La rivista on line Golem L’Indispensabile nacque nel 1996 su iniziativa di Umberto Eco, Gianni Riotta e Danco Singer e fu il primo esempio di rivista culturale italiana pensata specificatamente per il web.
Fino alla sua chiusura definitiva, avvenuta nel 2011, la rivista ebbe varie incarnazioni e poté contare su firme e collaborazioni prestigiose, tra le quali quella di Daniele Barbieri (www.guardareleggere.net) che a partire dal 2001 sulle pagine della seconda serie della rivista pubblicò una serie di saggi e articoli sul fumetto e il suo linguaggio.
Purtroppo oggi la pagina web e l’archivio on line di Golem l’Indispensabile non sono più raggiungibili, ma quelle pagine scritte da Barbieri restano ancora oggi attuali nei contenuti e nel valore dell’analisi e dell’approfondimento sul linguaggio dell’arte sequenziale. È dunque un peccato che gli appassionati del mondo del fumetto di età più giovane o coloro i quali al tempo non avevano conosciuto quella rivista si siano persi tali interventi.
Per tale motivo abbiamo chiesto a Barbieri, amico de Lo Spazio Bianco, la possibilità di ripubblicare sul nostro sito quella sua produzione e l’autore molto gentilmente ci ha concesso il permesso.
In questo articolo l’autore analizza uno dei capisaldi del graphic journalism: Palestina di Joe Sacco.
Si inizia a leggerlo come se fosse una normale storia a fumetti; normale, cioè fiction, finzione narrativa. Anche se sappiamo sin dalla copertina che si tratta di un reportage giornalistico, le consuetudini di lettura restano più forti anche di quello che si sa.
E Joe Sacco è perfettamente consapevole dell’atteggiamento che avranno i suoi lettori, e inizia un po’ in sordina, lontano dai luoghi di cui andrà a parlare, al Cairo, a conversare del più e del meno con due egiziani. Ma il problema inizia a sorgere sin dalle loro parole, con una qualche aria di inesorabilità.
E poi ecco che entriamo anche noi insieme con il giornalista in Israele, e i mille piccoli riferimenti a una storia ben nota iniziano a costruire un effetto di concretezza, di realtà.
Abile, sottilissimo narratore, Sacco sembra raccontarci nelle prime pagine più delle sue sensazioni che della realtà che vede. Si tratta di una presa di contatto con questo mondo sconosciuto a un americano: ed ecco quanto sono arrapanti le ragazze israeliane in uniforme, e quanto sono fichi i soldati, e cosa sente l’amico ebreo americano che è anche lui lì per la prima volta (“Sono a casa. Sono a casa!”).
Osservazioni marginali e contingenti, contrastate con l’effetto dei primi dialoghi con palestinesi, dai quali emerge insieme anche una realtà molto diversa. Ma osservazioni che producono un effetto di realtà straordinario – e la presunzione di finzione del lettore svanisce progressivamente del tutto di fronte a questa prosaicissima quotidianità.
Ancora per un poco il cronista si ritrova nei panni del turista beffato persino dai bambini palestinesi, dominato, come all’inizio è, dalla diffidenza per un mondo che la sua formazione lo aveva portato a considerare la patria del terrorismo; sino a quando, con una gita a Hebron, inizia davvero il terrore.
E il terrore, nelle pagine che seguono, ha sempre una sola matrice, quella israeliana: bambini con fratture multiple da proiettili, che avevano cercato di lanciare un sasso contro i soldati, case distrutte con i bulldozer perché qualcuno in famiglia era sospetto, prigione e torture per persone rilasciate a volte dopo mesi perché non era emersa nessuna prova a loro carico.
Chi legge le mie parole può pensare a una visione di parte. Chi legge Palestina di Joe Sacco, non può fare a meno di entrare in quella parte. Quello che viene descritto, con una capacità giornalistica, narrativa e grafica davvero invidiabili è di un tale livello di orrore da farci insorgere il pensiero che chi venga trattato così abbia ogni diritto di ribellarsi con qualsiasi mezzo a sua disposizione. Per quanto gli israeliani potessero contare anche da parte loro incertezze, disagi, e qualche morto, niente è comparabile a quello che viene descritto qui, al livello di umiliazione continua, svilimento della dignità personale e culturale.
Per fortuna, almeno all’epoca di cui Sacco racconta, i mezzi del dialogo riuscirono a prevalere. Il reportage è infatti del 1991/92, e nel ’93 il nuovo premier Rabin strinse la mano ad Arafat, avviando quella che sembrava essere la via del futuro. Altri premier, poi, si sono dati da fare per cancellare quella via.
Per questo, nel tempo, il reportage di Sacco è tornato di attualità, anche se il livello dello scontro, rispetto alla prima Intifada, si è alzato enormemente, lasciandoci sospettare che non solo quello che Sacco racconta sia nuovamente vero e attuale, ma che anzi la situazione dei palestinesi nel tempo si sia fatta ancora più drammatica di quella da lui descritta.
Sacco non ha vinto, come hanno erroneamente affermato pressoché tutti gli articoli usciti nella stampa italiana, il premio Pulitzer. Si tratta di una bufala, un errore di qualcuno reso generale dalla mancanza di controllo da parte di altri. Ma si tratta di un errore comprensibile, in primo luogo perché la qualità del testo di Sacco è veramente da premio Pulitzer, e in secondo luogo perché non si può fare a meno di paragonare questo reportage a quello che Art Spiegelman realizzò intervistando il proprio padre sull’olocausto e pubblicandolo con il titolo di Maus – e questo sì che ha vinto il Pulitzer nel 1992.
L’avvicinamento è inevitabile, per il comune livello di qualità e per l’argomento: così che non può non colpire il fatto che almeno una parte di coloro che sono state le vittime di quella tragedia adesso siano i carnefici di questa. Come spesso la storia (e anche le storie personali) ci mostra, la vittima impara sempre qualcosa dal suo carnefice – ma sono solo le vittime che sono sopravvissute che possono spezzare questa catena di morte. Certo non coloro che vittime lo sono ancora.
Un premio importante, comunque, con Palestina Joe Sacco lo ha vinto davvero, ed è stato l’American Book Award, ricevuto nel 1996, più o meno nel medesimo periodo in cui realizzava un reportage dello stesso tipo da Gorazde, in Bosnia.
Palestina di Joe Sacco su Lo Spazio Bianco:
Abbiamo parlato di:
Palestina
Joe Sacco
Traduzione di Daniele Brolli
Mondadori Oscar Ink, 2017
312 pagine, cartonato, bianco e nero – 18,00
ISBN: 978-8804679219
La versione originale di questo articolo è apparsa su Golem l’Indispensabile #3 del marzo 2001.