Una delle opere più note sul tema dell’attesa è Aspettando Godot di Thomas Beckett. Tre attori sul palco interpretano tre modi differenti di attendere questo misterioso Godot, che, pur non comparendo mai sulla scena, ne influenza i movimenti e le azioni, mentre gli spettatori interpreteranno quei modi di intendere l’attesa in funzione della loro esperienza, più che di quello che Beckett stesso aveva in mente di trasmettere.
In fondo i tre personaggi di Aspettando Godot sono tre pagliacci che tra scherzi reciproci, malinconiche osservazioni filosofiche e deliri al limite dell’incomprensibile mostrano come, in fondo, la vita non sia altro che un’attesa e sta a chi attende il compito di riempirla, allo stesso modo dei protagonisti di Storie di un’attesa di Sergio Algozzino.
La città dell’attesa
Tre attese distinte, che poi sono una sola vissuta in modi diversi: un conte che attende il momento di partire per la Terra Santa preparando il viaggio stesso; uno scacchista dilettante che tra la prima e la seconda guerra mondiale attende le lettere con le mosse per la partita epistolare che sta giocando con uno sconosciuto; l’adolescente che attende la ragazza del suo primo appuntamento girovagando tra le bancarelle di un mercatino delle pulci. A Palermo. La città dell’attesa.
Per noi palermitani è sempre stata una perenne sospensione da una dominazione all’altra. Forse è per questo che stiamo ad aspettare che le cose si risolvano da sole, o che sopraggiunga una specie di intervento divino.
E di dominazione in dominazione il senso dell’attesa si è svuotato del senso originario, è diventato un istante vuoto, possibilmente da riempire con la vacuità dei tempi moderni, ottenendo un’accezione negativa, spesso data dall’aspettare il proprio turno in fila, ad esempio in mezzo al traffico dell’ora di punta o che il test di gravidanza dia finalmente una risposta o che il film in streaming finisca di caricare o persino il proprio ultimo respiro. Eppure l’attesa è un po’ come il viaggio: ciò che è importante non è tanto quello che si attende quanto l’attesa in sé, il modo in cui la si vive. E proprio di questo, in ultima analisi, racconta Sergio Algozzino in Storie di un’attesa.
Gioco d’incastri
Il libro di Algozzino è un incastro delle tre storie di un conte, uno scacchista e un adolescente nella Palermo di tre periodi storici vicini e al tempo stesso lontani, tutti nel ventesimo secolo. Ruolo centrale lo gioca lo scacchista, che può essere considerato l’attendista per eccellenza. In fondo lo spiega molto bene, anche se in maniera un po’ cruda, William Burroughs in Queer:
Il gioco degli scacchi classico per gli arabi era semplicemente una gara di resistenza.
E in effetti ognuno dei tre protagonisti vive una sua resistenza personale, che nel caso dello scacchista è un riferimento evidente grazie al parallelo con il Dr. B., protagonista della Novella degli scacchi di Stefan Zweig, romanzo peraltro citato dall’autore sia esplicitamente sia implicitamente grazie all’ambientazione storica e all’uso di un paio di spunti felici.
Interessante, poi, l’utilizzo di differenti stili narrativi e grafici. Da un lato le tre storie sono raccontate in modi differenti: per il conte, Algozzino utilizza uno stile favolistico che richiama alla tradizione italiana, ad esempio quella de Lo cunto de li cunti di Giambattista Basile; per lo scacchista, una storia d’amore raccontata senza il filtro di alcuna didascalia; per l’adolescente, un racconto a tratti introspettivo con l’incastro delle didascalie dell'”io giovane” e dell'”io adulto”.
Inserite tra le vicende principali si trovano, poi, alcune pagine che raccontano piccole porzioni di attesa nelle quali Algozzino mostra un’ottima padronanza con di differenti stili grafici, che spaziano dal manga al caricaturale all’underground, in evidente contrasto con lo stile principale del libro, sviluppato negli ultimi anni partendo da alcuni suggerimenti di Les humanoïdes associés, a metà strada tra il classico Hergé e lo sperimentale Andrea Pazienza.
Il tratto risulta alla fine gradevole e contribuisce alla lettura scorrevole del testo. La composizione delle vignette è abbastanza classica, realizzata in funzione dell’effetto grafico ricercato di volta in volta, mentre l’assenza dei contorni le rende delle piccole cartoline. L’enfasi su alcune situazioni particolari viene sottolineata grazie a uno sfondo completamente bianco con la vignetta costituita solo dai personaggi o da alcuni oggetti particolari se non addirittura da didascalie.
Nel complesso Storie di un’attesa è il libro migliore di Algozzino, che sintetizza la sua capacità di raccontare, con grande semplicità, le persone, insieme con un’ottima gestione dei tempi narrativi e l’uso dell’acquerello per la colorazione che dona al tutto quel senso di calma insito nell’attesa stessa.
Abbiamo parlati di:
Storie di un’attesa
Sergio Algozzino
Tunué, aprile 2016
152 pagine, cartonato, colori – 16,90 €
ISBN: 9788867901807