Se si supera quelle che sono ormai le comuni aspettative nate con i film d’animazione Disney e l’estrema edulcorazione sviluppata da molta editoria per ragazzi nel corso degli anni, si può scoprire come e quanto le fiabe e le favole originali abbiano spesso un animo crudele, creepy e granguignolesco. Una tradizione in cui si tuffa a piene mani Stéphane Fert per farla sua e costruire la sua fiaba moderna, che è esattamente crudele, creepy e non manca di sangue, ma anche per stravolgere e ribaltarne cliché e alcuni meccanismi, aggiungendoci una buona dose di tonalità ironiche.
La storia racconta del giovane Lou alla ricerca della principessa Ronces, di cui si è innamorato dopo un incontro fortuito e un bacio nella foresta. Ma la principessa, su cui grava la terribile maledizione che il padre le ha gettato, pare scomparsa. Lou non si arrende e Margot, che si dichiara fata ma sembra una strega, sembra decisa ad aiutarlo. O forse invece ad intralciarlo.
Pelle di mille bestie è una fiaba, ispirata ad una vera fiaba dei Fratelli Grimm, Dognipelo, ma allo stesso tempo è un insieme di fiabe. Certo la storia principale è quella di Ronces e Lou. Ma ad esempio è anche quella del padre di Ronces, con cui ovviamente si intreccia: non mancano infatti momenti in cui la storia inanella un racconto dentro un racconto. Quello che l’autore mette in scena sopra ogni cosa però, è il ribaltamento, soprattutto quello degli stereotipi.
La principessa da salvare questa volta non è IN pericolo ma è IL pericolo: è lei stessa il mostro che divora i suoi pretendenti. E l’eroe della storia è un ragazzetto delicato e più propenso allo studio che allo scontro. Ma non è certo solo l’idea di chi possieda o meno la forza e lo spirito combattivo a mettere in crisi gli stereotipi.
Anche a livello grafico l’autore mette in scena qualcosa che va contro le nostre aspettative: Ronces è bella, ma le sue forme sono ben lontane dai vitini di vespa e dalla perfezione da modella a cui le principesse Disney ci hanno abituato. Sono soprattutto le sue gambe l’elemento più dirompente della sua estetica: sono gambe forti, grandi e che le conferiscono fianchi larghi, cosa che per altro ne fanno sempre una figura d’impatto quando è in scena. Lou invece è minuto, dai tratti androgini quasi femminei – soprattutto man mano che si lascerà crescere i capelli-. Il contrario del classico eroe virile.
Quello che fanno le fiabe vere, come quelle dei Grimm a cui la storia è ispirata, e che vengono anche citati nel racconto, è distante dall’idea che a cui ci ha abituati la moderna industria dell’entertainment. Non storie edificanti e rassicuranti, ma chirurgiche metafore. In questa storia, le metafore si affastellano, da quelle più evidenti (la donna “mangiatrice d’uomini”) a quelle meno esplicite (non una damigella da salvare, ma una donna che deve essere messa in condizione di fare le proprie scelte).
A metterle tutte in fila, le metafore raccontano ancora un’altra storia: quella del mondo femminile, fatto di aspettative sociali, scelte imposte, ferite e cicatrici che, come dichiara la stessa Ronces, sono “morsi che lasciano segni che i baci di un principe non possono cancellare”. Come quando si finisce per ritrovarsi oggetto di attenzioni malate, qui incarnate dallo stesso padre di Ronces che la vuole come unica possibile sostituta di sua madre. Che a sua volta era una Bella (nomen omen) il cui aspetto è stato spesso condanna. Ma la principessa protagonista è anche orchessa e capace di mostrare lati oscuri e crudeli. Non dimentichiamoci poi che lo stesso nome di Ronces significa “rovo” e che Lou è un esperto e amante della botanica, che ama e accetta la natura per quel che è, ovvero la somma delle sue caratteristiche.
E ancora, tramite la sua storia, Fert parla di rinunce, emancipazione e di consapevolezze come conquiste da raggiungere, in un concetto di lieto fine di rottura e molto poco accomodante.
Nel corso del racconto l’autore si diverte a inserire ancora qualche citazione, ma soprattutto trova lo spazio per parlare dell’idea stessa di “storie” e dell’atto del raccontare, per cui dimostra, e cerca di trasmettere, un grande amore.
La maggior parte delle tavole sono divise in numerose vignette che, gestite da un’ottima regia, restituiscono una scansione molto dinamica, anche nei numerosi passaggi di dialogo. Nel disegno i colori sono la componente più importante che Fert mette in campo per costruire il suo racconto, in pagine dove spesso i contorni definiti non sono banditi, ma hanno sicuramente un ruolo secondario, come dimostrato anche dalla forma delle vignette che viene definita e scolpita dal bianco. Sono per altro forme morbide e arrotondate, un’altra caratteristica che le accomuna allo stile con cui l’autore affronta personaggi e ambienti.
Uno stile ed un approccio che si declina più all’illustrazione che ai canoni del fumetto. Le tonalità fredde e cupe dominano e gli acquerelli digitali sono densi, corposi. Spesso, in molti passaggi di dialogo ad esempio, qualche impronta di colore diventa sufficiente a suggerire un ambiente, uno sfondo. C’è a tratti l’impressione di una certa urgenza nella stesura di Fert, che a volte sembra approfittare un po’ della sua capacità di riuscire ad evocare immagini, sensazioni e atmosfere estremamente efficaci anche con poco, a volte quasi più suggerendo che non disegnando.
Effetto che ben si sposa con il sapore onirico e magico di una fiaba ma che a volte può sembrare quasi un “tirato via”. Ci sono poi alcuni passaggi in cui la dominante del colore sul disegno si esaspera ancora di più, trasformandosi in particolarissime sequenze quasi astratte, come i due momenti in cui si consuma l’amore (con un bacio e nel sesso), o nelle violente trasformazioni di Ronces, di grande impatto.
Se abbiamo detto che nelle fiabe e in questa storia non mancano momenti estremamente cruenti, Fert decide a volte di non mostrarli completamente, riuscendo comunque ad esprimerli anche quando li lascia fuori dall’immagine, giocando tra scelte registiche e onomatopee.
Pelle di Mille Bestie è una graphic novel affascinante, sia per il piacere delle belle immagini che per la grande consapevolezza con cui l’autore riesce ad utilizzare stilemi e meccanismi della fiaba classica per costruire un racconto e soprattutto una serie di metafore molto moderne.
Abbiamo parlato di:
Pelle di mille bestie
Di Stéphane Fert
Traduzione di Stefano Andrea Cresti
120 pag, colori – 19,90 €
ISBN: 9788867903856