La rivista on line Golem L’Indispensabile nacque nel 1996 su iniziativa di Umberto Eco, Gianni Riotta e Danco Singer e fu il primo esempio di rivista culturale italiana pensata specificatamente per il web.
Fino alla sua chiusura definitiva, avvenuta nel 2011, la rivista ebbe varie incarnazioni e poté contare su firme e collaborazioni prestigiose, tra le quali quella di Daniele Barbieri (www.guardareleggere.net) che a partire dal 2001 sulle pagine della seconda serie della rivista pubblicò una serie di saggi e articoli sul fumetto e il suo linguaggio.
Purtroppo oggi la pagina web e l’archivio on line di Golem l’Indispensabile non sono più raggiungibili, ma quelle pagine scritte da Barbieri restano ancora oggi attuali nei contenuti e nel valore dell’analisi e dell’approfondimento sul linguaggio dell’arte sequenziale. È dunque un peccato che gli appassionati del mondo del fumetto di età più giovane o coloro i quali al tempo non avevano conosciuto quella rivista si siano persi tali interventi.
Per tale motivo abbiamo chiesto a Barbieri, amico de Lo Spazio Bianco, la possibilità di ripubblicare sul nostro sito quella sua produzione e l’autore molto gentilmente ci ha concesso il permesso.
Stavolta presentiamo un’analisi su Dino Buzzati e il suo Racconto a fumetti, ristampato nel 2017 da Mondadori Ink.
Nel gennaio del 1972 moriva Dino Buzzati. Tutti sanno che Buzzati è stato, in Italia, tra gli scrittori più capaci del secolo; molti ricordano la sua attività di giornalista; molti conoscono alcuni suoi dipinti, di solito più perché i suoi dipinti hanno illustrato i suoi libri che non perché il mondo dell’arte visiva se ne sia particolarmente occupato. Fu infatti controcorrente come pittore così come narratore; e fu controcorrente anche in altro.
Pochi sanno che Buzzati era un appassionato lettore di fumetti. La locandina di Diabolik non campeggia per caso alle sue spalle appesa alla libreria, in una delle foto che lo ritraggono al tavolo del suo studio. Negli anni Sessanta in Italia essere un lettore di fumetti, in particolare per un intellettuale sessantenne, non era esattamente un titolo di merito. Non erano ancora molti quelli che accettavano di considerare le potenzialità di questo linguaggio, e si rendevano conto che non si rivolgeva solo a bambini o ad adulti subnormali. Era anche il periodo in cui Umberto Eco pubblicava Apocalittici e integrati e in cui usciva Linus. Ma gli intellettuali estimatori di fumetti venivano guardati come i nichilisti in Russia alla fine dell’Ottocento.
Buzzati non si limitò a essere lettore, e dal 1966 incominciò a lavorare a un progetto che lo impegnò per due anni. Lo regalò alla moglie Almerina nel novembre del 1968, con le parole “Questo libro lo pubblicherai tra vent’anni, quando non ci sarò più… Non è adatto a questi giorni!”. Fu lei, così, a proporlo a Mondadori, qualche mese dopo, e a insistere abbastanza perché venisse poi pubblicato – e con subitaneo e insperato successo!
Si trattava, ovviamente, di Poema a fumetti. Un’opera strana, nei contenuti come nel linguaggio. Una summa, per certi versi, di tutte le ossessioni di Buzzati – e, finalmente, l’occasione di mettere insieme il racconto e l’immagine.
Poiché narratore per immagini, in senso più o meno lato, Buzzati lo era sempre stato – da una parte con la precisione dei dettagli visivi dei suoi racconti in prosa, dall’altra dipingendo sempre, nei suoi quadri e disegni, momenti di storie, o racconti congelati nell’attimo di una sola immagine.
E così, finalmente, la vocazione narrativa e quella all’immagine erano riuscite a fondersi in un’opera di lunga portata: un racconto lungo per immagini, cioè un racconto a fumetti. Eppure, nonostante le sue letture, Buzzati era ben lontano dall’essere un fumettaro: benché straordinario narratore verbale e buon disegnatore, gli mancava quel genere di competenza che proviene dalla pratica, dal mestiere. Forse anche per questo gli furono necessari due anni, e uno sforzo costruttivo molto grande, per ottenere qualcosa che pur essendo indubbiamente un racconto per immagini, cioè una storia a fumetti, non è proprio a tutti gli effetti una storia a fumetti.
Il lettore medio di fumetti rimane di solito molto perplesso durante la prima lettura di Poema a fumetti, ma c’è qualcosa nel testo che lo spinge a rileggerlo. E quando si fa un po’ meno incalzante nella coscienza del lettore la differenza con quello che ci aspettiamo debba essere una storia a fumetti, allora lentamente il testo di Buzzati incomincia a liberare il proprio fascino. E se ne resta presi come dai suoi racconti.
Come fumettista Buzzati era certamente un dilettante; ma, da dilettante di genio qual era, è stato in grado di costruire una variante personale del linguaggio del fumetto, una variante che richiede sì al lettore un certo tempo di avvicinamento, perché non rispetta una serie di consuetudini e convenzioni fumettistiche (di solito non dette, ma nondimeno attese dal lettore), ma che pure funziona. E quando incomincia a funzionare, la qualità narrativa di Buzzati inizia anch’essa ad arrivare al lettore.
E così, Poema a fumetti ci racconta la storia di un giovane cantautore che scende all’Inferno per ritrovare la propria amata. L’Inferno non è un luogo tremendo, ma un posto che assomiglia a quello in cui viviamo da vivi; con una sola, cruciale, differenza: i morti non hanno passioni. O meglio, hanno un’unica passione: il rimpianto-desiderio per le passioni che provavano da vivi. Per questo la capacità di raccontare in musica diventa la chiave per aprire tutte le porte dell’aldilà; perché attraverso il racconto in musica i morti riescono, almeno sinché dura, ad appassionarsi di nuovo.
È una grande metafora del potere del racconto e della sua espressione poetico-musicale, espressa attraverso un’altra intrigante metafora, visto che l’immagine è in queste pagine il corrispondente testuale della musica, e accompagna e fornisce definizione alle parole del racconto di Buzzati come la musica fa con le parole del suo personaggio.
Nella bella mostra allestita nel 2002 presso il Palazzo Crepadona di Belluno (“Buzzati 1969: il laboratorio di Poema a fumetti”) fu possibile scoprire le innumerevoli fonti che hanno ispirato le immagini di Buzzati. Fonti “alte” come Friedrich o Dalì o Munch o De Chirico, e fonti “basse” come Kriminal, Batman, o come le riviste erotiche popolari o come le foto di Irwing Klaw; ma anche fonti “personali”, come le proprie stesse ossessioni pittoriche, già più di una volta – pur sul limitato spazio della tela – organizzate per vignette.
Chi scrive, poi, ha avuto la fortuna di partecipare anche al convegno (“Poema a fumetti di Dino Buzzati nella cultura degli anni ’60 tra fumetto, fotografia e arti visive”) che si tenne tra Belluno e Feltre dal 12 al 14 settembre 2002, organizzato, come la mostra, dall’Associazione Internazionale Dino Buzzati. Tre giorni di dibattiti sulle fonti, i riferimenti e la struttura di un testo narrativo assolutamente unico nella storia della cultura italiana, in cui hanno discusso studiosi di letteratura, di fumetto e di arti visive, con una combinazione di campi di interesse non meno rara.
Tra le tante cose stimolanti che furono dette, io rimasi colpito da una considerazione che forse nessuno espresse davvero, ma che aleggiava un po’ nei discorsi di tutti. L’incontro tra Buzzati e il fumetto, cioè, non è stato casuale: la sua vocazione al fantastico è del tutto simile alla vocazione al fantastico che attraversa le storie a fumetti – tutte, anche quelle dall’apparenza più realistica.
Il mondo allucinato e felicemente moraleggiante dei racconti di Buzzati ha riscontro in misura diversa un po’ in tutte le grandi serie, da Yellow Kid a Little Nemo a Krazy Kat, sino a Tex, al moralismo rovesciato di Diabolik, a Barbarella, e poi ancora, dopo di lui, al fumetto francese e italiano degli anni Settanta e Ottanta (che ha pure, nei suoi confronti, qualche debito non irrilevante).
Questa comune ispirazione sembra quindi proprio destinata ad attrarre un autore che, talvolta, si piccava di essere un pittore prestato alla letteratura.
Abbiamo parlato di:
Poema a fumetti
Dino Buzzati
Mondadori Ink, 2017
250 pagine, cartonato, a colori – 20,00 €
ISBN: 9788804679226
La versione originale di questo articolo è apparsa su Golem l’Indispensabile #10 dell’ottobre 2002.