L’uomo alla finestra, esperimento poetico per un Mattotti etereo

L’uomo alla finestra, esperimento poetico per un Mattotti etereo

Logos ripropone in una nuova edizione il volume realizzato da Lilia Ambrosi e Lorenzo Mattotti dove immagini e parole corrono parallele invece di fondersi, in una versione alternativa del concetto di “romanzo grafico”.

Leggere il nome di Lorenzo Mattotti fa pensare immediatamente a illustrazioni e tavole con un approccio al colore piuttosto iconico, carico, saturo e molto materico, un approccio con cui è diventato famoso anche al di fuori del mondo del fumetto attraverso cover, manifesti e illustrazioni. Quando l’autore ha deciso di realizzare incursioni nel bianco e nero, nella maggior parte dei casi ci ha regalato un immaginario sporco, ancora una volta carico di segni, sfumature e gradazioni.

Quello che vediamo invece sfogliando questo lavoro datato 1992 e appena riproposto in una prestigiosa nuova edizione da parte di Logos, è in un primo momento spiazzante, una collezione di tavole che appare quasi all’antitesi rispetto a quanto siamo abituati da parte dell’autore. Ne L’uomo alla finestra infatti ci troviamo davanti ad un’enorme quantità di bianco. Poche sfumature, pochi tratteggi e in generale pochi segni, un approccio esplorato dall’autore in una altro volume particolare come Linea Fragile

Lo stile scelto non è però l’unica anomalia di un corposo volume il cui sapore generale è quello dell’esperimento, quasi più letterario che fumettistico.

Ne L’uomo alla finestra infatti, parole e immagini non cercano una fusione o una forma di collaborazione tra loro nel costruire la narrazione o nel realizzare una costruzione di senso, come normalmente accade nel fumetto, ma sembrano viaggiare parallele, come se in qualche modo si rincorressero quasi senza toccarsi. Questo non significa che i testi lirici e poetici di Lilia Ambrosi raccontino una storia diversa da quella raccontata dai disegni di Mattotti. Le due cose si intersecano sulle stesse intimissime vicende, solo affrontandole da differenti prospettive.

Protagonisti del libro sono uno scultore e gli incontri con stravaganti personaggi che gli capitano in un breve lasso di tempo. Non c’è una vera e propria trama nella vicenda, quanto piuttosto una collezione di riflessioni sull’arte, sulla vita, sull’amore e sui rapporti umani in generale, messi in scena attraverso le microstorie che questi strani incroci generano.

In alcuni passaggi è come se ci trovassimo ad assistere alla stessa situazione attraverso due differenti punti di vista, quello evocato dal testo e quello evocato dal disegno che, pur raccontando la stessa vicenda, ci dicono cose differenti.

Ci sono diversi passaggi in cui lo spazio è lasciato ai soli disegni, ma normalmente il testo è una grande presenza, con una vera e propria voce fuoricampo evocata dalle numerose didascalie e con un’abbondanza di bei dialoghi, che non lesinano anche loro qualche forma di sperimentazione. Ciò accade, ad esempio, quando il protagonista si ferma a parlare con lo “Squarciatore”, un uomo che ha iniziato a squarciare schermi cinematografici perché troppo sopraffatto dalla bellezza dell’immagine cinematografica.
In questa sequenza il dialogo ci mostra soltanto le parole dello Squarciatore, solo i suoi balloon, come si trattasse di un unico lungo monologo, anche se palesemente l’uomo parla, risponde e fa domande al suo interlocutore, il protagonista, di cui non “sentiamo” la voce.

Il cinema è un elemento importante, non soltanto come una delle forme d’arte indagata nelle riflessioni dei personaggi, ma anche per l’influenza che ha sull’opera, che in diversi momenti cerca di offrirne una sorta di riflesso cartaceo, sia nella certa ricerca visiva di certi passaggi, sia nell’uso di elementi che richiamano meccanismi tipici di quel linguaggio, come ad esempio vere e proprie forme di dissolvenza.

In questo viaggio intimista gli esseri umani e la loro emotività, espressa o nascosta, sono il fulcro centrale, e difatti soverchiano ogni cosa, compreso il disegno, lasciando poco spazio, il minimo o lo strettamente necessario, agli ambienti. Le stesse figure sono tracciate con pochissimi segni, un accenno di contorno e pochi fondamentali elementi, facendone esseri quasi eterei, quasi degli spettri. Gli esseri umani rappresentati ne L’uomo alla finestra hanno in sé una sorta di caratteristica liquida, una qualità che si manifesta soprattutto negli incontri fisici, specialmente quelli amorosi, dove il segno si trasforma alla ricerca di un livello onirico e un richiamo espressionista.
L’unico elemento che si carica di un maggior numero di segni è il tempo atmosferico, vera e propria metafora delle tempeste emotive del protagonista. Quando infatti il caos interiore del personaggio principale aumenta, ci troviamo davanti e vere e proprie bufere fatte di segni, tratteggi e ghirigori che vanno a sovraccaricarsi, solidificando una vera e propria manifestazione fisica di quegli sconvolgimenti interni.

Contemplativo, riflessivo, metaforico. Il lavoro proposto in questo volume ha un ritmo simile alle sue figure, incorporeo. Il suo approccio “sperimentale” è allo stesso tempo la sua maggiore fascinazione e anche il suo limite. Se è intrigante e piuttosto equilibrato questo approccio parallelo tra testo e disegni, lo è meno per quanto riguarda la relazione tra dimensione intellettiva e quella sentimentale. Il volume, pur collezionando una serie di momenti e passaggi estremamente riusciti, e più viscerali ed emotivi, a tratti scivola in una meccanica ed un rigore fin troppo artificiosi con una sensazione finale di non pienamente compiuto.

Abbiamo parlato di:
L’uomo alla finestra
Lilia Ambrosi, Lorenzo Mattotti
Logos Edizioni, 2018
176 pagine, brossurato, bianco e nero – 20,00€
ISBN: 9788857609096

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