scena ha luogo. Nel presente, si danno giorno, ora, minuti (la sequenza fondamentale avviene in una giornata). Eppure, nel secondo episodio abbiamo un clamoroso errore nelle indicazioni temporali.
- Tutto il racconto è fine a sé stesso: l’occhio, per cui si è tanto combattuto, viene regalato a una hostess sconosciuta, personaggio che appare in una sola tavola. Tutto il progetto di Clock King, quindi, serve solo a dargli l’occasione di raccontarlo; è esibizionismo compiaciuto.
- La chiusura: Clock King parla a Batman seduto al suo fianco e questi, senza nemmeno cambiare posizione, senza guardarlo né muovere un muscolo del viso, lo colpisce con un pugno: è una scena dalla costruzione comica. Tanta tragedia finisce in una risata, un ribaltamento di registro totale, che cancella tutto quanto.
- L’occhio è un falso. Tutti lottano per “l’occhio del dio“, ma in realtà si tratta dell’occhio di una maschera. Possiamo interpretare questo dicendo che un oggetto “vale ciò che le persone sono disposte a pagare” (come dice un personaggio nel prefinale), anche nel caso di una storia che non racconta niente.
- Durante una sessione di addestramento ambientata nel passato, Ra’s al Ghul rimprovera a Bruce Wayne di non mentire perfettamente, gli dice che è ancora troppo puro per accettare la menzogna. Tre vignette più in basso la Testa del Demone spiega al futuro Crociato Incappucciato qual è il dono che ha lasciato nella sua stanza con queste parole: “Non è altro che il mio bene più prezioso. Ho ucciso molti uomini per ottenerlo, e ancora di più per conservarlo. Un oggetto da portare sempre con te per ricordarti che, anche se te ne vai, anche se pensi di poter rifiutare tutto quel che sono… tu sei il mio retaggio e rimarrai sempre il mio unico vero erede“. Se il regalo consiste davvero nella cosa più preziosa che ha, perché Ra’s la regala a un uomo che, come ha capito, non diventerà mai come lui? Perché prima specifica che la menzogna è fondamentale e poi parla in modo apparentemente sincero? La lezione del villain sulla menzogna è veicolata tanto dalla retorica quanto dal dono, ossia l’occhio. Inoltre, più avanti scopriamo che Batman non ha mai fatto domande su ciò che ha ricevuto, probabilmente perché non gli interessa se non in certi termini: per lui l’oggetto è solo il simbolo di un allenamento concluso e dell’uomo che non vuole diventare, verso il quale assume un atteggiamento critico.
Possiamo definire l’oggetto di parodia come un caso concreto? Qui la tentazione è forte: nel primo arco della run batmaniana di James Tynion IV, che rilevò King, Catwoman agisce in accordo con Nygma, il Pinguino e altri alle spalle di Batman, per realizzare The Perfect Crime. D’altra parte, la battaglia nel parco con gli imitatori del Joker che si profondono in violenze incontrollate è, come chiarito, un parallelo al rito dionisiaco delle Baccanti, ma potrebbe anche essere un’allusione alla Joker’s War di Tynion.
Sintesi
Batman: Killing Time applica i costrutti e i luoghi ricorrenti del genere heist in un vero e proprio racconto a orologeria. Proprio come certi orologi da collezione, rende visibili gli ingranaggi dei meccanismi e, sfruttando e talvolta portando all’estremo le caratteristiche dei personaggi del mito di Gotham, fa emergere una narrazione che funziona al contempo come omaggio e parodia, poiché il racconto si esaurisce nelle proprie meccaniche: la loro pulizia ed efficienza, infatti, non è al servizio di alcun tema.
Bonus: altre relazioni tra Le Baccanti e Batman: Killing Time
Infine, senza pretesa di essere esaustivi, torniamo su alcuni concetti e offriamo ulteriori spunti di confronto a chi desideri affrontare o riaffrontare la lettura de Le Baccanti di Euripide, prima o dopo aver concluso Batman: Killing Time.
- Mentre nella tragedia si dubita che Dioniso sia un dio e ci si interroga perfino sulla sua effettiva esistenza, nel fumetto non si prendono in considerazione domande sull’occhio.
- Davide Susanetti scrive: “Dischiudendo la dimensione del dubbio e dell’invenzione, la scena euripidea verifica le dinamiche fondative del mito, la loro origine e la loro tenuta: il dispiegarsi di versioni alternative e le condizioni che conducono all’affermazione di una ‘verità’“. Per quanto riguarda Killing Time, come abbiamo detto, possiamo credere che King l’abbia scritto per verificare la tenuta del meccanismo di un determinato tipo di storie.
- Nel dramma euripideo Cadmo invita il nipote Penteo ad affermare la divinità di Dioniso, a prescindere dalla verità e dalle sue convinzioni personali. Al vecchio Cadmo non interessa la verità, che Bacco sia un dio oppure no, perché la bugia può tornare utile alla famiglia che detiene il potere a Tebe. Tra le vignette, similmente, credere nell’occhio di dio fa bene a chi ce l’ha e tale credenza agisce su chi non ce l’ha.
- Sempre Susanetti, accennando agli aspetti metateatrali de Le Baccanti, afferma: “Dioniso allestisce una tragedia, ma al suo interno non rifugge l’effetto della commedia“. Come abbiamo rilevato, King gioca con la commedia quando inserisce passaggi ironici, su tutti il pugno di Batman a Clock.
- Restando nel solco metateatrale, notiamo che all’interno della recita studiata da Dioniso i membri della famiglia che regna su Tebe “divengono marionette impazzite, fatte a pezzi e gettate via” (Susanetti). Ruolo assai simile è quello dei vari villain coinvolti nella mattanza nel parco.
Abbiamo parlato di:
Batman: Killing Time
Tom King e David Marquez
Traduzione di Lorenzo Corti
Panini Comics, 2023
192 pagine, cartonato, colori – 25,00 €
ISBN: 9788828753056
Euripide, Baccanti, a cura di Davide Susanetti, Carocci, 2010 ↩
Nell’Edipo re di Sofocle, Edipo si acceca dopo aver rovinato se stesso, la propria famiglia e Tebe. Non vuole più sapere niente, non vuole più conoscere. Ecco la punizione per l’errore, come dice Clock King riferendosi alla vicenda de Le Baccanti. L’errore dev’essere conosciuto, riconosciuto, saputo e a quel punto non si vuole più vedere. Si torna nuovamente al perfetto greco “oida“, stavolta in senso negativo e con una scansione degli eventi invertita: ora che so, non voglio più vedere. ↩