Che, rivoluzionario di Cuba e d’America

Che, rivoluzionario di Cuba e d’America

Nel cinquantenario della morte di Ernesto Che Guevara, Rizzoli Lizard ristampa la biografia a fumetti del Che a opera di Héctor Oesterheld e di Breccia padre e figlio.

«Il vero rivoluzionario è animato soprattutto da un grande sentimento d’amore.»
«E soprattutto siate sempre capaci di sentire sulla vostra pelle qualsiasi ingiustizia commessa contro chiunque in qualunque parte del mondo. Questa è la qualità più grande di un rivoluzionario.»
[Ernesto Che Guevara]

Che (Una vita in rivolta, sottotitolo aggiunto nell’edizione italiana) fu realizzato nei tre mesi estivi del 1968 da Héctor Oesterheld, l’amico fraterno Alberto Breccia e suo figlio Enrique, coinvolto dal padre per la prima volta in un lavoro a fumetti.
A meno di un anno dalla morte di Guevara i tre, tutti di idee politiche progressiste in una nazione – l’Argentina – e in un continente – il Sud America – soggiogati dalle dittature sorrette dagli USA, sentirono l’urgenza di rendere omaggio alla vita di un personaggio che era un simbolo di speranza e liberazione per i giovani sudamericani.

La necessità degli autori di raccontare l’attualità storica azzerando la distanza cronologica che li divideva da molti degli avvenimenti raccontati era una novità per l’epoca e, considerata la diversa velocità di diffusione delle notizie in quegli anni nonché la più difficile ricerca delle fonti, possiamo considerare Che quasi un instant book ante litteram.
Ancora di più, possiamo considerare l’opera una sorta di antesignana del graphic journalism odierno, seppur lontana dalle sue forme attuali.
Fermo restando che la componente agiografia unita a quella politica sono elementi fondanti di questo fumetto, con Che siamo forse di fronte alla prima biografia dedicata al personaggio e per molti aspetti essa si avvicina a un lavoro giornalistico, inteso nel senso di divulgazione di fatti a un’ampia fetta di lettori. In questo senso si spiega anche la scelta del medium fumettistico, considerata la larga diffusione delle historietas nella società argentina dell’epoca.

C’è una voce chiara ed argentina, che fu fuoco e medicina…1

Come il traduttore del volume Boris Battaglia riporta nella postfazione, il diario della guerriglia boliviana scritto da Guevara e pubblicato a Cuba dall’Istituto del Libro de L’Avana era la lettura più diffusa tra i giovani peronisti argentini. E proprio dalle pagine che riportano le parole scritte dal Che Oesterheld parte per dare corpo alla propria sceneggiatura, mischiando sia nelle didascalie sia nei dialoghi le riflessioni in prima persona del protagonista, con parti più descrittive comunque cariche di una forza ideologica e politica cristallina ed evidente. Dunque, un fumetto coraggioso, vista la dittatura che era al potere in Argentina.

Oesterheld non imposta la narrazione in modo cronologico, bensì decide di alternare il racconto biografico dell’intera esistenza di Guevara – disegnato da Alberto Breccia – alla cronaca della campagna boliviana e degli ultimi mesi di vita del Che – affidati al pennello di Enrique Breccia che, appena ventiduenne, fino a quel momento aveva svolto solo lavori da illustratore.

Proprio con le tavole sulla guerriglia boliviana si apre e si chiude il volume, in una sorta di circolarità dentro la quale viene racchiusa la vita di Ernesto Rafael Guevara de la Serna, primo di cinque fratelli, asmatico dall’età di tre anni a seguito di una doppia polmonite, medico e rivoluzionario, politico, ingenuo, sognatore e combattente per il Terzo Mondo.

I pensieri del Che scandiscono il racconto, accompagnati dalle parole di Oesterheld che descrivono le varie tappe dell’esistenza del protagonista e della sua presa di coscienza delle ingiustizie e delle tragiche condizioni in cui era immersa la maggior parte della popolazione del continente sudamericano.
Questa presa di coscienza del Che si riflette nello sviluppo narrativo della sceneggiatura, che diventa via via più esplicita sul piano ideologico e politico. Difatti, quando al momento della pubblicazione del libro fu proposto a Oesterheld l’anonimato per evitargli problemi con la giunta militare al governo, l’autore arrivò addirittura ad affermare: «Non è possibile nascondersi, sarebbe una contraddizione dopo avere scritto la biografia di un personaggio come il Che rifiutarsi di firmarla. Non solo voglio firmarla, voglio il mio nome bello grande in copertina.»

C’è, se vai ben oltre l’apparenza, un’impossibile coerenza…

Se per Oesterheld quest’opera segna una tappa fondamentale nella sua presa di coscienza politica che lo conduce insieme alla famiglia al tragico destino di desaparecido, anche per i Breccia le tavole di Che rappresentano una epifania, seppur in modi diversi per padre e figlio.

Per rappresentare i passaggi più importanti della vita di Guevara, Alberto usa un tratto descrittivo, una griglia a tre strisce per pagina spesso composte di tre uniche vignette nelle quali un bianco e nero sporco e graffiato connota la cifra stilistica dell’autore. La china è passata con ampie pennellate a definire ombre e ambienti, mentre i dettagli dei paesaggi e dei volti vengono resi da linee più sottili e precise.
I disegni di Breccia padre, con il proseguire dell’opera, denotano anche una continua ricerca di definizione e sono esplicitamente segnati dallo stile che suo figlio Enrique adotta per la parte della storia a lui affidata.

In questo che è il suo primo lavoro a fumetti, l’autore argentino ormai da anni residente in Italia fa uso di un segno “emotivo” e immediato. La struttura delle tavole resta fondamentalmente la stessa del resto dell’opera, ma il disegno nasce come una sorta di gioco di silhouette e ombre nere su uno sfondo bianco abbacinante. I disegni di Enrique si susseguono sulla pagina come macchie di Rorschach, dalle quali emergono sia i tratti grotteschi dei soldati dell’esercito e dei contadini ignari delle azioni dei guerriglieri, sia i lineamenti precisi del volto di Guevara, unica figura che si staglia sempre riconoscibile sullo sfondo.

Tutto il resto viene lasciato all’interpretazione del lettore, in una pletora di segni e macchie che più che l’azione rappresentano l’emozione dei vari personaggi. Questa sintesi visiva intende colpire il lettore con l’intensità degli stati d’animo di chi è convolto in quei frenetici frangenti di battaglia facendo anche uso di segni grafici a carattere simbolico, come i perfetti cerchi bianchi su corpi, sfondi e figure neri che riproducono i fori di proiettile nella carne.
Lo stile espressionista di Enrique Breccia si sublima nelle ultime tre tavole del libro, dove dal nero sovrastante che avvolge gli ultimi istanti di vita del Che emergono soltanto i lineamenti del suo volto, una sorta di sindone che fa di Guevara quasi un cristo laico del XX secolo, un simbolo della lotta di tutti i poveri del Terzo Mondo.

C’è una storia che oramai è leggenda…

Nell’analisi del volume merita anche soffermarsi sulla “specularità oppositiva” rappresentata dalla prefazione e dalla postfazione.
Nella prima, Enrique Breccia smonta molte delle leggende nate sull’opera (la distruzione degli originali a opera dei due disegnatori, l’unica copia del libro scampata al sequestro dei militari seppellita in giardino da Alberto e poi inviata in Spagna, etc.) e, senza sminuire l’importanza e il significato della pubblicazione, pone gli eventi in una prospettiva più oggettiva, razionale e reale.
Nella seconda, in uno scritto estremamente ricco di valore per alcune considerazioni letterarie, Boris Battaglia si appiglia a quelle leggende come necessarie a soddisfare il bisogno dell’uomo di storie, vere o false che siano, a maggior ragione quando legate a un personaggio e a eventi fondamentali per la storia dell’umanità.

Battaglia non disconosce, anzi, ammette la verità delle memorie di Breccia, tuttavia rivendica l’importanza e il valore della finzione letteraria, in un contrappunto che si sviluppa tra l’oggettività di chi fu direttamente coinvolto nella realizzazione dell’opera e il diritto al non reale, al non vero, al letterario dei lettori di cui Battaglia si fa portavoce.

C’era un uomo troppo spesso solo, e ora resta solo un viso…

Che, una vita in rivolta rimane un’opera attuale, sia dal un punto di vista narrativo e contenutistico che grafico e il tempo trascorso non ha avuto la meglio sulla storia che essa raccoglie.
A prescindere dal valore di una ripubblicazione nell’occasione del cinquantenario della morte di Che Guevara, il libro a cui Rizzoli Lizard regala una splendida confezione cartotecnica (da segnalare le illustrazioni realizzate da Andrea Bruno che accompagnano pre e postfazione) resta importante quale documento letterario di un’epoca fatta di vicende storiche e politiche che coinvolsero tanto il protagonista delle pagine, quanto gli autori delle stesse.

Ma soprattutto, quest’opera continua a far capire che dietro al viso che dopo cinque lustri continua ancora a sventolare su migliaia di bandiere e a essere rappresentato su altrettante magliette e copertine (assolutamente riuscita quella creata da Roberto La Forgia per il volume), c’era un uomo che si assunse l’onere di provvedere alle necessità e ai desideri di milioni di sudamericani e che, pur negli sbagli e negli errori commessi, ha segnato indelebilmente, e forse reso migliore, il cammino dell’umanità.

Abbiamo parlato di:
Che, una vita in rivolta
Héctor Oesterheld, Alberto Breccia, Enrique Breccia
Traduzione di Boris Battaglia
Rizzoli Lizard, 2017
137 pagine, cartonato, bianco e nero – 19,00 €
ISBN: 9788817097635


  1. Perdonatemi il vezzo, o il gioco, di usare come sottotitoli parti del testo di “Cohiba” di Daniele Silvestri. Senza dimenticare che alla figura del Che hanno dedicato alcune loro canzoni anche autori come Francesco Guccini, gli Inti-Illimani, Carlos Puebla e sicuramente tanti altri musicisti. 

Clicca per commentare

Rispondi

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *