Mi prenderai per matta. È solo che pensavo di sapere cosa provo per questo posto e invece adesso sono incasinatissima. Lo so che i palestinesi a volte sbagliano, ma… ho sempre pensato che Israele sbagliasse di più perché ha il potere. E ora tutti qui mi vengono a dire che questa è casa mia? Beh può anche darsi che io non la voglia! Sono venuta qui… credo, perché volevo avere la certezza che Israele fosse il cattivo. Volevo sapere che facevo bene a tenere questo posto fuori dalla mia vita. Ma adesso non so più. Non so più niente. Mi rendo conto del perché Israele abbia fatto certe cose. Voi siete gente per bene. Almeno, alcuni di voi. O forse mi hanno solo fatto il lavaggio del cervello, proprio come mi dicevano prima che partissi!
Nel 2007, la ventiseienne ebrea americana Sarah Glidden parte per un viaggio alla scoperta di Israele. Dopo varie resistenze ha deciso di mettere per la prima volta piede nella terra promessa dei suoi avi: si ritiene “di sinistra” e ha sempre parteggiato per il fronte arabo del conflitto israelo-palestinese, inoltre ha un fidanzato di origini pakistane e, da quando è piccola, ha sempre ritenuto che i viaggi Birthright (viaggi di gruppo alla scoperta del “paese di origine” offerti gratuitamente agli ebrei per “diritto di nascita”) fossero una forma di vera e propria propaganda dello stato israeliano.
Sarah parte insieme a una sua amica e fin dall’inizio si scontra con la rigida organizzazione del viaggio: all’aereoporto le viene fatto una specie di interrogatorio sulle sue origini ebraiche e, la sera, appena arrivata al kibbutz che li ospita, deve partecipare a una discussione sui motivi che hanno spinto i vari partecipanti a unirsi al viaggio.
Il tour tocca le Alture del Golan al confine con la Siria, uno dei primi kibbutz fondati a inizio Novecento dai coloni israeliani sul mare di Galilea, Tel Aviv, il deserto e Masada, e infine Gerusalemme; tutti luoghi importanti per la tradizione ebraica e per la storia dello stato israeliano.
A ogni tappa Sarah, che oltre a visitare i luoghi dialoga con gli israeliani, comincia a mettere in discussione le sue certezze granitiche, partendo non tanto dal punto di vista politico, cui era abituata, quanto da un punto di vista emotivo: come si vive a Gerusalemme con la continua paura di attacchi terroristici? Cosa vuol dire la leva obbligatoria per un ragazzo della sua età o poco meno? Cosa ha significato per gli ebrei fino al 1948 (anno della dichiarazione d’indipendenza di Israele) non avere uno stato in cui potersi riconoscere e d’altro canto cosa ha significato per i palestinesi vedersi sottratte le proprie terre con la forza?
Il lavoro della Glidden può essere considerato una mescolanza di reportage e memoir a fumetti: del reportage ha l’andamento cronachistico, che ripercorre tappa per tappa il viaggio nello stato israeliano; ma questo viaggio non è visto in modo oggettivo, anzi è la documentazione dell’impatto che questa esplorazione ha su Sarah a diventare il vero fulcro della narrazione.
Capire Israele non può essere quindi tanto un modo per un lettore esterno di capire obiettivamente quelle che sono le caratteristiche di questa nazione così al centro delle dinamiche geopolitiche contemporanee, quanto il racconto del tentativo dell’individuo-Sarah di capire quello che Israele provoca in lei; è quindi la narrazione di un percorso di comprensione e della formulazione di un’identità personale: dall’instillazione del dubbio, al crollo delle sicurezze dogmatiche e alla permanenza in questo stato d’apertura a spinte contrapposte e alla complessità della storia.
Purtroppo, per quanto si possa tentare di essere empatici con la crisi esistenziale che questo viaggio ha provocato in Sarah, il suo essere così fortemente coinvolta rende meno interessante il fumetto per un lettore “neutrale”, che viene continuamente sballottato tra una descrizione che tenta l’obiettività nella narrazione dei fatti, cercando di presentare punti di vista contrastanti (ma in realtà il punto di vista palestinese è individuato solo nella coscienza politica di Sarah, che andando in frantumi molto presto offre un contradditorio molto debole alla propaganda israeliana), e l’immersione nel flusso di pensieri profondamente emotivo di una ragazza in crisi identitaria.
Tra l’altro il fatto che l’identità ebraica di Sarah, con il bagaglio di conoscenze di una vita sull’argomento, sia così fortemente implicata nel viaggio offre un livello di presentazione dei dati storico-politici che non è adatto né per chi conosce poco della storia del conflitto israelo-palestinese (molte cose vengono date per scontate, c’è soltanto una cronologia finale che ripercorre i fatti salienti in poche righe), né per chi sia molto informato sui fatti (per cui il libro rischia di diventare una noiosa riproposta di cose già note).
Da un punto di vista politico, che mi pare non sia trascurabile vista l’esplosività della materia trattata, il fumetto appare poi molto ingenuo: di certo non ci si può accontentare delle risposte che l’autrice dà ai suoi dubbi, che, impastate di emozione, rischiano di risultare superficiali; se di base può essere vero (e tanto banale da risultare una riflessione praticamente ininfluente) che il conflitto israelo-palestinese è un problema complesso e ormai così storicamente stratificato da rendere difficile la suddivisione delle colpe e delle responsabilità, certo è che limitarsi ad affermare, come sembra alla fine del fumetto, che sia gli israeliani sia i palestinesi vivono una vita difficile è come minimo limitativo e sostanzialmente tanto populista da risultare fastidioso.
In tutto ciò va anche segnalata la piattezza del disegno, che fa da corollario a un testo ingombrante. Trattandosi di un viaggio alla scoperta di luoghi “esotici” ci sono per altro pochissime aperture al campo lungo. Le tavole sono quasi sempre risolte in una gabbia molto rigida e stretta, che facilita lo scambio dialogico in controcampo continuo tra Sarah e i suoi interlocutori, ma finisce per diventare claustrofobica e francamente monotona. Ogni vignetta è un commento alla narrazione, che potrebbe proseguire agevolmente senza essere illustrata; i personaggi finiscono per diventare praticamente indistinguibili l’uno dall’altro e la colorazione ad acquarello è a tratti sciatta.
Insomma, Capire Israele appare un fumetto poco compiuto, a maggior ragione se lo si confronta con opere che vanno a situarsi su un piano analogo di narrazione della realtà (con una forte componente politica al proprio interno) come Persepolis di Marjane Satrapi, Pyongyang di Guy Delisle o Gaza di Joe Sacco. Tutti esempi in cui vengono fatte scelte di campo molto precise tra reportage e autobiografia, obiettività e intepretazione.
Capire Israele, invece, è un melange poco riuscito tra un reportage giornalistico obiettivo e la simbolizzazione di un dissidio esistenziale, e questo perché forse le due strade sono in partenza divergenti; e il lettore rimane sostanzialmente insoddisfatto.
Abbiamo parlato di:
Capire Israele in 60 giorni (e anche meno)
Sarah Glidden
Traduzione di Elena Loewenthal
Rizzoli Lizard, 2011
208 pagine, brossura con alette, colori – 17,50 €
ISBN: 9788817049573