La rivista on line Golem L’Indispensabile nacque nel 1996 su iniziativa di Umberto Eco, Gianni Riotta e Danco Singer e fu il primo esempio di rivista culturale italiana pensata specificatamente per il web.
Fino alla sua chiusura definitiva, avvenuta nel 2011, la rivista ebbe varie incarnazioni e poté contare su firme e collaborazioni prestigiose, tra le quali quella di Daniele Barbieri (www.guardareleggere.net) che a partire dal 2001 sulle pagine della seconda serie della rivista pubblicò una serie di saggi e articoli sul fumetto e il suo linguaggio.
Purtroppo oggi la pagina web e l’archivio on line di Golem l’Indispensabile non sono più raggiungibili, ma quelle pagine scritte da Barbieri restano ancora oggi attuali nei contenuti e nel valore dell’analisi e dell’approfondimento sul linguaggio dell’arte sequenziale. È dunque un peccato che gli appassionati del mondo del fumetto di età più giovane o coloro i quali al tempo non avevano conosciuto quella rivista si siano persi tali interventi.
Per tale motivo abbiamo chiesto a Daniele Barbieri, amico de Lo Spazio Bianco, la possibilità di ripubblicare sul nostro sito quella sua produzione e l’autore molto gentilmente ci ha concesso il permesso.
Stavolta presentiamo un articolo su uno dei capisaldi del fumetto giapponese: Lone Wolf and Cub di Kazuo Koike e Goseki Kojima.
Se deve esistere un’occasione particolare per parlare di un oggetto specifico su questa rivista, questo mese la mia occasione potrà apparire un po’ forzata. Si limita infatti a un semplice e specifico evento; cioè che il mio fornitore è riuscito finalmente a farmi avere tutti i volumi arretrati di Lone Wolf and Cub, edizione americana.
Naturalmente, per far passare questo evento personale come una cosa di interesse pubblico devo avere le mie ragioni – e le ho, perché rischierei altrimenti di far passare sotto silenzio la pubblicazione in Occidente, tuttora in corso, del fumetto più appassionante che mai sia stato prodotto in Giappone, e di uno dei più belli che siano stati prodotti nel mondo.
Kozure Okami, per chiamarlo con il suo nome originale, o Lone Wolf and Cub – che ne è il titolo americano – è un fumetto di samurai, pubblicato in serie tra il 1970 e il 1976 da Kazuo Koike (sceneggiatore) e Goseki Kojima (disegnatore). È stato pubblicato parzialmente negli Stati Uniti a partire dal 1987 sino al 1991, dopo che il più famoso disegnatore americano del momento, Frank Miller, aveva dichiarato di essergli profondamente debitore. Ed è in corso di ripubblicazione (completa, stavolta) ora, a partire dal 2000. In Italia non è mai stato pubblicato, ed è noto solo agli addetti ai lavori.1
Kozure Okami, ambientato nel diciassettesimo secolo, racconta le vicende di Ogami Itto e di suo figlio Daigoro, di tre anni. Ogami è un ronin, cioè un samurai vagabondo, senza padrone. È stato il koji kaishakunin, ovvero il giustiziere dell’imperatore, colui che dà il colpo di grazia ai nobili condannati cui viene concesso il seppuku, cioè l’onore del suicidio rituale. Ogami è stato dunque titolare di una delle cariche più alte e rispettate del Giappone, sinché una famiglia rivale non ha ordito un complotto per gettare discredito e disonore sulla sua famiglia e su di lui. Condannato, pur ingiustamente, Ogami ha scelto di non approfittare dell’onore del seppuku – e deciso di votare la propria vita all’inferno e alla vendetta. È diventato dunque un assassino, vagando insieme con il figlioletto alla ricerca di commesse che non si fanno mancare. La sua capacità di combattimento ha qualcosa di sovrumano, non solo per la sua specifica abilità con le armi, ma anche perché Ogami capisce e prevede le situazioni con incredibile lucidità.
Questo soggetto trucido e vagamente superomistico, che di per sé non costituisce nemmeno una promessa di godimento letterario, diventa nelle mani di Kazuo Koike l’occasione per una quantità di invenzioni narrative che non hanno paragone nella storia della letteratura seriale. È difficile in queste poche righe dare un’idea delle innumerevoli ragioni che rendono appassionante la lettura di Lone Wolf and Cub. Ma qualcosa si può comunque dire.
In primo luogo c’è il bushido, ovvero il codice d’onore del samurai. Ovvero c’è il fatto che queste vicende avvengono in un contesto che dal punto di vista etico è profondamente diverso da tutto ciò a cui siamo abituati – in cui la vita, compresa la propria, conta enormemente meno dell’onore, e l’onore dipende prima di tutto dalla capacità di portare a termine i compiti assegnati, e dunque di obbedire al proprio superiore. Chi ha visto al cinema Ghost Dog di Jim Jarmush forse se ne sarà fatto un’idea – e si sarà fatto un’idea anche di che cosa possa essere questo fumetto, nei cui confronti il film di Jarmush è abbondantemente e palesemente debitore.
Il bushido non è un condimento nelle storie di Lone Wolf. È quasi sempre, invece, il sistema di legami che scatena o sviluppa l’azione – perché pur avendo dei doveri, gli uomini hanno anche ambizioni e sentimenti, e le contraddizioni non tardano a manifestarsi.
È proprio la presenza di questo codice d’onore, per esempio, ciò che permette (proprio come nel film di Jarmush) a un personaggio che di mestiere uccide per denaro di essere il portatore di un senso morale altissimo – che non viene mai meno. Una contraddizione che è al centro dell’opera, e che ne costituisce uno dei motori più frequenti.
In molte storie Ogami si trova di fronte a situazioni che, pur essendo relativamente facili a risolversi da un punto di vista “tecnico”, sembrano condurlo inevitabilmente a macchiare la propria dignità.
Non è facile, per un narratore, mantenere alta la dignità di un personaggio, quando gli si devono far uccidere persone innocenti. Spesso la tensione della storia non è basata sul se, o sul come Ogami riuscirà a portare a termine il suo compito – visto che l’eroe non fallisce mai – ma su come potrà riuscire a farlo senza perdere la faccia nei confronti del codice d’onore.
C’è un episodio in cui il nostro assassino deve uccidere un religioso, un sant’uomo amato e rispettato da tutti per la sua saggezza, il cui carisma è l’unica cosa che riesce a mantenere in pace una regione portata allo stremo dalla fame e dallo sfruttamento dei nobili locali. È evidente, anche da come ci viene raccontata la cosa, che Ogami deve macchiarsi di una colpa ignobile, non giustificabile agli occhi di nessun codice d’onore. Eppure Kazuo Koike riesce a costruire una situazione narrativa da cui egli esce immacolato, anzi più etico e dignitoso che mai, mentre a fare la figura meschina restano solo i suoi committenti.
In altri episodi, narrativamente più semplici, ma spesso non meno intriganti, è semplicemente il modo in cui Ogami sarà in grado di sbrogliare una situazione difficile, di salvarsi la vita senza perdere la faccia, a costituire il motore. E altre volte ancora sono le situazioni paradossali che il codice del bushido produce, ad essere l’unico argomento – come nella storia dove un gruppo di ninja mandati ad uccidere Ogami, fingendosi suoi committenti, palesano la propria identità tramite indizi percepibili solo da lui.
In questo modo sanno che saranno certamente uccisi, ma così facendo non hanno violato gli ordini ricevuti da un superiore che essi sospettano tramare addirittura contro l’imperatore – permettendo di conseguenza a Ogami di proseguire la propria lotta contro questo stesso loro superiore. Inganni dentro gli inganni, lealtà nascoste dentro lealtà manifeste.
La cosa davvero stupefacente di questa serie è che non una volta nei 102 episodi che ho avuto la fortuna di leggere la mia capacità previsionale è riuscita ad azzeccare la soluzione. Non una volta cioè sono riuscito a capire in anticipo come sarebbe andata a finire, dove, cioè, il racconto sarebbe andato a parare. Ogni volta lo sviluppo narrativo è riuscito a suscitare in me la meraviglia e l’interesse – e sempre, dunque, con invenzioni diverse.
Mi restano, credo, ancora una trentina di episodi per provarci. Kozure Okami si sviluppa per circa 8400 pagine – un’epopea. Ma sono pagine di fumetto giapponese, in cui spesso, con tecnica cinematografica, lunghe sequenze di vignette vengono spese per mostrarci Ogami che spinge la carrozzella con il figlio attraverso campi e boschi. Un altro capitolo dovrebbe essere aperto qui per parlare della tecnica narrativa, del piacere della lettura dato dall’alternanza dei lunghi momenti contemplativi e delle rapidissime scene di combattimento…
Lone Wolf and Cub è pubblicato dalla Dark Horse, la più importante delle case editrici di fumetti americane tra le cosiddette “indipendenti”. Si può acquistare tramite Internet, oppure in alcuni negozi specializzati presenti in varie città italiane. Ogni volumetto contiene circa 300 pagine e costa intorno ai 10 dollari.
Sarò forse travolto dall’entusiasmo di una lettura recente (avevo però già dei precedenti alla fine degli anni Ottanta), ma trovo che questa serie abbia tutte le carte in regola per entrare in quel Pantheon della narratività in cui i migliori prodotti del cinema entrano ormai di diritto, mentre quelli del fumetto si scontrano ancora con diffidenze e poco giustificate opposizioni.
Questo articolo è apparso in origine sul Golem l’Indispensabile #7 del luglio 2002.
Ovviamente il riferimento riguarda l’uscita originale dell’articolo. Lone Wolf and Cub nel frattempo è stato pubblicato da Panini Comics. ↩