Se non ci sei mai stato, non te la puoi nemmeno immaginare. Questa è l’unica cosa che mi viene in mente, pensando a Gerusalemme: le cisterne dell’acqua sui tetti, i check point, il venerdì e il sabato, gli uni e gli altri.
Guy Delisle c’è stato, ci ha abitato per un anno con tutta la famiglia. A Gerusalemme è stato padre e marito, straniero, espatriato occidentale, disegnatore, insegnante, esploratore, pensante. Da questo soggiorno è nato Cronache di Gerusalemme, uscito in primavera per Rizzoli Lizard e anticipato dal sito del Corriere della Sera.
Un bel tomo, pensato e realizzato per la stampa, riposte nel cassetto le matite colorate di Shenzhen, riprende il discroso iniziato con Cronache Birmane, con lo stesso segno incisivo. L’immagine nasce già pulita, senza fronzoli, senza particolari superflui.
Molto più ordinato di alcuni precedenti lavori, certo, ma che di essi conserva il tono, lo stesso sguardo stupito e ironico sul mondo nuovo.
Cambiare città, paese e continente ogni anno, al seguito di una moglie cooperante o di lavori itineranti, per forza di cose allena l’occhio all’osservazione. Durante il suo anno in Israele-Palestina Delisle fa esattamente solo una cosa: osserva. E riporta su carta.
Non c’è un giudizio, di valore o politico, nel suo lavoro. In un anno la Città Santa se l’è girata in lungo e in largo, così come l’intero paese, da una parte all’altra del muro e delle barricate, camminando fianco a fianco con ebrei ultra-ortodossi, musulmani convinti, fondamentalisti cristiani, volontari e operatori internazionali e cercando sempre di capire da che parte potesse stare la verità, la ragione.
Ma è proprio questo che manca, in una realtà come quella di Gerusalemme e dei due paesi che le girano attorno: tavola dopo tavola, il lettore si trova davanti situazioni, azioni e reazioni al limite dell’assurdo, con una logica interna quasi magica, che solo chi vive lì può (a fatica) arrivare a capire. Natale, Pesach e Ramadan, tutto in un’unica città, che è tre, quattro, mille città insieme. Labirinti di vicoli sudici e scintillanti centri commerciali, spiagge mediterranee e villaggi nel mezzo del deserto, quasi adolescenti in servizio di leva e ragazzini al lavoro, studenti svogliati e imprenditoria giovanile, facce di tutti i colori e di tutti i suoni, tutto negli stessi 22mila kmq.
Non smette di meravigliarsi, Delisle, durante il suo soggiorno. E nel tentativo di capirci qualcosa, conduce anche noi attraverso quel mondo complesso, variegato e frantumato, mettendoci di fronte a interrogativi, paradossi e intrecci apparentemente inestricabili di storie, memorie, rancori e speranze.
Vivere una vita in Medio Oriente significa confrontarsi ogni giorno con uno dei passati e dei presenti più ingombranti che possano esistere sulla faccia della terra: essere arabo o ebreo, palestinese o israeliano, significa molto di più di quello che le parole possono dire.
Delisle riporta questa complessità sulla carta: nessuna storia, personale, familiare, cittadina, riesce a svincolarsi dalla Storia ufficiale, quella fatta dai grandi nomi e dai grandi eventi. Inizia subito a prendere le misure con tutto questo, l’autore, fin dal viaggio in aereo che lo porterà a Gerusalemme: un anonimo passeggero del volo porta con sé una serie di numeri tatuati sul braccio, e con essi una storia tanto grande da non poter essere raccontata ma solo intuita. Così tutto e tutti, luoghi e persone, tra Israele e Palestina, hanno la loro storia da raccontare, o da lasciare solo intuire.
In questa trama fittissima di storie, nessuno ne esce solo buono o solo cattivo (e il rischio, visto il tema, era grande), non c’è chi ha ragione o chi ha torto. Ci sono solo persone che convivono (più o meno bene), ci sono attivismi e apatie mescolati assieme, disperazioni e drammi, soluzioni cercate e mancate. Ci sono codici di comportamento da scoprire, usi e costumi incomprensibili, c’è l’attacco a Ghaza del dicembre 2009, gli interrogatori in aeroporto e i convogli umanitari.
Ora, se doveste arrivare a Cronache di Gerusalemme sperando di trovarci dentro un nuovo Palestina, sappiate che rimarreste delusi, e non poco. Non c’è traccia del pathos, del dramma di Joe Sacco, qui dentro. L’immagine è serena, i colori chiari e soffici, c’è il caldo soffocante del deserto, ma niente fango, nessuna miseria umana straziante, nessuna tragedia collettiva. Tutto è votato all’ironia e all’assurdità della situazione. Delisle non è un attivista per i diritti dei palestinesi e non è un cooperante pacifista. Delisle disegna pupazzini. Punto.
E con questi pupazzini ci racconta quello che ha vissuto lui, il suo viaggio nella pancia del conflitto arabo-israeliano, all’interno dei territori occupati, nelle città divise, nei quartieri ghetto.
Quella che Delisle mostra in Cronache di Gerusalemme è la vita che continua, nonostante tutto: una forza che persiste, che cerca una sua normalità, che si incontra (scontra) quotidianamente con l’altro.
Abbiamo parlato di:
Cronache di Gerusalemme
Guy Delisle
Rizzoli-Lizard, 2012
336 pagine, brossurato, colore, 20 €
ISBN: 978-8817057301
VAle
10 Ottobre 2012 a 22:12
Di Delisle non me ne perdo uno: il modo unico che ha di raccontare il mondo mi affascina e conquista ogni volta!
La redazione
11 Ottobre 2012 a 10:07
Un appunto che gli si sente fare è forse di una certa ripetitività nel trattare questi argomenti, tu che ne pensi?
VAle
11 Ottobre 2012 a 11:27
E’ innegabile che lo stile del racconto sia sempre simile a sé stesso, ma, per quel che mi riguarda, i pregi stanno tutti nei piccoli aneddoti e nel racconto della quotidianità, della ricerca di un adattamento, una routine. Di certo Delisle ha uno stile a cui è facile assuefarsi, con il rischio di “appiattire” le diverse esperienze, ma, prese singolarmente, le sue opere rappresentano un unicum nel panorama del racconto (grafico) di viaggio!
La redazione
11 Ottobre 2012 a 12:54
Un commento molto chiaro e condivisibile, grazie! :)
Fulvio Vergnani
2 Maggio 2013 a 21:51
La quotidianità può essere ripetitiva così come lo stile dell’autore, ma in questo caso la ripetitività è negata da situazioni tanto assurde da farci vedere con occhi diversi la sua costante monotonia. Davvero un’opera notevole.