In questa raccolta di storie, per lo più pubblicate precedentemente sul mensile Blue, il Centro Fumetto Andrea Pazienza offre ospitalità a Maurizio Ribichini, autore che è già stato pubblicato su Schizzo presenta e che viene nuovamente riproposto. Questa scelta dell’associazione cremonese è sicuramente atipica: Ribichini è un autore non più giovanissimo, è attivo da 20 anni, si è fatto, come si suol dire, un certo nome; conosciuto per le indiscusse qualità soprattutto nei circuiti di settore, ci viene presentato come il talento più vero nato nel fumetto anni ’90 (Massimo Galletti). Insomma: non avrebbe certo le caratteristiche dell’autore emergente classico, ideale per essere inserito in una collana che fino ad ora ha presentato autori all’inizio della loro esperienza professionale oppure non ancora conosciuti al pubblico italiano; caratteristiche che non ritroviamo certo in Ribichini. La mia impressione è che il Centro Fumetto abbia una grande stima per questo autore e che, allo stesso tempo, Maurizio abbia avuto in questi anni difficoltà a farsi veramente conoscere al grande pubblico, come invece meriterebbe, data la qualità del suo lavoro. Per spiegare meglio cosa intendo dire, la cosa migliore è vedere chi e che cosa c’é nelle storie di Ribichini.
I personaggi raccontati da Maurizio sono quasi tutti adolescenti che vanno a scuola o che tornano a casa dei genitori per cenare. Descrivere il loro comportamento in questi contesti, pero’, non servirebbe ad avere un quadro della loro autenticità, della loro più intima personalità. Quindi la scuola, la casa, la città stessa diventano il rumore di fondo in cui Ribichini sceglie di ambientare le storie. I protagonisti vengono mostrati per quello che sono quando non fanno le cose che dovrebbero fare: quando non vanno a scuola, quando non dormono, quando sparlano o prendono in giro qualcuno. E cioé quando non fanno tutte quelle cose che la società ha preparato per loro e si aspetta che facciano. Questi momenti rubati allo studio o alla scuola sono i momenti dell’educazione sentimentale, momenti che diventano tutto, quelli che si ricordano quando si ripensa a quello che si è fatto durante la giornata, un attimo prima di addormentarsi (e probabilmente quelli che si ricorderanno da adulti). Francesco Coniglio, nell’introduzione, spiega che il titolo Storie Fragili è una definizione molto lontana da quello che realmente sono le storie di Ribichini. La fragilità sta forse nella scelta di descrivere momenti o tempi molto brevi, in cui tutto sembra reggersi su un filo estremamente sottile, perché il tempo è poco e la parola “fine” sembra arrivare sempre troppo presto. In realtà ogni storia contiene un indizio, una frase, una sequenza grazie alle quali diventa estremamente solida e durevole. Ribichini non è di molte parole, ed è proprio questa sua caratteristica a rendere le storie fragili e solide nello stesso tempo, come un silenzio prolungato: per esempio, in La signora Gina basta una vignetta per far capire che la vita della prostituta è segnata non soltanto dalla professione ma anche (e forse soprattutto) dall’incidente stradale in cui le è morto il figlio diciottenne.
Parlare del lavoro di Ribichini è molto difficile, così com’é difficile descrivere l’arte di un grande autore. Raccontare una della sue storie andando in ordine cronologico è assolutamente fuorviante; descrivere un momento è di nuovo sminuente, perché nelle storie di Ribichini c’é spesso un sovrapporsi di eventi che tutti insieme creano una situazione in cui tutti i personaggi si mostrano. Ogni racconto scorre come una poesia, in cui è importante leggere tra le righe e le parole, quando serve; ma scorre anche come un film, dove l’intreccio crea un’emozione e un’attesa che si dipana. È anche molto difficile spiegare perché l’erotismo sia un tema così importante: Rabuiti, nella postfazione, lo definisce un ottimo espediente narrativo per parlare della realtà. L’erotismo, in Ribichini, è il modo in cui gli adolescenti si parlano, si conoscono e, spesso, non dialogano; è attraverso questi momenti, a volte squallidi, a volte surreali, altre volte magici o rubati, che i personaggi di Ribichini cercano di comunicare. Questi ragazzi nudi, spogliati, presi nel momento in cui fanno o sognano di fare l’amore sembrano volersi prendere un brandello di conoscenza dell’altro, a tratti quasi a forza, spesso senza riuscirvi. Si sfiorano, nessuno di loro sembra conoscere fino in fondo i sentimenti dell’altro, eppure ognuno cerca una relazione più profonda che spesso non riesce a trovare.
Le storie di Ribichini sono a tinte forti e, in certi momenti, sembrano dirci quante parole non vengono ascoltate e quanto poco le persone si conoscono, anche quando stanno insieme. Ma Ribichini non vuole assolutamente esprimere un giudizio morale. Semplicemente, quelle che racconta sono tutte storie possibili, vere, con una dignità profonda, in cui ogni attore prova a fare qualcosa: dal godersi una partita di calcio, al decidere con chi e come vorrebbe stare e, se non ci riesce, a non considerarla una sconfitta, ma soltanto un altro giorno, un altro momento della vita. Potrebbe sembrare quanto di più semplice esista, ma raccontare la dignità e la normalità è un’impresa ardua: la retorica, il cinismo e la critica sono sempre in agguato, e Ribichini lo sa bene. Sempre nella postfazione, Rabuiti scrive che quando un amico sostiene che il fumetto sia Topolino e Dylan Dog, per rispondergli gli mostra le tavole di Ribichini. Nel fumetto di commerciale e popolare, quasi sempre c’é una missione da compiere e c’é un eroe tutto d’un pezzo che la porta a termine. Nel fumetto d’autore questi schemi, per fortuna, saltano: questo accade anche per Ribichini. Nelle sue storie non ci sono missioni, non c’é un cattivo, non c’é un conflitto. Ci sono solo persone vere, che vivono storie realistiche (o neo-realiste), come se fossero frammenti di un film, raccontate da un autore affermato e riconosciuto come uno dei migliori dell’attuale scena italiana.