11-09-2001: gli alternativi

11-09-2001: gli alternativi

11-09-2001 - Nella quarta parte dello speciale, una serie di interviste agli autori che hanno partecipato al volume benefico "9-11 Emergency Relief": James Kochalka, Jessica Abel, Neil Kleid, David Larsky, David Lewis e Carol Lay.

Durante il weekend della seconda settimana di settembre del 2001 (14, 15, 16 del mese), doveva tenersi presso Bethesda, Maryland (poche miglia dal Washington, D.C.) la Small Press Expo, una convention per editori indipendenti che avrebbe ospitato molte firme illustri del panorama fumettistico underground americano.
Quando la convention fu ragionevolmente cancellata, molti creativi si ritrovarono col week-end libero, a rimuginare sugli accadimenti del martedì nero.

Jeff Mason, giovane e lungimirante proprietario della casa editrice Alternative Press, si mise in moto per raccogliere questi grandi e piccoli nomi della scena indipendente in un libro di dimensioni imponenti, dai proventi destinati alla Croce Rossa americana; dichiarò Mason in un articolo giornalistico di inizio 2002:

“Ero preoccupato di come il libro avesse reagito alla prova del tempo, volevo che la nostra antologia riuscisse a essere attuale anche a cinque anni dall’uscita. Così ho incoraggiato ogni artista a raccontare la propria storia nel modo più personale e soggettivo possibile”.

9-11 Emergency Relief centra in pieno l’obbiettivo prefissato, raccogliendo storie (in bianco e nero, con l’eccezione del contributo di Will Eisner) che esprimono i molteplici punti di vista dei personaggi coinvolti nell’operazione. Nomi noti come Jessica Abel (ArtBabe) e Jeff Smith (Bone), decani delle pubblicazioni indipendenti come i già citati Eisner, Kuper e Harvey Pekar, cartoonist del calibro di Frank Cho (Liberty Meadows), Ashley Woods (PopBot, Automatic Kafka, Ghost 2099) e Michael Avon Oeming (Powers, Bulletproof Monk), raccontano il loro impatto con l’11 settembre al pari di artisti meno noti (soprattutto in Italia) come Ted Rall (autore da sempre politicamente schierato su posizioni antitetiche a quelle dell’amministrazione Bush), James Kochalka (rockstar e fumettista talentuoso della Top Shelf) e Nick Bertozzi (una delle rivelazioni del panorama indipendente degli ultimi anni). Abbiamo chiacchierato con alcuni di loro, cercando di capire le loro opinioni sui presunti mutamenti nel modo di scrivere fumetti e l’influenza che l’11 settembre ha avuto sulle loro vite e sui loro lavori.

JAMES KOCHALKA

Kochalka disegna se stessoEclettico disegnatore e musicista noto ai palati italici più raffinati, non è un artista newyorkese: abita nel Vermont, e ha visto l’attacco e le sue immediate conseguenze soltanto alla tv. In Emergency Relief ha raccontato della sua stupida reazione agli avvenimenti (pur di non pensare alla tragedia, James preferì vedere qualche replica di Bayside School), e di una patetica fiaccolata tenutasi quella notte nella sua città (“uno strano mix di zotici, ritardati e ragazzine”).

Cosa ti ha spinto a disegnare per Emergency Relief?
Le mie strisce in quel libro sono tratte dal mio diario/sketchbook. Tengo un piccolo diario sotto forma di comic strip ogni giorno, nel mio sketchbook. Quindi quelle striscie furono la mia reazione immediata all’avvenimento. E’ molto difficile descrivere le emozioni contrastanti che tutti sentivamo quel giorno, non sono neanche sicuro che quelle striscie gli rendano giustizia. Ma non sono il tipo da abbandonarmi nella disperazione più totale: non passò molto prima che iniziammo a scherzarci un po’ sopra, come quando mi bruciai la lingua col caffè bollente e imprecai contro Osama Bin Laden.

L’11 Settembre ha influito sul tuo lavoro?
Nei prossimi giorni (l’intervista è stata rilasciata alla fine dell’Agosto 2003, ndA) mia moglie farà nascere il mio bambino. In questo momento sto lavorando a un fumetto per un mio libro (Reinventing Everything) che spiega come l’attacco alle Torri Gemelle ha portato alla nascita di mio figlio. Penso che la gioia e la vita siano l’unica risposta sensata alla disperazione e alla morte. Reinventing Everything uscirà probabilmente nel 2004.
L’11 settembre ha veramente avuto una profonda influenza nei miei fumetti. Anche il mio fumetto di avventura per bambini, Pinky & Stinky, che parla di due porcellini che esplorano la luna, è stato influenzato dai miei pensieri sull’11 settembre, sebbene non in modo palese. Bisogna cercare le connessioni…

Credi che ci sia stata una riduzione nella libertà di espressione, nel mondo del fumetto alternativo?
Hmmm. Non saprei dire se ci siano stati cambiamenti nella libertà di parola nel mondo dei comics. Sicuramente ci sono stati nella vita reale, almeno nelle settimane immediatamente successive all’11 settembre. In particolare, io e i miei amici sentivamo di poter soltanto sussurrare il nostro dissenso verso le scelte del governo, mentre parlavamo in pubblico. Non solo per paura di una condanna da parte dei nostri compagni concittadini, ma anche perché se dicevamo qualcosa di veramente duro, non volevamo urtare la gente. Sapevamo che le persone erano emozionalmente fragili in quei giorni, così come lo eravamo noi. Comunque, adesso che è passato più tempo, più gente mostra liberamente il proprio disaccordo verso Bush e le politiche del paese.

JESSICA ABEL

Scrittrice e disegnatrice di ArtBabe (in Italia pubblicato dalla Black Velvet):

In realtà vorrei lasciare il mio lavoro su 9-11 E.R. senza alcun commento, perché ho tentato in primo luogo di esprimere un sentimento impossibile da spiegare a parole.

NEIL KLEID

Scrittore e coordinatore di Emergency Relief, oltre a fungere le veci di editor per l’antologia, contribuì con una storia di dieci pagine, Letters from a Broken Apple. Nativo di Detroit, abita a Manhattan dal 1999, dove svolge il mestiere di scrittore di fumetti e graphic designer.

Raccontaci degli eventi che portarono alla storia scritta per Emergency Relief.
L’11 settembre fu un’esperienza umiliante per molti americani, penso. Per quel che mi riguarda, ho imparato il valore della vita e della VERA libertà. E’ un po’ scoraggiante realizzare che non c’è più alcun posto veramente sicuro. Non importa quanti soldati della Guardia Nazionale siano stanziati negli aeroporti e nelle aree pubbliche, un singolo uomo o una bomba al plastico possono lo stesso essere portati all’interno degli edifici, nelle metropolitane e nelle piazze. Prendiamo per esempio Israele: quanti bus e ristoranti sono stati compromessi, nonostante l’estesa occupazione militare? I terroristi hanno imparato come istillare la paura nel cuore della popolazione: non con dichiarazioni minacciose, ma costringendoci a guardarci continuamente le spalle e dubitare dei passeggeri che ci siedono a lato.
Ho vissuto l’11 settembre 2001 in totale e plausibile confusione. La maggior parte del tempo cercai di dare un aiuto, come fecero la maggior parte dei newyorkesi. Sembra che ogni persona pensi che New York sia un posto tetro, freddo e non accogliente, dove nessuno ti guarda negli occhi… beh, vedere dei perfetti sconosciuti aiutarsi l’un l’altro quella settimana mi ha mostrato che chiunque dica questo non ha la minima idea di quel che sta dicendo. Tutti eravamo soccorritori, eroi… potevi scavare, potevi fare dei sandwich, potevi donare il sangue, tutto pur di non star fermo. Fui un po’ urtato quando il sentimento del “buon samaritano” successivo all’11 settembre scomparve, per far posto al solito sguardo cinico. Ma l’ho rivisto durante il recente black-out (Neil si riferisce alla crisi energetica che ha colpito il Nord-est Americano durante il ferragosto 2003, ndA), il fatto che la gente voleva aiutare il prossimo. Ribolle sotto la superficie, aspettando una crisi per affiorare.

E riguardo la libertà di espressione?
Libertà di parola? Credo che il problema sia più complesso rispetto alla semplice forzatura di una politically correctness. Dopo l’11 settembre ci fu una corsa precipitosa atta a rimuovere il World Trade Center e le torri dai film, dagli show televisivi e dai fumetti… come se non fossero mai esistiti, per “alleviare il dolore di una nazione”. Merdate. Questo è uno sputo nella faccia di ogni singolo uomo o donna morti l’11 settembre, di ogni soccorritore che ha faticato duramente e ha dato tutto se stesso quel giorno. E’ come tutti quelli che vogliono assicurarsi che nessuno dica qualcosa di offensivo a un dibattito politico, offendendo così questa o quella categoria di persone. L’11 settembre è accaduto, sfortunatamente, e nessuno potrà mai cambiarlo. Ma cancellare le torri dalle fotografie appese nel mio studio? Fanculo. Io c’ero. Conosco gente che ha perso la famiglia. Non mi comporterò come il coglione che a un funerale dice “Oh, so esattamente cosa state attraversando…” ma non sarò nemmeno quello che vuole piangere a tutti i costi.

DAVID LARSKY

È un promettente disegnatore della scuderia Alternative Comics. Insieme a Greg Stump produce un albetto a fumetti, Urban Hipster, il cui primo numero è stato nominato agli Harvey Awards come miglior nuova serie nel 1998.

Cosa ti ha portato a disegnare per 9-11 Emergency Relief?
Dopo l’11 settembre 2001, era molto difficile per me disegnare qualsiasi cosa. Volevo disegnare qualcosa che riguardasse quell’evento, ma mi sembrava impossibile racchiudere così tanto in un fumetto. Alcune cose funzionano sotto forma di fumetto, certe altre no. Questa sembrava troppo grande per essere racchiusa in una pagina di fumetto.
Comunque, volevo fare qualcosa. Il mio editore mi suggerì di lavorare con uno scrittore per il suo libro di beneficenza, 9-11 Emergency Relief. Sono stato appaiato a Joyce Brabner, di cui ho ammirato per lungo tempo i lavori. Mi fidavo della sua abilità di scrittrice, e così fui lasciato libero di pensare esclusivamente a come la storia dovesse essere disegnata. Ciò rese qualcosa che mi sembrava impossibile in qualcosa di molto difficile, ma possibile da realizzare.

A. DAVID LEWIS

È uno scrittore di fumetti, e pubblica per la Alternative Comics, la Third Eye Publishing e la Red Eye Press. Ma non solo: Lewis è il fautore del progetto SAC: ovvero Serious About Comics, una serie di ricerche accademiche approfondite sul medium fumetto. Pellegrinando per gli Stati Uniti e il Canada, tra la biblioteca della Michigan State University (“ha un’eccellente collezione speciale di fumetti e studenti ferrati sull’argomento” assicura Lewis nella sua home page) e il Dipartimento di Inglese dell’Università della Florida, Lewis partecipa ogni anno a decine di convention, discussioni e tavole rotonde sulle varie sfaccettature della nona arte. Lewis ha contribuito a Emergency Relief con la sceneggiatura una storia di 13 pagine: Alabaster Cities.

Credi che sia avvenuto un mutamento di sensibilità nel mondo americano del fumetto, in termini di libertà di parola, o altro?
Senza dubbio, l’11 settembre ha colpito i principali media di ogni tipo, e questo effetto ha avuto ulteriori conseguenze. E certamente il medium fumetto non fa eccezione. Per il dominante genere supereroistico, non solo la nozione di ciò che è bene o male, ma anche il significato della parola “eroe” e il modo in cui la fiction viene influenzata dai cambiamenti della vita reale sono stati completamente rivalutati. La distruzione apocalittica di centri abitati, per esempio, vero marchio di fabbrica dell’Authority di casa Wildstorm, adesso ha assunto un tono completamente nuovo. E la natura iconica e i temi patriottici di albi come Capitan America e Superman si sono complicati totalmente, entrambi influenzati dall’11 settembre e dalla conseguente guerra in Iraq (per non parlare dell’Afghanistan). New York ha solidificato, ancora una volta, la propria immagine di metropoli della scena mondiale, e quindi anche di ambientazione perfetta per i Supereroi Americani. Ma io penso personalmente che le accuse verso Authority – anche alla luce di tutti i dubbi sollevati riguardo le azioni del governo americano su scala globale, nel mondo “reale” – siano state francamente mal indirizzate. I temi “vandalici” di molti dei fumetti degli anni novanta sono stranamente scomparsi, e sembra che le maggiori compagnie non vogliano pubblicare qualcosa che possa assomigliare a una presa di posizione contro la guerra oltreoceano; invece di avere a che fare con la patata bollente dei problemi politici, molti artisti hanno rivolto le loro attenzioni (o si sono ritirati, dipende da che lato si guarda la faccenda) verso i racconti fantasy, fantascientifici, i viaggi del tempo e così via (un’eccezione potrebbe essere Thor, a ben vedere). Incidentalmente, credo, questa non si è rivelata una mossa totalmente negativa: ha portato – come nel ciclo dei Fantastici Quattro di Mark Waid, o a quello di Loeb/Lee su Batman – a un approfondimento della sfera personale degli eroi, delle dinamiche sociali del personaggi, approcci per lungo tempo sottovalutati.
Questo per quel che riguarda il mainstream. Per gli indipendenti, le auto-produzioni, i piccoli editori, credo che questo sia un periodo molto fertile e vitale. Certo, gli eventi dell’11 settembre furono terribili, così come la perdita di vite umane conseguente alla guerra oltreoceano. Ma hanno anche portato i punti di vista e le opinioni della gente a galla, in prima linea, carburante per una sterminata quantità di progetti di storytelling, sia di finzione che biografici. Stanno fiorendo delle idee, se possibile sui massimi sistemi, su argomenti astratti come l’autorità, la guerra, la natura umana, la cultura, o anche a livello più intimista, come la perdita di un caro, la famiglia, o più semplicemente l’amore. Molti scrittori indipendenti hanno già capito da qualche tempo che la realtà è più strana della finzione, e che l’America, con i suoi nuovi interessi verso i reality show e la copertura dei notiziari 24 ore su 24, è più predisposta a scoprire i loro lavori. Io non mi aspetto che questo trend scemi presto; per quanto un periodo come questo possa essere inquietante e disturbante, è anche un mezzo per le voci che vogliono farsi sentire nel campo della narrativa, senza limitazioni di sorta.

Spiegaci i momenti che ti hanno portato a scrivere per Emergency Relief.
Molta gente fece dei commenti riguardo quanto fosse surreale quel giorno, e le settimane successive. La frase pronunciata più spesso (e troppo semplicistica, secondo me) fu “Sembra una situazione uscita da un film” (e, analogamente a quanto ho detto sopra per Authority, non credo che questa frase rispecchi la realtà: non è per nulla comune vedere in un film un attacco di massa a una nazione, o a una città – a meno che non si stia parlando della Mordor de Il Signore degli Anelli, per esempio). Sicuramente io mi sentivo così, ma per me fu qualcosa di un po’ più profondo: Sentivo che sebbene avessi una strana e intricata rete di persone con cui stavo vivendo quell’evento non potevo in alcun modo creare una storia che fosse migliore di quella che la vita stessa aveva già provveduto a creare. Tutto, quel giorno, faceva parte di una storia, che io lo volessi o no. Forse questo è quello che il migliore degli scrittori autobiografici possa fare con qualsiasi giorno della sua vita, ma io me ne accorsi soltanto dopo aver riletto le note di riflessione che avevo preso, terapeuticamente, per tutto l’11 settembre. Come ho già detto, la realtà è più strana della finzione, e focalizzare gli eventi di quel giorno attraverso il prisma del fumetto mi ha aiutato a realizzare, insieme alle reazioni alla storia della gente che avevo attorno, che momento strano, terrificante e allo stesso tempo unificante fu quel giorno per così tanta gente.

CAROL LAY

È una cartoonist nata e cresciuta in California. Dopo una gavetta a disegnare fumetti di Barbie per la Mattel, è riuscita ad affermarsi come disegnatrice della striscia Story Minute, pubblicata negli States, ma anche a Hong Kong, in Giappone e in Norvegia. Ha pubblicato illustrazioni per i più famosi magazine e quotidiani statunitensi.

Cosa ti ha portato a scrivere per Emergency Relief?
Quando ho sentito che New York e Washington sono state attaccate l’11 settembre, mi piegai in due tenendomi lo stomaco, come se qualcuno mi avesse dato un pugno nella pancia. Mio marito era a New York per un’intervista di lavoro, e non sapevo in che parte della città fosse. In passato ha lavorato in tutti gli edifici che crollarono. Fortunatamente, era in una contea a nord di Manhattan. L’orrore dell’evento mi fece sentire inutile. A cosa poteva servire una disegnatrice, di fronte all’anarchia e alla follia? Pensai di abbandonare la mia carriera – che stupida vocazione – e di imparare un mestiere che fosse utile. Credo che molta gente si sentì allo stesso modo dopo, immediatamente dopo l’evento. Un paio di giorni dopo mio marito Allen, ancora bloccato a New York, mi raccontò al telefono una storia di un’amica che testimoniò al crollo della seconda torre. Ecco la storia:

Catherine salutò la sua bambina e scese alla fermata della metropolitana vicino a casa sua, a Brooklin. Era un giorno chiaro e limpido, un bel giorno a New York City. Un uomo stava ascoltando la radio, e le disse nervosamente che un aeroplano si era schiantato contro una delle Torri. Catherine si sentì malissimo, ma pensò, come ogni altro, che si fosse trattato di un incidente. Sulla metro per Manhattan rimuginava sui precedenti attentati alle Torri. Considerò la giornata particolarmente limpida e si convinse che l’aereo si fosse schiantato sulla Torre di proposito. Catherine disse agli altri passeggeri della notizia e delle sue conclusioni. Il treno stava andando verso una stazione che passava proprio sotto il WTC… dovevano uscire tutti da lì. I passeggeri si allontanarono, pensando che fosse pazza (la gente non parla molto in metropolitana, soprattutto in modo così animato). Cercò di convincere alcuni a scendere con lei alla prossima fermata, ma questi si allontanarono. Quando il treno si fermò, lei scese, fu l’unica persona a lasciare il treno. La fermata si trovava su una sopraelevata con una buona vista su lower Manhattan. Catherine vide la torre fumante. E vide, orribilmente, un aereo schiantarsi sull’altra Torre.

Appena sentita la storia, compresi che dovevo disegnarla. Esprimeva l’orrore e la paura che tutti sentivano. Aggiunsi una nota alla fine della storia: I passeggeri della metro pensavano fosse pazza, ma lei non lo era – il mondo era diventato pazzo. Disegnarla fu catartico. Non c’era altra cosa che avessi potuto fare. Qualche giorno dopo, un amico da NY spedì un’e-mail che gli era arrivata da una catena di amici. Una donna, Mavis Chu, raccontava del volontariato a Ground Zero, di preparare sandwich e ripulire scarponi e maschere ai pompieri. Descriveva la sua giornata in modo molto semplice, piccole storie di un’umanità che resiste unita al tetro ambiente che la circondava. Appena finito di leggere la sua testimonianza la contattai, per chiederle il permesso di disegnare quella storia. Lei fu d’accordo.
Le reazioni a quella striscia mi fecero capire che essere una fumettista non era proprio un lavoro inutile. Una donna mi scrisse del fatto che lo shock subito, quando vide gli aerei schiantarsi sulle Torri, non le permetteva di piangere, ma che leggendo il mio fumetto riuscì a sfogarsi e piangere, anche se era al lavoro. Quando il produttore di Emergency Relief mi chiese di collaborare, gli mandai entrambe le striscie che avevo prodotto. Scelse la storia di Mavis Chu. In seguito, quando la Biblioteca del Congresso chiese gli originali, avevo già donato le tavole a Mavis Chu, così donai gli schizzi.

L’11 settembre ha influenzato il tuo lavoro?
Il mio disinteresse per le storie comiche e di intrattenimento persistette per diverse settimane. Pensavo fosse più importante raccontare quel che stava accadendo. Quando più tardi si ritornò a un periodo di calma apparente, anche io tornai a presentare storie di intrattenimento.
Poi, più di un anno fa, il nostro presidente illegittimo iniziò a parlare di una possibile invasione dell’Iraq. Appena risultò ovvio che l’opinione mondiale non avrebbe fermato i nostri dirigenti dall’iniziare un’altra guerra, il mio interesse per l’entertainment diminuì nuovamente. La mia striscia prese prevalentemente la direzione della satira politica. L’11 settembre ha avuto un pesante influsso su di me e sul mio lavoro. Mi ha attivato – mi ha politicizzato. Mi arrivano lamentele da lettori che non vogliono più leggere storie sul triste stato della nostra nazione o del mondo – gente che vorrebbe che tornassi a raccontare storie comiche – ma devo deluderli. La mia mente non può semplicemente più rivolgersi ad argomenti leggeri e senza problemi.
Sono arrabbiata perché la follia del mondo ci ha toccati. Sono sbigottita perché il nostro governo vuole punire dei popoli poveri invece di aiutarli ed educarli. Detesto l’avidità del nostro paese. Siamo i prepotenti del mondo, e ne subiremo le conseguenze, quando verrà il tempo. L’11 settembre è stato l’avvisaglia di quello che può accadere, con le persone sbagliate al governo degli USA.
Questa rabbia è l’unica mia motivazione, adesso.

(continua…)

Originariamente pubblicato sul sito prospettivaglobale.com nel 2003, per concessione dell’autore.
Dove possibile e necessario si è intervenuti per contestualizzare temporalmente i contenuti.

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