In ricordo di Harvey Pekar

In ricordo di Harvey Pekar

A pochi giorni dalla sua scomparsa ricordiamo l'autore di American Splendor, capostipite dell'autobiografia applicata al fumetto. Innovatore controcorrente del sottobosco culturale americano, figura solitaria ed emarginata, ha contribuito ad avvicinare i comics moderni alla letteratura.

Scrivo queste righe ascoltando le note struggenti di My Favorite Things di John Coltrane, il brano che accompagna le scene finali del film American Splendor, ispirato alla vita e alle pagine di Harvey Pekar. Per il pubblico italiano vedere questo film è il modo migliore per scoprire e conoscere Pekar, che, al momento in cui sto scrivendo, ci ha lasciati da poco più di un giorno.

American Splendor in una delle pagine di Robert Crumb.

Ancora molti non lo conoscono, ancora molti devono riconoscergli i suoi meriti, ma di sicuro molti hanno saputo apprezzare il genere che lui ha introdotto nel mondo del fumetto e che in questi anni è diventato così diffuso e popolare:, l’autobiografia. Ai suoi tempi, gli inizi degli anni 70, se lo stile di vita dei supereroi non ti andava giù avevi poca scelta, ed amare il fumetto non era semplice.

Il fumetto era tutta un’altra cosa rispetto ad adesso, e se ci piace com’è ora, se ha saputo evolversi e crescere attingendo molto dalla letteratura fregandosene della televisione e dell’intrattenimento facile, lo dobbiamo anche a lui. Sì, come lo dobbiamo a Charles Schulz, Will Eisner o Harvey Kurtzman, lo dobbiamo anche ad Harvey Pekar.

Pekar era uno che aveva molto da dire, ma che aveva dovuto combattere contro un ambiente ostile, quello di una città industriale come Cleveland, capace di soffocare le aspirazioni di chiunque, e magari aveva dovuto combattere molto anche contro se stesso e il suo carattere introverso, cinico e misantropo.

Una delle antologie di American Splendor

Sin da giovane aveva sempre fatto della scrittura la sua passione, anche se essa non diventò mai una professione. Prima si occupò di critica di musica Jazz, per poi arrivare a conciliare la passione per il buon fumetto e la letteratura. E grazie a incontri fortunati, primo fra tutti con un Robert Crumb ancora agli inizi, ma soprattutto grazie a molta determinazione e caparbietà, creò American Splendor, una serie di albi totalmente autoprodotti e contenenti solo racconti di vicende della sua vita personale. Ovviamente ai testi c’era sempre e solo Pekar, che creava storyboard disegnando figure umane stilizzate, mentre ai disegni si alternavano ottimi fumettisti, come il già citato Crumb, o Spain Rodriguez, Frank Stack, Drew Friedman, David Collier e in seguito altri più giovani come Chester Brown, Joe Sacco o Alison Bechdel.

Le storie erano brevissimi spezzoni di vita, niente di appassionante per il lettore medio di fumetti, niente che consigliereste ad un lettore distratto. Come del resto nemmeno un Raymond Carver (altro narratore americano della vita comune) è adatto a un lettore medio: non c’è azione nei loro racconti, “solo” storie realistiche. Storie reali, nel caso di Harvey, che hanno il pregio di far riflettere e magari farci sentire come se conoscessimo davvero il loro protagonista, come se fosse nostro amico.

Ciò che faceva Pekar nei suoi brevi racconti era prendere spunto da una qualsiasi situazione quotidiana, come la fila al supermercato, una telefonata o una passeggiata con un amico, e da lì ragionare, parlare, esporre le sue idee, nemmeno tanto tra le righe, nemmeno tanto comuni.

Lui di idee ne aveva un sacco, per ogni situazione, idee nette e senza compromessi (che ha anche caparbiamente portato in televisione al celebre show di David Letterman). Era una persona solitaria e burbera, a cui non piacevano le masse, che non esitava mai a essere controcorrente, anche nei momenti apparentemente più insignificanti.

Leggere appassionatamente le sue storie spesso comportava essere d’accordo con certi aspetti del suo modo di vivere o del suo pensiero, e per questo di fan ne aveva relativamente pochi. Raccontava uno stile di vita da vero outsider, spesso carico di cinismo. Appassionarsi alle sue storie, e quindi alla sua vita, significa sentirsi suoi amici; per questo, nonostante il cinismo che ci potrebbe accomunare, appresa la notizia della sua morte non ho potuto far a meno di commuovermi, come tutt’ora scrivendo di lui, uno degli autori che ho apprezzato di più.

Harvey Pekar
Harvey Pekar

Apprezzo il suo lavoro sincero e ciò che ha significato per le generazioni di fumettisti a lui successive, e come ha saputo loro insegnare a credere e a creare i propri lavori in prima persona e a scrivere con sincerità mettendosi in gioco. Senza di lui ci sarebbero stati, per citarne solo alcuni, dei Chester Brown, Adrian Tomine, Jeffrey Brown?

Nei suoi fumetti la sua vita è stata protagonista in ogni aspetto, in ogni momento, sin dai primi albi distribuiti a mano e col passaparola a partire dal 1976, fino ad arrivare alle miniserie per Vertigo o Dark Horse, al recente The Quitter (sull’infanzia) sempre per Vertigo, per passare anche da una vera e propria graphic novel come Our Cancer Year dove lui e sua moglie Joice Brabner raccontano il periodo in cui Harvey si è ammalato di cancro e ha sconfitto la malattia. I contratti con veri e propri editori sono arrivati solo tardi, dopo il film. Nel 2005 in The Quitter, Harvey ne parla con preoccupazione, ma anche con contentezza, felice delle nuove offerte per realizzare libri anche diversi dallo stile a cui era avvezzo. Come Students for a democratic society, pubblicato anche in Italia col titolo Studenti contro il potere, unica opera di Pekar tradotta in italiano oltre alla recente miniserie Vertigo, American Splendor Another Day, uscita per Planeta.

È davvero un peccato che nel nostro paese le sue uniche pubblicazioni apparse siano, seppur opere discrete, per niente significative e rappresentative, al contrario delle prime storie di American Splendor. È un capitolo di storia del fumetto americano e della cultura contemporanea americana che manca dai nostri scaffali.


R.I.P. Harvey.


Letture consigliate, in lingua originale:

  • The New American Splendor Anthology – Four Walls Eight Windows, 1991 ISBN-13: 978-0941423649 (300 pagine delle migliori storie)
  • Bob and Harv’s Comics – Four Walls Eight Windows, 1996 ISBN-13: 978-1568581019 (la raccolta delle storie illustrate da Robert Crumb)
  • Our Cancer Year – Four Walls Eight Windows, 1994 ISBN-13: 978-1568580111 (scritto insieme alla moglie, sul periodo della malattia di cancro)
  • The Quitter – Vertigo DC, 2006 ISBN-13: 978-1401204006 (l’infanzia di Pekar raccontata con un disegno insolito per le sue storie, meno realistico)


Ecco alcune pagine del web con ricordi di Pekar:
Dal Comics Journal: www.tcj.com/news/harvey-pekar-an-appreciation – www.tcj.com/blog/harvey-pekar-1939-2010
Eric Reynolds della Fantagraphics: www.fantagraphics.com/index.php?option=com_myblog&show=Harvey-Pekar-R.I.P..html&Itemid=113
Dal Comics Reporter: www.comicsreporter.com/index.php/harvey_pekar_rip
Un sentito ricordo di Alison Bechdel: dykestowatchoutfor.com/very-sad-news

A un paio di giorni dalla scomparsa di Harvey Pekar ricordiamo l’autore di American Splendor, un’opera praticamente inedita in Italia, capostipite dell’autobiografico applicato al fumetto. Pekar è stato un innovatore controcorrente del sottobosco culturale americano, una figura solitaria ed emarginata, che ha contribuito molto ad avvicinare i comics moderni alla letteratura, al di là dell’idea di genere e al di là anche dell’oggi così abusato termine graphic novel.
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