NeuroWorld è un volume di ottima fattura e dalla veste grafica curata pubblicato da Edizioni NPE, che raccoglie le storie Cyberfreak, Neurohabitat e Bug realizzate in anni diversi da Miguel Ángel Martín, autore spagnolo famoso per i suoi fumetti graficamente estremi e tematicamente densi. I tre fumetti possono essere considerati macrostorie caratterizzate da un’unica ambientazione e da personaggi ricorrenti ma divise in episodi brevi autoconclusivi.
Cyberfreak (1996) è l’unico fumetto dei tre qui raccolti che presenta una trama orizzontale, oltre a quelle verticali di ogni singolo racconto. Questa ruota attorno a Riki, un ragazzo che è stato privato delle gambe da un incidente automobilistico e che le ha sostituite con un dispositivo personalizzabile dotato di arti meccanici. In un’atmosfera fantascientifica decadente, ragazzi giovanissimi, che si muovono tra autostrade e rave party, hanno un unico obbiettivo: il sesso, meglio se condito con droghe allucinogene. Non a caso, la storia di Riki è un percorso al raggiungimento dell’agognato coito, prima chimerico per via della sua condizione di freak e poi divenuto possibile solo a causa di un incidente capitato alla ragazza che gli piace, sfregiata in volto e divenuta a sua volta freak.
Questa condizione di emarginazione sociale, che poi sarà alla base di Neurohabitat (2005), è una delle chiavi di lettura utili a scardinare l’opera: Riki vive ai margini della città (una città che tra le altre cose non è mai rappresentata, lontana e invisibile, forse un’altra metafora del coito o più banalmente dell’amore), in una specie di locanda dove lavora. Oltre a rapportarsi con il suo unico amico, uno spacciatore che ha in mente solo il piacere associato alla fellatio, il suo modo di reinserirsi nella società dopo l’incidente è innestare virus in automobili utilizzate in corse clandestine dai sostanziosi montepremi, nelle quali si verificano numerosi incidenti mortali; lui stesso ha perso la vita in uno di questi incidenti.
Sembra esserci una sorta di vendetta inconscia in questo processo in cui Riki distrugge le vite di chi partecipa a quelle stesse corse dove lui ha distrutto la propria; un meccanismo da cui sembra possibile uscire solo attraverso il sesso, mezzo che annulla, apparentemente, le maglie asfissianti del capitalismo sfrenato e della ricerca dei soldi.
Martin, poi, analizza al microscopio la deriva valoriale della nuova gioventù che si affaccia sul ventunesimo secolo, più in senso clinico che moralistico, anche perché il suo vero interesse non sta nel giudicare quanto nel mettere in scena nel modo più chiaro possibile l’essenza della natura umana, i suoi istinti più bassi. Anche in questo senso si può intendere il character design pulito, l’asetticità degli ambienti e la costruzione della tavola precisa e matematica. Il bianco estremo delle tavole, che emerge violento per le poche campiture di nero, è un modo da un lato per mettere a nudo visivamente i personaggi, che non interpretano un ruolo, non sono maschere, sono esattamente loro stessi nei contorni sottili del segno sinuoso dell’autore, impossibilitati a nascondersi; dall’altro, per delineare come non ci sia una netta divisione tra bene e male, tra “bianco” e “nero”, perché nel bianco il male prospera e impera, completamente alla luce del sole. Il morboso rapporto tra uomo e tecnologia (una tecnologia che, molto ironicamente, imita la natura) e i suoi esiti spaventosi sono un martello che batte un colpo ad ogni pagina, rafforzando costantemente l’atmosfera ballardiana dell’opera.
Neurohabitat è alienazione su carta, vero e proprio manifesto dell’emarginazione vissuta in modo venefico e asfissiante. Il protagonista è un ragazzo senza nome che vive chiuso in casa immerso in manie ossessivo-compulsive, ordinando cibo, prenotando appuntamenti con escort, allevando un serpente, giocando ai videogiochi. Se da una parte può essere letto alla luce della pandemia e della quarantena, rendendolo più attuale che mai, dall’altra assume un valore universale per come racconta la solitudine e la finzione della libertà.
Il protagonista non è sono solo alienato, ma è un vero e proprio alieno: il character design minimale e pulitissimo, fatto di volti anonimi privi di qualsiasi tratto caratteristico, è utilizzato in funzione di questo concetto. Le pagine, poi, composte da poche vignette molto ampie, che spesso ritraggono stanze vuote e fredde, catapultano il lettore all’interno della storia e allo stesso tempo gli fanno percepire l’isolamento vissuto dal protagonista. La rinuncia alla vita sociale non è in funzione spirituale né in qualche modo meditativa, anche perché Martin, nell’analisi clinico-patologica degli esseri umani che compie all’interno dei suoi fumetti, non offre nessuna redenzione: il protagonista si isola, ma non rinuncia ai comfort dati dal denaro. La sua è una rinuncia tesa solo all’abbandono dei rapporti con gli altri esseri umani, una spirale depressiva che non lo porta da nessuna parte, in senso metaforico e letterale, ma da cui non sembra esserci via d’uscita. Neurohabitat è forse la storia che più si può sentire a livello emotivo, in base alla propria sensibilità e alle proprie esperienze, per quanto sia forte il distacco dato dalla scrittura e dalla struttura regolare della tavola.
Certo, l’autore non manca mai di spezzare l’immedesimazione con l’ironia (la presenza o mancanza del naso, i film con protagonisti persone affette da autismo), anche per il meccanismo che mette in scena: un fumetto con pochissime parole ma con una quasi costante colonna sonora perennemente richiamata dalle onomatopee, ispirata a Maurizio Bianchi e ai Magma1.
Bug (1995-2003), che ha per protagonista un piccolo insetto famelico e aggressivo, è composto da storie brevissime quasi completamente mute, a tratti divertenti per le situazioni grottesche raccontate e a tratti spietatamente lucide per la critica sociale applicata.
Ancora una volta si notano poche vignette per pagina e spazi ampi e liberi da dettagli superflui, abbinati a un focus su Bug e sulla violenza efferata della sopravvivenza, in cui l’autore sembra divertirsi nel giocare con tempi e spazi stringati2.
Attraverso insetti e creature volutamente ripugnanti, ma che vivono dipinte da un segno pulitissimo, quello che emerge è un riflesso della società umana e dei suoi istinti più bassi: vige la regola del “cane mangia cane” e il più forte annienta il più debole senza alcuna remora o ripercussione morale. D’altronde è vero, si tratta di animali, ma è come se fossero esseri umani mascherati, e non è un caso che Martin scelga gli insetti per visualizzare la metafora. Inoltre, anche fare gruppo per non soccombere è visto secondo un’ottica negativa, mostrando che il gruppo è necessario soltanto quando da soli si è impossibilitati a farcela, per distruggere meglio l’avversario o per fallire insieme ai propri simili. La morte è dietro l’angolo, un’eventualità da mettere in conto, forse la fine di quella sofferenza che è la vita.
Non manca comunque, di nuovo, una certa ironia – d’altronde lasciare un sorriso amaro è da sempre una caratteristica di Martin3– che spezza il clima violento che regna in molti racconti brevi, dove Bug è sballottato in luoghi apparentemente ignoti per poi scoprire alla fine che si tratta di orifizi umani di diverso tipo, in una sorta di punchline comica strutturata solo grazie alla costruzione della tavola che mostra gli orifizi in questione non con un layout strutturato ma con una scelta delle inquadrature ricercata che guida l’occhio del lettore. Anche questa storia, così come Cyberfreak, fu proposta a Kōdansha e venne ugualmente rifiutata4.
Concludendo, si può dire che si tratta di un volume che raccoglie storie di grande valore, probabilmente non di primo piano, a livello di notorietà, nella produzione di Martin, ma che presentano molti degli stilemi grafici e tematici dell’autore e che condensano in pillole tutta la sua poetica.
Abbiamo parlato di:
NeuroWorld
Miguel Ángel Martín
Traduzione a cura della redazione NPE
Edizioni NPE, 2021
224 pagine, cartonato, bianco e nero – 19,90 €
ISBN: 9788836270262