In principio c’è una piccola vignetta che galleggia all’interno di una pagina molto più grande di lei. E quando inizi a leggere Blankets di Craig Thompson non riesci a immaginare nemmeno lontanamente quanto quella illustrazione così minimale nel tratto, così intima nella figurazione della scena, sia l’inizio di un racconto colossale, per mole (quasi seicento pagine a fumetti) e per intensità narrativa.
L’opera di Thompson parla di cose difficili (l’amore, la fede, la passione) in modo semplice, autentico, attraverso la storia di un teenager, l’alter-ego dell’autore, raccontato in quella particolare fase della vita in cui ogni emozione è vissuta come un assoluto. Quell’età, come scrive Luca Sofri nell’introduzione al volume, in cui anche fissare le crepe del soffitto per un tempo infinito, diventa parte della grande avventura del crescere.
Blankets è un romanzo grafico, come recita il sottotitolo della bella ri-edizione italiana Rizzoli-Lizards. “Graphic novel“, ovvero il francobollo pubblicistico con il quale editori e autori hanno affrancato da circa trent’anni il medium fumetto dall’egemonia culturale di supertizi con il mantello e animali parlanti.
In questo senso, a volerne fare un manifesto espressivo dei comics d’autore, si potrebbero snocciolare i numerosi successi riscossi da Blankets presso le giurie dei più importanti premi del settore. Eppure sarebbe un peccato ridurre a questo i meriti di Thompson.
Perché, se c’è una cosa che davvero colpisce di questo racconto autobiografico, è il saper arrivare tanto al cuore del lettore smaliziato, consumatore indefesso di letteratura disegnata, quanto a quello del lettore occasionale, magari poco assiduo di questi linguaggi.
L’incanto sta nella libertà con cui il cartoonist riesce a usare tutti i mezzi espressivi a sua disposizione, senza smanie di esibizionismo grafico, senza stucchevoli virtuosismi, senza pretendere di convincerci che il fumetto possa/debba essere arte. “Semplicemente”, Thompson utilizza le soluzioni di linguaggio più adatte a restituirci le emozioni e i sentimenti dei suoi personaggi. Due esempi analitici sono più chiari di tante riflessioni teoriche: il layout delle tavole e l’utilizzo della parola nel racconto.
Thompson per la stragrande maggioranza delle tavole, utilizza gabbie grafiche tradizionali, dove il numero e la taglia delle vignette variano sempre in maniera contenuta. Le eccezioni esistono (come la vignetta incipit citata all’inizio) ma sono centellinate con cura rispetto a quei layout discreti. Come dire che Thompson costruisce una prosa d’impaginazione classica su cui ogni variazione assume il valore (all’occhio del lettore) di una punteggiatura narrativa. Una vignetta smarginata, dopo tante regolari, ad esempio è l’equivalente di un punto esclamativo. Una splash page, dopo decine di tavole zeppe di vignette, corrisponde a uno struggente punto a capo.
L’alternanza di corpi liberati o costretti dalla gabbia grafica delle vignette diventa, pagina dopo pagina, metafora visiva della condizione sentimentale dei personaggi e, in particolare, del protagonista. Il Craig di Thompson rappresenta, in fondo, un giovane Holden alla rovescia, che comprime dentro di sé le proprie emozioni fino a che l’incontro con Reine non gli permette di aprirsi all’altra metà del cielo di china.
Nella relazione di Craig con l’altro (Reine, ma anche il fratello Phil, i genitori, gli insegnanti, gli amici) si coglie il secondo aspetto esemplificativo di come tutto in Blankets mira all’efficacia espressiva: la parola. Le 592 tavole che compongono i diversi capitoli della storia abbondano di balloon e didascalie. C’è la voce diaristica di Craig, ci sono citazioni tratte dalla Bibbia, ci sono soprattutto dialoghi, tanti dialoghi. Nonostante la mole di parole però, come rileva ancora Luca Sofri, le scene più vibranti sono affidate a una dimensione diversa:
Thompson disegna momenti lunghi e fermi di silenzio.
Disegnare il silenzio sembra una banalità, invece è l’impresa più difficile per un cartoonist. Perché ciò che rende percepibile il silenzio nella vita di tutti i giorni è il poter rapportare la durata di quell’assenza di rumore a un “prima” e un “dopo”, affollati di suoni. Ma nei comics il prima e il dopo non esistono: nessuna immagine possiede in sé il sonoro.
Disegnare il silenzio in un fumetto significa, per paradosso, dare al lettore “l’illusione del tempo e del rumore”, prima e dopo quel silenzio. Ed è in fondo l’effetto che Thompson riesce a trasmetterci con quella colonna sonora interminabile di parole, pensieri, citazioni. Con quel flusso verbale che sembra inarrestabile e che, invece, d’improvviso ammutolisce dentro la singola vignetta, nel restituirci la magia di uno sguardo o di una lacrima.
E in quel momento, il lettore non pesa che la parola manchi. Si crea un effetto staffetta tra l’universo del visibile e quello del verbale: l’uno ci proietta, dove l’altro non può arrivare. Lì dove si sogna, si soffre, si ama con l’intensità di un solo respiro disegnato.
Si potrebbero fare altre analisi, relative al tratto figurativo o alla costruzione delle scene, ma già così si riesce forse a cogliere meglio perché Blankets offra alla definizione di “romanzo grafico” una valenza profonda. Graphic novel inteso non tanto (o non solo) come stile di rappresentazione o come genere/formato editoriale, piuttosto come poetica, come urgenza comunicativa di raccontare una storia con i linguaggi dei comics, perché quello è il modo migliore per l’autore di raccontarla.
E anche se non ci sono superuomini volanti o topi ciarlieri, dopo aver letto Blankets, avrete la sensazione che quella storia non poteva che essere raccontata in un fumetto, con la cifra del fumetto, con il respiro del fumetto, con l’anima di un fumetto. Qualunque cosa sia.
Abbiamo parlato di:
Blankets
Craig Thompson
Traduzione di Claudia Manzolelli
Rizzoli Lizard, 2010
592 pagine, cartonato, bianco e nero – 29,00€
ISBN: 8817043737
Riferimenti:
www.coconinopress.com
www.blackvelveteditrice.com
Recensione di Goodbye Chunky Rice di Craig Thompson
Articolo sulla presentazione di Blankets a Milano
Recensione di Lascia stare e altri racconti brevi di Peter Kuper