Un futuro non ben specificato. Androidi con autocoscienza combattono per i loro diritti. Alieni migrano in massa da galassie sconosciute su barconi volanti. Scorpioni/gatto mutanti combattono il male. Tra Castellammare di Stabia e Vico Equense (due paesi in provincia di Napoli) invece non succede un cazzo, e i pochi giovani rimasti pensano perlopiù a drogarsi quando e dove possono.
È con queste parole che si apre Storie ‘e Merd!, ironico e scorrettissimo fumetto di fantascienza partenopea che, con la scusa di presentarci un mondo futuro e (poco) fantastico, ci parla invece del nostro presente in maniera intelligente, caustica e apparentemente priva di speranza. I protagonisti di Storie ‘e Merd! sono alcuni ragazzi del futuro dalla vita anonima e priva di slanci, che condividono con i loro simili del presente una totale apatia, una sfiducia universale e il dover sopportare la vita in una cittadina anonima e degradata, corrotta e abbandonata, dove sembra mancare ogni possibile via d’uscita, e nella quale il massimo del divertimento è andare a procurarsi la droga e sfuggire alla polizia, il tutto portandosi dietro un robottone costruito in casa con pezzi da discarica e che – lungi dall’essere una creatura superiore – è invece inutile e pigro tanto quanto i suoi padroni.
Il risultato è un fumetto divertente e divertito, irriverente, lucido e acuto, che io stesso ho recensito nel mio blog Le110pillole, e che è frutto del talento di un giovane autore: Ruben Curto.
Nato nel 1986 a Vico Equense, in provincia di Napoli, dopo alcuni lavori come grafico e illustratore locale Ruben ha esordito nel mondo del fumetto entrando nella casa editrice Italiana GGstudio (lavorando rispettivamente ai progetti One ed Extinction Seed). Successivamente ha debuttato nel mercato americano dapprima come copertinista della casa editrice Zenescope e poi come colorista per l’Aspen Comics e per altre case editrici emergenti come la Giantess Comics.
Da un anno a questa parte è entrato nel mondo dell’autoproduzione creando Storie ‘e merd!, il suo primo fumetto in qualità di autore completo. Contemporaneamente, è entrato a far parte del collettivo di artisti Artsteady coi quali collabora tutt’oggi in progetti e autoproduzioni (47 deadman talking, Commedia sexy all’italiana) .
Domanda d’obbligo: tu leggi fumetti?
Ovvio che sì! Sin da bambino, li leggevo e li facevo anche (salvo poi fermarmi in età adolescenziale per un lungo periodo). Ho avuto la fortuna di essere cresciuto tra i fumetti grazie al fatto che a quei tempi i miei gestivano un’edicola, leggevo perlopiù roba mainstream tipo Disney, Marvel e Bonelli.
Ora leggo quasi tutt’altro, ma se mi trovassi davanti una qualsiasi cosa narrata con disegni e balloon il mio primo istinto sarebbe quello di leggerla.
Domanda altrettanto d’obbligo per un giovane autore: come mai hai deciso di diventare fumettista, e quali sono i tuoi autori di riferimento?
La vera passione e la voglia di intraprendere questa strada è nata sopratutto per caso, quando scoprii che esistevano altre mille tipologie di fumetto al di fuori della roba da edicola. Andrea Pazienza ad esempio è stato uno degli autori che più mi hanno sconvolto la vita, da lui sono arrivato a Moebius e tanti altri autori geniali e folli. La loro caratteristica era la capacità di fare cose estremamente complesse (per una persona normale) approcciandosi a esse con semplicità. Ti facevano quasi sembrare che fosse una cosa facile fare fumetti.
Se avessi saputo da subito che in realtà non è così facile forse non avrei preso questa strada (dico sul serio).
In SeM appare una Castellammare di Stabia del futuro nella quale la gente passa tutto il tempo a drogarsi e a non fare nulla, specchio – si suppone – di un presente insoddisfacente. Da dove nasce questa tua idea? Con quali motivazioni?
È una domanda che non mi sono mai posto. Amo e odio il posto in cui sono nato e i luoghi che frequento, e immagino che questo sentimento si trasferisca automaticamente nelle storie che racconto, dove di base c’è sempre un fondo di insoddisfazione. Penso però che la cosa sia normale. Una persona di spirito creativo, che si ritrova a nascere e crescere in una qualsiasi provincia con pochi stimoli, avrà sempre da ridire sulla realtà che gli sta attorno.
Chi rappresentano i tuoi personaggi?
I miei personaggi sono inizialmente concepiti come marionette alle quali voglio far dire, direttamente o indirettamente, alcune cose che io stesso penso. Hanno generalmente una psiche piuttosto semplice (almeno fino ad ora). La cosa buffa è che in fase di scrittura spesso si distaccano loro stessi dal copione prefissato e vivono di vita autonoma, dicendo e facendo cose di cui io stesso mi vergognerei se avessi davanti un pubblico. Rappresentano dunque la parte più grezza di me, ma anche la parte più grezza di tanta altra gente che mi sta attorno e di chi lo legge.
Credo che in SeM però il protagonista principale sia l’ambientazione.
Puoi spiegarci meglio quest’ultimo concetto?
Questa cosa è più marcata nel secondo numero, dove in alcuni passaggi ho voluto che l’ambientazione prendesse il sopravvento rispetto alle cose che dicevano o facevano i protagonisti, che fosse lei a parlare senza dir niente. È un’idea che mi è balenata vedendo alcuni film di Andrej Tarkovskij (che sarà pure un regista pesantissimo e tristissimo ma ha una poetica visiva senza eguali).
Prendiamo ad esempio la doppia splash page all’interno del fumetto: originariamente quella doppia doveva essere tutto un monologo del protagonista per esprimere alcuni miei concetti. Poi sono andato sempre più a semplificare e sintetizzare il testo fino a quando non ho fatto comunicare tutte quelle cose tramite la semplice rappresentazione dell’ambiente. In questo modo il mio intento originario è stato stravolto e cambierà a seconda di chi si sofferma ad osservare, ma rimane comunque lì.
Secondo me è più bello quando si comunica non in maniera didascalica ma tramite cose che diano un impatto emotivo che neanche il creatore può controllare.
Qual è il ruolo della droga nel tuo fumetto, vero e proprio elemento cardine delle tue storie?
La droga è appunto un elemento scatenante, un pretesto. La uso come espediente per narrare più facilmente e comprensibilmente l’insoddisfazione giovanile, quella voglia di evasione da una realtà che vivono pur non avendo scelto di nascerci.
“La scimmia” (trasformata poi in un personaggio vero e proprio) è quella parte materiale di noi che continuamente desidera cose a caso pur di non essere qui e ora. Si può essere in scimmia per una miriade di cose, non per forza solo per la droga.
Credi che in generale il fumetto possa avere una valenza sociale, e l’autore un ruolo importante?
Meno di altri media nell’immediato, ma a lungo andare se un fumetto raggiunge una massa considerevole di persone può avere un bell’impatto sociale. Prendi la maschera di V for Vendetta che è diventato simbolo di Anonymous, Occupy Wall Street e tutta una serie di manifestazioni e proteste. O prendi anche la moda nerd di adesso… un buon 70% di quella roba viene principalmente dai fumetti.
L’autore invece ha lo stesso ruolo sociale di un essere umano qualunque (importantissimo e inutile allo stesso tempo)… né più, né meno.
Com’è stato recepito il tuo lavoro, soprattutto dalla gente del luogo o che conosci? Ci sono state critiche o elogi riguardo il tuo punto di vista apparentemente così cinico?
Con mia estrema sorpresa è stato recepito piuttosto bene. Le persone del luogo sono diventate ovviamente i primi fan della serie (lì un po’ me l’aspettavo) proprio perché parla anche del loro paese, molti di loro neanche leggono fumetti. Addirittura mamme con figli piccoli al seguito l’han comprato, target che non mi aspettavo minimamente di intercettare (spero non se ne pentano). Gli amici vabbè sono entusiasti, ma quelli non valgono perché è ovvio che ti vogliono bene.
Devo dire che è stato accolto bene anche nell’ambiente nerd da fiera e agli eventi più underground, non solo a Napoli e dintorni. È un fumetto un po’ ibrido forse è stato quello che lo ha salvato. Fosse stato solo fantascientifico, solo comico o semplicemente solo un fumetto che parlava di Castellammare non avrebbe avuto questo seguito. Non ho avuto particolari critiche, un po’ perché non ho ancora raggiunto una fama così grande da attirarmi un numero considerevole di detrattori, un po’ penso sia perché il fumetto stesso è sostanzialmente comico e non si prende troppo sul serio.
Se uno mi viene a dire: “questo fumetto è una merda” io non posso che rispondergli “Ovvio! Sono Storie ‘e merd!”. È un metodo un po’ paraculo per non essere subito linciato o aspramente criticato alla mia prima autoproduzione, perché credo che in quel caso ne soffrirei.
Se diventassi realmente famoso un giorno allora si che il mio spirito sarebbe temprato abbastanza per potersi accollare giudizi negativi senza doversi abbattere troppo.
Come nasce una Storia ‘e Merd?
Le prime storie son uscite quasi completamente a flusso di coscienza. Disegnavo questi personaggi che prendevano forma e vita autonomamente.
Col tempo ho poi imparato a usare qualche soluzione narrativa come colpi di scena e situazioni un po’ più “spettacolari”, anche se di fondo questi espedienti narrativi li prendo con le pinze. Preferisco che le mie storie non siano incentrate troppo sulla spettacolarità, e anzi la spettacolarità mi piace usarla come un modo per tenere il lettore in tensione e prenderlo pure un po’ in giro in maniera simpatica, giocando con le sue aspettative.
Fino ad ora ho realizzato principalmente storie dove sembra che possa accadere di tutto ma in realtà non succede un cazzo.
Una volta avuta l’idea, qual è il tuo metodo di lavoro?
È difficile per me definire un metodo preciso. Una storia può avere una gestazione lunga (nella mia testa), oppure può essere scritta in due giorni. La tecnica invece non è mai la stessa, mi piace sperimentare e variare con gli stili a seconda della storia che devo raccontare. Inizialmente ho fatto cose disegnate a linea chiara e colorate in digitale. Col tempo ho iniziato a usare sempre più tecniche manuali. Ad esempio il secondo numero ha una base di acquerello in scala di grigio payne colorata successivamente a computer.
Fino ad ora solo una storia è stata fatta interamente con tecniche tradizionali, mixando acquerelli e pastelli vari. Mi ha divertito molto disegnare quest’ultima e credo che sperimenterò altra roba su quel genere.
Mi è capitato pure di variare con diverse tecniche in una stessa storia a seconda di ciò che accade, è una cosa che mi diverte tantissimo.
Mi capita a volte di chiedermi se esista una sottile differenza tra fumetti “del nord” e fumetti “del sud”, con i secondi molto più ancorati (in maniere spesso critiche) alla loro realtà, anche nei fumetti più “fantastici”. Secondo te esiste tale differenza?
Credo e spero di no. Il fumetto è il fumetto. Poi è ovvio che il luogo in cui viene pensato e concepito ne influenzi molto i contenuti. Il Sud ha una serie di problematiche e caratteristiche folkloristiche che una persona che lo narra non può ignorare.
Tu ti autoproduci. Come mai questa scelta e quale è stato il tuo percorso?
Nel mio caso è stata quasi una scelta obbligata. Nel mio fumetto si parla napoletano, ci si droga e si bestemmia. Nessun editore sarebbe stato così folle da pubblicarlo accollandosene i rischi di un insuccesso.
I risultati sono soddisfacenti? Consiglieresti ai giovani autori di autoprodursi?
È comunque sempre un rischio… I risultati mi hanno soddisfatto molto sul piano personale, mentre sul piano economico ti dirò che, anche quando lavoravo solo per editori più o meno importanti (principalmente americani nel mio caso), non è che ho guadagnato chissà quanta stabilità e indipendenza economica. La miglior cosa sarebbe riuscire a fare entrambe le cose.
Consiglierei ai giovani autori (se di reali aspiranti “autori” stiamo parlando) di creare nella più assoluta libertà e sincerità senza volere troppo cercare mi piace facili e senza giungere a compromessi che ammazzino lo spirito cardine del proprio lavoro. Non è importante per forza autoprodursi… anzi trovare un editore che pubblichi cose tue sarebbe una gran cosa.
Tuttavia ci sono un sacco di idee balorde che esulano dalle linee di target editoriali attuali, ma che valgono comunque tanto e sarebbe un peccato scartare per sempre.
Autoproduzione intesa unicamente come via per arrivare al “lavoro sicuro” dei grandi editori oppure come alternativa praticabile (se ne esiste una)?
Allo stato attuale non credo sinceramente che sia una cosa che un ragazzo possa portare avanti per tutta la vita, se non altro per una serie di limiti economici (calcola non solo le spese di stampa, ma pure quelle di distribuzione, delle fiere e spostamenti vari, calcola la forza lavoro, il tempo che uno impiega per pubblicizzarsi, ecc.). Però ora stanno affiorando tanti metodi alternativi di produzione (come il crowdfunding o il metodo “prima o mai” di Ratigher) che una qualche speranza in più la stanno dando.
Fatto sta che pure gli editori non è che ti garantiscano uno stipendio mensile fisso in quanto artista, quindi è sempre meglio per chi fa fumetti pensarne una più del diavolo. Io, per quello che mi concerne, anche se lavorassi per una casa editrice che mi garantisse un lavoro fisso cercherei sempre di ritagliarmi il tempo per cose mie (autoprodotte o non), ove possibile.
Quali sono i tuoi obiettivi futuri?
Ansia! Non lo so! O meglio sono tante le vie che si potrebbero aprire così come sono molteplici i risultati ai quali potrei arrivare. Potrei finire per diventare presidente della Bonelli o potrei finire a fare il barbone.
Detta così sembra che non faccio un cazzo, ma in realtà ho tante idee e storielle che mi frullano nel cervello, alcune sono pure collaborazioni con amici. Alcune idee addirittura non riguardano manco il mondo del fumetto (ma sempre robe inerenti all’arte) però non parlo mai con nessuno di niente per scaramanzia.
E quali sono invece, secondo te, gli obiettivi della “vera” Castellammare e dei suoi eroi?
Eh, bella domanda! Se guardo ai ragazzi vedo una situazione ascendente… Si propongono iniziative ed eventi alle volte pure con scopi di volontariato occupando beni sequestrati alla camorra (prendi radio Asharam). Poi guardo l’amministrazione e la politica e mi pare una fase veramente decadente e marcia fino al midollo, con i classici scempi e le speculazioni edilizie tipiche di noi stupidi italiani.
Non lo so, si incontra così tanto bene e così tanto male sullo stesso angolo di strada che è difficile capire come sarà il futuro.
Ma alla fin fine, in Storie ‘e Merd! c’è spazio per un po’ di speranza o il tuo fumetto è solo la cronaca di una strada senza ritorno?
La speranza in Storie ‘e Merd è nella sua comicità, nel suo umorismo. Si può ridere sempre e comunque anche in mezzo alla devastazione.
Ma attenzione! Per ridere ridiamo, ma ciò non vuol dire che dimentichiamo il male su cui ci sarebbe da lavorare. La speranza è anche nel lettore che legge, ride e che nonostante le “scemità” che faccio mi auguro capisca dove voglio andare a parare.
Ricordiamo a tutti che è possibile trovare Storie ‘e Merd! sulla sua pagina ufficiale, che contiene anche degli episodi disponibili gratuitamente, e ringraziamo Ruben per la sua disponibilità.
Intervista realizzata via mail e LSD nel mese di Luglio 2015.