Post Mortem: la prima stagione di John Doe

Post Mortem: la prima stagione di John Doe

John Doe e' una serie che fa discutere, nel bene e nel male: figlia del mondo odierno, della cultura pop, alla ricerca di una forma nuova per proporre il fumetto seriale bonelliano. Analizziamo pregi e difetti della serie Eura in questo lungo articolo sulla "prima stagione", conclusasi nel mese di...

MISTER JOHN DOE

John Doe è un fumetto mensile in formato Bonelli (quello di Tex e Dylan Dog, per capirsi) edito dalla Eura Editoriale, John Doe dalla matita di Carnevalecreato dagli sceneggiatori Lorenzo Bartoli e Roberto Recchioni. Il protagonista è un ragazzotto moro, di bell’aspetto, cinico e antipatico. Ha lavorato per anni presso la Trapassati Inc. sotto la direzione dell’entità Morte, fino alla scoperta di un complotto poco pulito della stessa. A quel punto ha deciso di tradirla e di scappare con la Falce dell’Olocausto. La serie prende il via con l’inizio della fuga del protagonista e del suo girovagare qua e là per gli Stati Uniti in pericolo di vita.
Dopo 24 numeri e due anni di pubblicazioni, John Doe sconfigge Morte assumendone il ruolo (e mettendola in cinta, fatto in sé oltraggioso e destabilizzante), termina la sua fuga, e si prepara a nuovi territori narrativi.

 

POST-MORTEM/POST-MODERNO

Recchioni e Bartoli hanno ideato la prima stagione di John Doe (secondo una dicitura tipicamente da telefilm) in uno strano contesto creativo. A detta di molti lettori, quelli più pessimisti, il fumetto italiano si trova in una specie di coma irreversibile. L’emorragia di vendite, dicono, va di pari passo con una qualità delle proposte altalenante, molto prevedibile, poco diversificata. Il fumetto popolare italiano, soffocato dai supereroi (poco), dai manga (molto), ma soprattutto dai gadget e dagli allegati “regalo” di giornali e riviste, sta diventando una goccia nel mare delle edicole. I giovani leggono sempre meno fumetti. I pendolari (pubblico di riferimento del formato Bonelli) leggono sempre meno Bonellidi (espressione gergale per indicare i fumetti nello stesso formato dei mensili prodotti dall’editore milanese), a favore di “Leggo”, “Metro” e altri quotidiani usa e getta.
Un’analisi attenta e approfondita potrebbe smentire parte di queste affermazioni, generando degli importanti distinguo – ad esempio, la differenziazione delle proposte Bonelli è un processo in atto già da alcuni anni – ma è indubbio che è questo il quadro che si presenta agli occhi di un osservatore superficiale.
In questo contesto editoriale, in questo humus culturale, Bartoli e Recchioni hanno aperto una loro strada, hanno creato un personaggio chiassoso, figlio del mondo moderno, della cultura più popolare – i telefilm, la musica pop, i videogiochi, il cinema – che ha iniziato a urlare per richiamare l’attenzione. L’hanno fatto con l’atteggiamento fintamente distaccato di chi ha capito come gira il mondo, mascherando il citazionismo e il brutto di questa cultura totalizzante e becera con l’abito di scena del post-modernismo.
Ne è uscito un fumetto nuovo, se non nei contenuti, almeno nella forma, sensibile agli infiniti riflessi di questo instabile mondo simbolico, dove tutto viene messo in discussione ogni giorno, ma senza una reale capacità di analisi. John Doe sembra essere proprio questo: il catalizzatore di un mondo in continua trasformazione che teme gli approfondimenti e le vere lacerazioni, comunicative e concettuali.
Il concetto chiave di post-modernismo, tanto caro all’autore Recchioni, diviene così il pentolone dell’apprendista stregone, che tutto raccoglie e tutto può generare, senza un’apparente intenzionalità, alla ricerca delle ricette giuste, ma con un obiettivo molto chiaro: cercare di trasformare il fumetto italiano.

 

LA CASA CHE VOLA

Per avviare la serie, gli autori hanno dato vita a un’America ideologica, finta come la fiction, all’interno della quale John Doe è scappato, inciampando in miti ed entità astratte (Guerra, Fame, Pestilenza, Tempo, …), in topos narrativi più o meno conosciuti, che molto devono al fumetto statunitense, all’ipertempo dello scrittore anglosassone Grant Morrison, secondo il quale tutte le storie, immaginate e raccontate, coesistono in un territorio neutro, simile alla filosofia e ai sogni, senza contraddizioni e sfasamenti. Un aleph generativo capace di auto-riprodursi e di contraddirsi. Recchioni e Bartoli hanno posto le fondamenta della casa nel cielo, in balia del vento e degli orizzonti: fondamenta traballanti e poco convincenti, semplici pretesti narrativi. Tanto che l’ultimo numero della prima stagione, chiudendo tutte le trame, svela la fragilità di tali premesse, allargando i dubbi del lettore.
L’impressione di chi scrive è che gli autori abbiano volutamente puntato sulla fragilità della gabbia concettuale alla base della storia, per non rischiare di rimanervi imprigionati, come l’esperto escapista che si prepara sempre una via di fuga. Il lettore non dovrà quindi troppo interrogarsi sulla logica dietro alla fuga di John Doe, sul perché serva così tanto tempo a Morte per raggiungere il suo nemico, sui motivi dietro alla resa delle entità, sulla non interferenza di Dio (altra celebre apparizione della serie), sul ruolo ambiguo di Tempo e sul valore intrinseco del guerriero Dago nella battaglia finale. Anche perché, con l’arrivo del numero 25, il primo della nuova stagione, tutto viene azzerato. La speranza è che l’azzeramento sia deciso e senza ripensamenti, che davvero il nuovo ciclo non abbia particolari richiami alla prima fase.
Perché, al di là di possibili ragioni creative, la fragilità concettuale e logica delle premesse si rivela una debolezza, che dice forse dell’inesperienza degli autori, o meglio, dell’insicurezza nell’affrontare un progetto editoriale impegnativo come questo.
La credibilità di un viaggio – come quello editoriale di John Doe – dovrebbe apparire più solida, perché il lettore possa realmente immedesimarsi e condividerne i tormenti e le glorie.

 

IDENTIFICAZIONE

John Doe si è rivelato un fumetto dal discreto successo, il che, di per sé, è un piccolo evento nel panorama editoriale odierno. Dopo il Rat-man di Leo Ortolani, vero e proprio successo, nessun altro, negli ultimi anni, era riuscito a imporsi con un prodotto inedito nelle edicole. La pubblicazione dell’Eura non si avvicina al fenomeno metafumettistico di quella Panini, ma è stata capace di costruirsi un gruppo di lettori affezionato, e un numero importante di veri e propri fan.
Eppure, gli autori hanno fatto di tutto per mettere in discussione il rapporto privilegiato che lega il lettore a una serie, hanno cercato in ogni modo di cortocircuitare il processo di immedesimazione conosciuto con il nome di sospensione dell’incredulità. Come ci rivela lo stesso Recchioni in una recente intervista, al lettore non devono rimanere certezze, deve essere pronto all’inaspettato, nella logica del cambiamento a tutti i costi di cui sopra. In un paio di numeri il protagonista parla più o meno direttamente al lettore per spiegargli i trucchi del narratore, per interrompere ogni processo identificativo con gli avvenimenti raccontati, per spiegare come stanno le cose: la serie deve mutare per sopravvivere. E deve farlo in modo chiassoso e deciso, pena l’invisibilità e la chiusura. Ben diverso da quello che regge le sorti di una testata come Tex, per esempio, dove l’immobilità è una vera e propria garanzie per i lettori.
Una scelta coraggiosa, certamente. Una strategia vincente?
Dal punto di vista delle vendite sembrerebbe di sì.
Dal punto di vista narrativo, è un approccio che paga qualche scotto.
Per quanto gli autori tentino in ogni modo di farci credere che John Doe sia la serie da seguire, il rischio intrinseco di queste scelte è quello di apparire pretenzionsi, forzatamente sopra le righe e, in fine, poco credibili. Anche perché se alcune strade percorse appaiono effettivamente innovative, per lo meno per il fumetto italiano, alla resa dei conti, a Bartoli e Recchioni sembra mancare il coraggio di andare fino in fondo. In un fragile equilibrio tra sperimentazione e prevedibilità, rischiano di non accontentare nessuno, né il lettore smaliziato, né il lettore superficiale.
All’insegna della velocità e del cambiamento, John Doe, in 24 numeri, ha esplorato tantissimi territori della cultura, più o meno popolare, senza mai brillare per profondità. Per una serie che, non troppo velatamente, vuole essere specchio di una realtà ormai priva di punti di riferimento, ma zeppa di meccanismi identificatori prefabbricati e a breve scadenza, l’approccio sembra essere fin troppo coerente con quanto vuole rappresentare, facendo dell’occhio che guarda l’oggetto stesso dell’osservazione.

 

VIVERE IL PRESENTE

Le basi non completamente convincenti della serie hanno comunque dato vita ad alcuni racconti brillanti, nei quali, col passare dei numeri, Recchioni e Bartoli hanno acquisito sicurezza e forza, avvicinando l’uno all’altro il proprio stile, in una maggiore uniformità e coerenza. Le quattro storie finali, dal 21 al 24, scritte due a testa, sembrano essere realizzate dalla stessa mano. Concepite come un flusso continuo ed inesorabile di avvenimenti, un cliffhanger furibondo verso la conclusione e la rivoluzione delle premesse, queste storie sono senza dubbio l’apice della serie, fin qui. Ottime per ritmo e impostazione, fanno crescere nel lettore il desiderio di sapere come andrà a finire, grazie anche ai disegni più efficaci dell’intero ciclo, opera in ordine cronologico di Rosenzweig (21), Venturi (22-23) e Burchielli (24).
L’ultimo numero – Gioco di Morte – che vede il protagonista confrontarsi faccia a faccia con l’amante nemica Morte, coinvolge per il suo impianto ispirato a Game of Death (l’ultimo film incompiuto di Bruce Lee), dove le sfide si fanno via via più impegnative e la posta in gioco sempre più alta.
L’impostazione vagamente filosofica degli scontri con le entità, pur non rappresentando alcuna sorpresa, riesce a non cadere nella pretenziosità alla quale ho accennato sopra, e che ha purtroppo indebolito altre storie. Recchioni, l’autore della sceneggiatura, arriva al cuore del racconto e in modo viscerale e deciso scrive la parola fine portando alle dovute conseguenze le premesse, senza mezzi termini né compromessi, e ponendo le prime basi per la seconda stagione.
é interessante confrontare lo stile e il risultato complessivo del ventiquattresimo numero con il primo – La morte, l’universo e tutto quanto – sceneggiato sempre da Recchioni, con i disegni di Emiliano Mammucari. Il numero uno presenta da subito la scelta stilistica degli autori, improntata a una grande leggibilità e leggerezza, nei dialoghi e nel soggetto. Purtroppo, i dialoghi appaiono un po’ troppo da telefilm, con battute facili e sopra le righe. La scorrevolezza inciampa poi nella logica traballante dietro alle cause della fuga di John, come accennato più sopra. Nel complesso, poi, si nota un’eccessiva tendenza al didascalismo in alcune parti, e al colpo a sorpresa nei confronti del lettore; una volontà di stupire che, a posteriori, toglie più di quanto aggiunge alla storia.
Se parte di questi difetti hanno caratterizzato un numero non piccolo di storie, e per certi versi tutta la serie, è pur vero che quegli stessi difetti sembrano essere ridimensionati e più controllati nelle ultime storie, grazie a sceneggiature più equilibrate e più mature.
A chi volesse avvicinarsi per la prima volta alla serie, consiglio quindi di recuperare, oltre al primo albo, i numeri dal 21 al 24, che permettono di scoprire in modo organico e ordinato i trucchi e i meccanismi narrativi che reggono l’impianto di John Doe, e sono esemplificativi dell’atmosfera che ha dominato la prima stagione.

 

Verso la seconda stagioneVERTIGINI

Le sceneggiature di John Doe sono frutto di un’interessante ricerca. La leggibilità e la scorrevolezza delle storie sembra essere più sciolta e rapida della maggior parte dei bonellidi attualmente in edicola. L’impostazione delle tavole e la scansione delle vignette è mossa, non rivoluzionata, sempre ordinata, ma nel complesso meno densa, meno compressa. Se ne può vedere un perfetto esempio nel numero 23 disegnato da Walter Venturi, dove la classica griglia a sei vignette per pagina viene spesso sostituita da un’altra a tre o quattro lunghe vignette orizzontali (pagg. 30-35/35 tra le altre). In altri casi sono presenti singole vignette a tutta pagina (50-51 della stessa storia), oppure lunghe vignette verticali affiancate ad altre di formato più classico.
Il fluire del racconto è accompagnato dal monologo interiore del protagonista, che raramente spiega quanto è raffigurato dai disegni. Esso viene piuttosto utilizzato per esprimere le intenzioni e le emozioni del personaggio, con un’impostazione tipicamente cinematografica.
I dialoghi sono poco invasivi, misurati, con un linguaggio moderno e veloce. L’effetto complessivo di questa ricerca è un fumetto più dinamico, meno descrittivo, più orientato all’azione; e più vicino ai tempi di attenzione e alla sensibilità del lettore di oggi.
La trama dei 24 numeri del primo ciclo è condotta in modo meno serrato rispetto a quanto avviene solitamente nel fumetto italiano, in un meccanismo che sembra nascere da una sorta di economia delle idee e di variazione sul medesimo tema, pur in una logica di continua evoluzione e trasformazione.
In molte di queste scelte è facile ritrovare le influenze del fumetto statunitense, in particolare di quello delle etichette Vertigo e Wildstorm della DC Comics, che raccolgono i lavori di celebri autori come il già citato Grant Morrison, Warren Ellis, Mark Millar, Brian Azzarello, Ed Brubaker, Garth Ennis. Ma anche di autori seminali quali Frank Miller e Alan Moore.
é un processo di svecchiamento del modo di raccontare che, se non esente da difetti, appare coraggioso e perfettamente al passo coi tempi.
Anche alcune delle tematiche tipiche della serie sembrano avere le proprie radici, oltre che nella letteratura popolare, nel fumetto statunitense. Per molti lettori sarà stato facile accostare le divinità e le entità di John Doe a quelle di Neil Gaiman, del suo Sandman (pubblicato in Italia da Magic Press) e di alcuni suoi romanzi (ad esempio American Gods, edito in Italia da Mondadori). Così come è possibile ritrovare nel continuo rimando alla cultura e all’immaginario più popolare i temi cari a Warren Ellis e stupendamente esplorati nel suo Planetary (ancora Magic Press).
Tornando a Gaiman, non è possibile non accostare il percorso narrativo di John Doe alla caduta, evoluzione e rinascita del Signore dei Sogni in Sandman. Addirittura, le premesse della nuova stagione, nella quale, da quanto ci è possibile capire, una parte delle storie sarà dedicata alla costruzione delle fondamenta del nuovo ruolo e regno di Morte, ricordano molto le medesime intenzioni del Signore dei Sogni gaimaniano dopo la sua liberazione, all’inizio della serie.
Lungi da essere scopiazzature o plagi di storie altrui, questi rimandi sono un modo per capire quali sono alcune delle più importanti influenze, dirette o meno, dei due sceneggiatori. Sono il cibo di cui si è nutrita la loro mente e che, più o meno consapevolmente, sono state rielaborate e riproposte nel loro fumetto.

 

SEGNI DI CRESCITA

Un importante capitolo è da dedicare ai disegnatori della serie. Spesso giovani, esordienti o quasi, il loro contributo è un ingrediente fondamentale per definire cos’é John Doe.
Per diverse ragioni, non ultime quelle economiche, l’Eura Editoriale e gli autori Recchioni e Bartoli si sono da subito messi alla ricerca di disegnatori sconosciuti, alla prima esperienza professionale, ma già dotati, ognuno a proprio modo, di un segno particolare, riconoscibile. Inoltre, invece di forzare il tratto dei singoli alla ricerca di un’omogeneità stilistica (come accade per esempio nella serie Julia della Bonelli, scritta da Berardi), Recchioni e Bartoli hanno preteso un segno proprio, distintivo, da ogni disegnatore.
Il rischio al quale la serie non ha potuto sottrarsi è una sostanziale mancanza di coerenza grafica, che produce alcune fratture anche dolorose da un numero all’altro. Non solo, la poca esperienza dei disegnatori ha prodotto alcuni alti e bassi importanti all’interno dello stesso numero, ha generato alcune ingenuità narrative, ha impoverito alcuni episodi.
Tuttavia, nel complesso, si tratta di una scommessa vinta. Il gruppo dei disegnatori che si è costruito intorno alla serie infatti ha dimostrato di avere voglia di crescere, di sperimentare, di dare nuova linfa al fumetto italiano, di riconoscersi i propri limiti per poter migliorare nel tempo.
Per alcuni di essi, la prima esperienza professionale è l’occasione per dedicarsi seriamente al disegno, per lavorare con impegno sul proprio tratto e sulle proprie specificità narrative.
Burchielli, autore tra gli altri del già citato ultimo numero della prima stagione, ne è un perfetto esempio: evocativo, personale, sicuro. Il suo segno non è privo di difetti, la storia nella sua interezza mostra ancora qualche caduta e qualche parte realizzata più in fretta, senza la dovuta attenzione. Tuttavia, la prova mostrata in Gioco di Morte è senza dubbio interessante, riuscita e convincente, e fa ben sperare per la sua crescita artistica.
Ma non solo su artisti quasi esordienti si è costruita la cifra artistica di John Doe. Sono stati importantissimi i contributi di autori già conosciuti, quali Maurizio Rosenzweig (autore di Davide Golia), Walter Venturi (autore di Capitan Italia), Alessio Fortunato (dallo staff di Lazarus Ledd) e Andrea Accardi (stretto collaboratore della Kappa Edizioni). I primi due in particolare, pur provenendo da esperienze editoriali e grafiche molto diverse da quelle di John Doe, hanno saputo adattarsi ottimamente alle richieste e alle esigenze della serie. Il lavoro di Rosenzweig nel numero 21 – Morte in Diretta – è sicuramente uno dei culmini grafici della serie. L’autore milanese ha saputo infatti trovare un equilibrio riuscito tra sperimentazione, espressionismo e realismo, valorizzando la sceneggiatura già particolare di Recchioni.
Fortunato, dal canto suo, nel numero 18 – Tempo Fuori Sesto – ha mostrato un tratto particolare, evocativo e poetico, che ha saputo rendere con efficacia una delle sceneggiature più intimiste della serie, a firma Bartoli.
Accardi si è poi rivelato una scelta ottima per il sesto numero – Nelle fauci della follia – dove per la prima volta gli autori hanno “osato” rompere il patto di sospensione dall’incredulità con il lettore, chiamandolo a essere coscente della sua scelta di proseguire o meno una serie che, si ammicca, potrebbe essere solamente frutto della mente malata del suo stesso protagonista.
Fondamentale infine è il lavoro artistico di Massimo Carnevale, creatore grafico dei personaggi e splendido copertinista. Ogni nuova uscita è l’occasione per ammirare una sua nuova illustrazione, emozionante e perfettamente centrata rispetto alle tematiche dell’albo. La conferma, mese dopo mese, di un vero talento che ha già esportato il suo stile negli USA (sulle copertine di Y: The Last Man per la Vertigo) e che presto terminerà la realizzazione di uno speciale fuori serie di John Doe.
Uno staff nutrito e sorprendente che, nel bene e nel male, ha saputo esprimere in modo senz’altro particolare e stimolante il viaggio tormentato del protagonista.

 

IN MEMORIAM

Se John Doe non è deceduto, alla fine del ventiquattresimo numero della serie, ci è sicuramente andato vicino. Il protagonista, come detto, inizierà la sua seconda stagione con la responsabilità più grande del mondo: dare la morte. La precedente incarnazione di Morte, sconfitta in un impossibile confronto tra amore e distruzione, è costretta ad arrendersi, piegata dalla forza più che umana di John.
Come cambieranno le tematiche della serie, le ambientazioni e il cast dei comprimari è ancora presto per dirlo. Si tratta comunque di una scelta coraggiosa e condivisibile, che libera gli autori da una gabbia narrativa non efficacissima e che apre nuove, importanti possibilità creative.
Quel che è certo è che l’evoluzione narrativa della serie, fin qui, è andata di pari passo con la continua crescita tecnica di Recchioni e Bartoli, sempre più decisi a voler lasciare un segno visibile e riconoscibile nel fumetto popolare italiano.
Se siete curiosi di conoscere la loro particolare visione della realtà, di leggere un fumetto divertente, fresco e dinamico, con qualche malizia e qualche ripensamento, ma senza dubbio con una voce particolare, avvicinatevi alla seconda stagione di John Doe, che inizia col numero 25 in edicola a giugno.

Collegamenti
Intorno al personaggio in due anni sono nati diversi spazi on-line ben curati, spesso con l’assistenza diretta degli autori. Al di là del sito dell’Eura Editoriale (www.euraeditoriale.it), purtroppo poco aggiornato, vi consigliamo di visitare www.trapassati-inc.com, probabilmente il primo sito su John Doe, johndoeenc.altervista.org, la competa Enciclopedia su John Doe, e johndoeoriginals.altervista.org, dove sono in vendita tavole originali della serie.

Clicca per commentare

Rispondi

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *