Davide Barzi, milanese classe 1972, è scrittore e sceneggiatore di fumetti ma anche saggista. Tra i suoi libri spicca Le Regine del Terrore, biografia delle sorelle Giussani creatrici di Diaboli – che viene oggi riproposto da Cosmo/Nona Arte in una nuova versione riveduta e ampliata -, Carta Canta – I fumetti nella musica, la musica nel fumetto (Ed. Cartoon Club), realizzato con Stefano Gorla e Paolo Guiducci, che nel 2003 ha vinto il premio Franco Fossati come miglior saggio italiano sul fumetto.
In campo fumettistico, con il disegnatore Oskar ha ideato il parodistico No Name (premio Pierlambicchi e speciale riconoscimento per la migliore storia umoristica), Ernesto, protagonista di una striscia pubblicata a lungo sulla rivista Focus Giochi, e tavole umoristiche autoconclusive per la casa editrice belga Joker Editions. Sempre per quest’ultima e sempre in coppia con Oskar, realizza la serie comica Les Sixties.
Tra il 2007 e il 2008 scrive anche molte storie dei personaggi Warner Bros per la testata G Baby e, nel 2009, è curatore della prima esposizione, dopo quasi cinquant’anni, delle primissime tavole di Diabolik (Gino Marchesi – L’uomo che diede un volto a Eva Kant). È stato il curatore della testata dedicata a Garfield delle edizioni if.
È autore di G&G, romanzo a fumetti dedicato a Giorgio Gaber, disegnato da Sergio Gerasi, che ha generato uno spettacolo sinora rappresentato in oltre venti date in Italia e all’estero. Per ReNoir Comics, dal 2011 cura la serie a fumetti dedicata a Don Camillo, dal 2012 pubblicato anche come collaterale del quotidiano La Gazzetta di Parma e dal 2013 tradotta anche in Germania.
Nel 2013 esordisce in Sergio Bonelli Editore su Nathan Never con la storia Ali d’acciaio, pubblicata sul numero 265 della serie mensile dell’Agente Alfa.
In occasione dell’uscita della nuova edizione del saggio Le Regine del Terrore, abbiamo raggiunto Davide Barzi per intervistarlo su questa sua opera di saggistica, che porta avanti da oltre dieci anni.
Ciao Davide e bentornato su Lo Spazio Bianco.
Le Regine del terrore pare essere un’opera in fieri, sulla quale ami tornare con costanza nel tempo. Contando quella digitale, siamo oggi alla quinta edizione: ti accorgi sempre di avere qualcosa in più da raccontare, scopri nuovi materiali inediti?Intanto ringrazio della delicatezza con cui si è evitato di utilizzare la parola “ossessione”. Sì, in effetti le cinque edizioni sono cinque libri diversi. Quella del 2007, rivista oggi, appare davvero come una “versione beta” che già due anni dopo non poteva che impallidire di fronte alla “sorella maggiore”. Oltre al lavoro degli “utenti che portarono alla luce nuovi bug o incompatibilità”, per rimanere nella metafora informatica, a far “esplodere” l’edizione del 2009 (da 224 pagine a 304) fu il lavoro di approfondimento fatto su Gino Marchesi (“l’uomo che diede un volto a Eva Kant”, per citare la mostra e il catalogo che mi permisero quella riscoperta) e di conseguenza sul procuratore di Lodi e i suoi mirabolanti per quanto vani tentativi di “far fuori” i fumetti pocket.
L’edizione digitale in realtà aveva lo stesso testo di quella del 2009 ma senza le immagini. Rielaborazione singolare e unica quella per la collana da edicola Panorama-Mondadori Diabolik – Gli anni della gloria (2012): 50 capitoli in ordine cronologica, quindi venendo meno alla struttura originale fatta di analessi e prolessi.
E veniamo alla nuova edizione realizzata da Cosmo/Nona Arte: è quella che ha alle spalle il lasso di tempo maggiore dalla versione precedente. Nel frattempo non ho mai smesso non solo di raccogliere dati e documenti ma anche di correggere, perché altri studi hanno messo in discussione alcuni punti, quindi diverse informazioni sono state rimodulate, a volte corrette, alla luce del lavoro fatto da amici e colleghi. E anche l’apparato iconografico nella versione attuale è ulteriormente ampliato e soprattutto, può sembrare una piccola cosa ma per me è importante in termini di fluidità di lettura, le immagini a colori non sono più in una sezione a parte ma ognuna nel capitolo di competenza. Quando leggo dei saggi storici mi dà sempre un po’ fastidio spezzettare la lettura per cercarmi note e/o immagini da tutt’altra parte del volume, stavolta tutto avviene di fila in maniera naturale. E poi quel pozzo di informazioni che risponde al nome di Alfredo Castelli, che già era il “responsabile” di tanta aneddotica su Gino Sansoni, il marito di Angela, che era stata in precedenza parzialmente contenuta per non sbilanciare su di lui il flusso delle informazioni, stavolta è stato “lasciato libero”, in un contenuto extra che si aggiunge ai due capitoli scritti da Tito Faraci, di raccontarci “il Dottore” con dovizia di particolari e oltre cento immagini inedite. Totale: 400 pagine di libro. Almeno per questa edizione.
La storia delle sorelle Giussani e di Diabolik è una storia milanese e, a te, le storie milanesi piacciono, se penso per esempio a Unico indizio le scarpe da tennis. Ti piace anche raccontare un’Italia che non c’è più, quella dal dopoguerra agli anni ’60, come fai nei volumi su Don Camillo e in questo saggio. Hai anche un debole per i Sixities se penso a Sessantotto e dintorni. Tornando al nostro Paese, ti affascina raccontare un’Italia che forse in molti oggi hanno dimenticato?
Qualche tempo fa, mentre tenevo una lezione di sceneggiatura, ho avuto un’illuminazione, mi è apparsa chiara una cosa che non avevo mai focalizzato: più del 90% delle storie che ho scritto si svolgono tra il 1890 e il 1972, anno in cui sono nato. È come se trovassi meno interessanti (da raccontare, intendo) gli anni che ho vissuto e in cui sto vivendo e, come amo visitare luoghi mai visti, mi diverto molto a viaggiare verso altri tempi. Non che non mi interessi il contemporaneo, leggo i quotidiani e mi ritengo piuttosto informato sull’oggi, ma mi piace raccontarlo nella misura in cui alcune dinamiche contemporanee si possono ritrovare, o trovare in nuce, in quel che siamo stati.
Quanto a Milano, chissà, sarà perchè da provinciale per me è sempre stata LA città: oltre a Unico indizio le scarpe da tennis si svolgono lì anche Giacinto Facchetti – Il rumore non fa gol, Giorgio Strehler – Un fumetto da tre soldi e, anche se in maniera non dichiarata, pure G&G. Non potendo viaggiare fisicamente nel tempo, compenso immergendomi nello spazio che racconto, o nella parte rimasta il più possibile simile all’epoca che scelgo di narrare.
Nell’introduzione alla prima edizione affermi che questo “non è un libro su Diabolik. O meglio, è anche un libro su Diabolik”. In effetti Diabolik, icona del fumetto italiano insieme a Tex e ad Alan Ford, è forse il personaggio di cui si conosce meno la storia dietro la sua creazione e la storia delle sue creatrici. Scrivendo questo saggio, hai trovato un perché a questa sua particolarità?
Esiste un’ampia bibliografia sulla storia del fumetto, da ragazzo ne ho divorata ai limiti della bulimia. E io stesso ho scritto molto sul tema prima di realizzare Le Regine del Terrore. Due elementi emergevano, e in parte emergono tuttora: fuori dalla nostra bolla percettiva di autori e di appassionati competenti, a prevalere nell’interesse è quasi sempre il personaggio, molto di rado l’autore; secondo, i libri sulla storia del fumetto li leggono solo quelli della bolla di cui sopra. E infatti uno dei mie obiettivi principali dell’epoca (rimasto intatto dodici anni dopo) era ed è riuscire a far conoscere gli autori dietro l’opera in maniera che non puzzi troppo di polvere e carta inumidita e vagamente ammuffita (odori che a me piacciono, sia chiaro, ma capisco di essere minoranza) e che non sembri “per iniziati”. Perché storie come quelle di Angela e Luciana Giussani sono interessati in senso assoluto, non solo per chi si interessa di fumetto. Da qui un taglio che – seppure scrupoloso nell’approccio alla documentazione – vuole rimanere il più possibile brillante (oserei dire “divulgativo”, se non fosse considerata da taluni una parolaccia), anche con “stacchi di montaggio” più propri del cinema che non della saggistica. Infatti non saprei dire ancora oggi se si tratta di un saggio o di un romanzo. Qualcuno a proposito di un certo tipo di scrittura che si diffuse tra fine Ottocento e le due guerre mondiali parla di romanzo-saggio. Senza azzardare paragoni, forse qui al contrario siamo al cospetto di un saggio-romanzo.
Forse.
Non è banale partire dal contesto socio-culturale in cui nacque Diabolik. Ancora oggi, pensare a un personaggio tanto importante e tanto “diverso” e audace creato, gestito e portato al successo da due donne, suona come un evento più unico che raro (come in effetti è stato) e non certo per mancanza di autrici valide. Come fu possibile tutto ciò, com’era l’Italia di allora?
Per quanto riguarda com’era l’Italia, e in particolare com’era l’editoria in Italia, basti pensare che l’anno prima dell’uscita in edicola di Diabolik la stampa a fumetti decise di affidarsi a un codice morale (leggasi “autocensura preventiva”) per evitare che il mondo politico e giuridico si accanisse sul settore che era guardato (segue eufemismo) “con sospetto”. Fu la UISPER, componente cattolica dell’Associazione Italiana Editori Periodici per Ragazzi, a elaborare il codice in occasione dell’assemblea costitutiva, tenutasi a Firenze nell’aprile del 1961. Il risultato di tale consesso è un elaborato che nel volume è riportato integralmente “come luminosa e al contempo cupa testimonianza d’epoca”. L’osservanza delle norme venne affidata a un Ente di Controllo ed evidenziata attraverso la stampa, in copertina, del marchio Garanzia Morale, GM. Il codice venne adottato da tutti gli editori aderenti.
Quanto al come fu possibile che due donne crearono questo autentico “crack” della storia della cultura e del costume italiano, i motivi sono innumerevoli e ci vorrebbe un libro per analizzarli tutti (anzi, no, l’ho già fatto!), ma certo ha contribuito tra gli altri la presenza del “terzo uomo”, Gino Sansoni, che, pur non avendo meriti specifici rispetto all’ideazione del personaggio e della testata, ha con tutta probabilità dato forza all’idea che un’editoria spregiudicata, senza censure né autocensure, che sì mutuasse modelli esistenti ma che non avesse timore di crearne di nuovi, potesse trovare un suo pubblico.
Un saggio sulle sorelle Giussani quanto può dire al lettore di Diabolik sul personaggio? Quanto dell’esperienza e dei gusti delle due autrici è stato riversato nel fumetto?
La ristretta cerchia dei lettori storici di Diabolik, quelli che leggono e collezionano tutto del personaggio, una parte delle cose presenti nel libro probabilmente le aveva anche già lette o sentite altrove (la parte riguardante il film di Mario Bava, per esempio, sarebbe stata decisamente più esile senza l’attento e preciso studio fatto sul tema da Roberto Altariva), ma ritenevo mancasse una trattazione organica e completa. Per i lettori occasionali (che sono la stragrande maggioranza) e per i non lettori che comunque conoscono Diabolik come icona, è sempre una grande sorpresa scoprire chi c’è dietro la genesi del personaggio e in quale contesto, e in quale serie di circostanze, alcune guidate e alcune casuali. è avvenuta. C’è tanto, tantissimo di Angela e Luciana in Diabolik, come c’è ovviamente tantissimo di loro in Eva Kant, un personaggio che a livello di riposizionamento degli archetipi narrativi non è meno importante del Re del Terrore: se lui è un antieroe a tutti gli effetti, il primo con tale costanza e determinazione nel proprio ruolo in un mercato del fumetto dove ovattare i contenuti poteva garantire una tranquilla sopravvivenza, lei è una delle prime figure di compagna innamorata, fedele eppure affrancata, autonoma, fragile come essere umano ma non debole per principio in quanto donna, compartecipe delle azioni del protagonista, non di rado co-protagonista fino ad arrivare talvolta a rubare la scena al titolare di testata.
Quali sono le cose più curiose che hai scoperto nelle tue ricerche sulle due sorelle?
Tante, tantissime, a partire dal fatto che, pur collaborando soprattutto Angela con il marito alle sue produzioni editoriali, l’avventure editoriale autonoma e la creazione di un personaggio non sono il culmine di un percorso particolarmente lungo, ma un guizzo creativo potente: la casa editrice Astorina nasce nel 1961, Diabolik l’anno seguente. Il tutto non certo da “giovani imprenditrici”: Angela quando viene creato Diabolik ha quarant’anni e siamo in un periodo in cui l’aspettativa di vita è inferiore a quella odierna.
Diabolik è un personaggio iconico, tra i più longevi del fumetto italiano, paragonabile soltanto a successi generazionali dei personaggi che citavamo prima, Tex e Alan Ford. Ciò malgrado, un po’ come gli esempi riportati a onor del vero, ha saputo adattarsi a nuove generazioni di lettori senza realmente innovarsi, ma anzi rispettando quasi filologicamente la formula originaria voluta dalle Sorelle Giussani. Ci dai il tuo punto di vista su questo aspetto?
Il cambiamento c’è stato, ma sottile, misurato. Esistono interessanti studi che mostrano come nei decenni cambino pettinature, mobili e non cambino invece alcuni elementi che se aggiornati stravolgerebbero la narrazione (internet, per dirne una, snaturerebbe la natura ancora tecnico-meccanica dei colpi del protagonista di testata). Ci sono stati a partire dagli anni Settanta diversi inserimenti di tematiche molto contemporanee al momento in cui venivano pubblicate le storie, stupro, droga, mafia, ma il tutto in un’ossatura in cui il lettore fedele possa ritrovare le sue sicurezze. Anche graficamente si cerca sempre un approccio che sia chiaro e comprensibile, le sperimentazioni nella serie regolare vengono inserite con il contagocce, in maniera graduale. Basti pensare che la testata della copertina è stata lievemente modificata soltanto nel 2014. Con questo non si pensi che in via Boccaccio 32 non amino le sperimentazioni: dagli speciali scritti da autori come Sandrone Dazieri e Tito Faraci e disegnati dal tratto molto personale di Giuseppe Palumbo a DK, tentativo di raccontare un personaggio che è Diabolik ma anche no e di farlo con un tipo di albo e un modo di narrare completamente diverso (il comic book all’americana), nella cucina editoriale di Astorina si continua a “fare il pane come una volta” ma anche a provare ricette nuove e gustose.
L’impressione è che oggi ci sia da un lato più libertà ed emancipazione, ma dall’altro anche un moralismo più becero e infido che renderebbe la creazione di un nuovo Diabolik piuttosto difficile: hai avuto la stessa impressione?
Oggi il fumetto, per quanto un po’ meno sgradito nei salotti culturali buoni, è molto meno mezzo di comunicazione di massa com’era un tempo. Sono cambiate logiche e modalità distributive, sono cambiati i numeri, ma a livello quantitativo la produzione vive un momento estremamente florido. Forse se qualcuno inventasse oggi il corrispettivo di Diabolik passerebbe inosservato. Ma poi a pensarci mi vengono in mente operazioni editoriali odierne che “spostano l’asticella” del lecito eppure nessun procuratore di Lodi si prende la briga di impedirne la diffusione. Un tempo forse ciò che usciva a fumetti in edicola era percepito a priori come una lettura per ragazzi e quindi ogni proposta troppo adulta veniva vissuta come un pericolo, oggi c’è un po’ più consapevolezza del fatto che il fumetto è un mezzo di comunicazione e non ha un target precostituito, come non ce l’ha la tv (dove puoi trovare canali per bambini, canali per ragazzi, canali pornografici… ma di questo non sono sicuro: ai tempi di PornHub esistono ancora i canali pornografici?). Quindi un fumetto “spinto” (in termini di violenza o di sesso) più difficilmente si trova in edicola, e in fumetteria ho il timore non ci vadano così tanti bambini.
La più grande forza di Diabolik – ma potremmo dire di tutti i personaggi seriali – è la capacità di reiterare le storie lungo diversi decenni basandosi su pochi archetipi. Ciò, da un punto di vista di qualità delle storie, può anche risultare però come un limite. Con una provocazione potremmo dire che servirebbe un po’ di coraggio in più, magari delle nuove sorelle Giussani che potrebbero andare controcorrente e svecchiare un po’ il canovaccio narrativo?
Perché e per chi? La formula funziona, incontra il gradimento del suo pubblico di riferimento. In parallelo ci sono laboratori di sperimentazione, le due cose si mantengono separate oppure i vasi comunicazione in maniera controllata e tutti siamo contenti, quello che viaggiando dalla stazione di piazza Cadorna a Saronno vuole ritrovare il suo Diabolik di sempre e io che sono molto curioso di leggere nel grande Diabolik attualmente in edicola la storia disegnata da Silvia Ziche.
Le attuali avventure di Diabolik presuppongono un patto con i lettori di lunga data, abituati a determinati meccanismi narrativi, uno su tutti la spiegazione del piano e dell’azione a posteriori. Un nuovo lettore, soprattutto se proveniente da altri mondi a fumetti, potrebbe trovarsi spiazzato e accusare una certa stanchezza in questa impostazione?
Le storie che devono piacere a tutti rischiano sempre o di banalizzare troppo per essere comprensibili ai più o di mescolare ingredienti che non stanno bene assieme pur di metterci tutto quel che serve per tutti, e quindi alla fine di non piacere a nessuno. Diabolik ha un taglio ben preciso e riconoscibile, per cercare lettori nuovi ci sono altre operazioni, editoriali e non.
È recentissima la notizia, anche se non ancora ufficiale, che il Diabolik cinematografico dei Manetti Bros sarà interpretato da Luca Marinelli. Che ne pensi?
Ne penso benissimo. È un signor attore. Forse non un trasformista, ma un attore di grande carisma e presenza scenica, in tal senso ha tutto il magnetismo necessario per portarsi sulle spalle un tale ingombrante fardello. Non somiglia al personaggio per come codificato dal fantomatico Zarcone e poi aggiornato da Enzo Facciolo e Sergio Zaniboni? Mi interessa relativamente, a me interessa che funzioni. James Bond ha cambiato mille facce e gran parte di queste sono state e sono tuttora efficaci. Certo, in quel caso si partiva da un romanzo e non da avventure disegnate, ma cambia poco: Diabolik è un modo di essere, non è le sue sopracciglia.
E non meno interesse me lo generano Miriam Leone per Eva Kant e Valerio Mastandrea, uno dei miei attori preferiti, nella parte di Ginko. È un attore di un’intensità enorme, per assurdo la naturalezza con cui affronta la commedia e il successo di molte sue interpretazioni “leggere” l’hanno forse un po’ etichettato come attore prevalentemente comico, ma è davvero uno che può fare tutto. In tal senso sarà interessante vederlo all’interno di un meccanismo dove, se verrà rispettato il mood della serie a fumetti, da ridere ci sarà abbastanza poco.
Grazie Davide per le tue risposte e la tua disponibilità. Alla prossima… edizione del saggio!
Intervista realizzata via mail nel mese di giugno 2019