La lettura di un’opera è una sua messa in prospettiva: il lettore assume uno o più punti di vista e da ciascuno di essi la osserva, per esplorarne fattezze e sfaccettature. Questi punti di vista hanno dei riferimenti nell’opera, che agiscono da punti di fuga della messa in prospettiva, quelli che gli consentono, per così dire, di tracciare le direzioni dei suoi ragionamenti.
Chiamo questi punti i “punti focali” della lettura, che possono essere una scena, una tavola, una vignetta, una singola battuta e così via. A volte li percepiamo come dei veri e propri “aha moment” (il che significa che attraversiamo un’opera come fosse un giardino di Capability Brown), che ci fanno afferrare il senso (un senso) dell’opera; altre volte li recuperiamo in seconda o terza lettura, quando stiamo già elaborando interpretazioni e ne cerchiamo supporto nell’opera.
Il punto focale della mia lettura de La speranza, nonostante tutto, avventura di Spirou realizzata da Émile Bravo, pubblicata in Francia da Dupuis e in Italia da Nona Arte, è una vignetta a pagina 42: da questa vignetta interpreto quella di Spirou, ambientata fra lo scoppio della Seconda guerra mondiale e l’occupazione nazista del Belgio, come una storia del presente sul presente, per la quale l’ambientazione funziona da strumento retorico per dare più efficacia alla posizione etica che informa il racconto.
Da quella vignetta, tiro quindi i fili per collegare altri passaggi del fumetto, in particolare la rilevanza data a specifici personaggi e confronti dialettici, a supporto della mia lettura, nella consapevolezza che Bravo realizza un gioco di specchi che porta in scena un momento tuttora dolente della storia belga. Il confronto al quale Bravo chiama il lettore è quindi duplice: rispetto al passato, può ricorrere alla storiografia per capire, mentre rispetto al presente, invita a leggere la cronaca nella controluce della Storia.
Osserviamo finalmente questa vignetta (Fig. 2). È la vignetta di uscita di una tavola sinistra: non un giro pagina, quindi, ma comunque un punto di accumulazione della tensione narrativa. Se, secondo uno schema tipico soprattutto delle costruzioni a griglia, immaginiamo la curva di immersione di lettura nella doppia tavola come una “V”, la vignetta di uscita della prima tavola (quella di sinistra) è il punto di massima profondità: quelle precedenti la preparano e quelle successive (la tavola di destra) la risolvono ed eventualmente si fanno carico della transizione alla scena successiva. Fra l’altro, è vignetta di uscita di una scena posta (quasi) al centro del racconto, che si sviluppa in 88 tavole: siamo quindi al cuore del cuore della vicenda.
Contesto del racconto: La speranza, nonostante tutto segue a dieci anni di distanza Il diario di un ingenuo (2008), che raccontava la vita di Spirou a cavallo dello scoppio della guerra, il suo incontro con Fantasio e il suo innamoramento per Kassandra, cameriera dell’hotel Moustic, ebrea di padre tedesco e madre polacca, membro del Comintern, tornata in URSS poco prima dello scoppio della guerra.
Eccoci al maggio 1940, l’avanzata nazista verso occidente ha travolto le difese belghe e alleate. Mentre le divisioni tedesche tentano di incastrarli in una tenaglia, i corpi d’armata francese e inglese ripiegano verso la Francia: è l’inizio della ritirata che si concluderà con l’Operazione Dynamo, l’imbarco a Dunquerke di oltre 200.000 soldati. I civili belgi, terrorizzati dall’avanzata tedesca e dalle memorie della precedente guerra, fuggono in massa verso la Francia. Spirou e Fantasio hanno abbandonato Bruxelles in bicicletta e si sono uniti alla marcia dei profughi: sono latori di un messaggio per lo Stato maggiore francese e, in particolare, Fantasio, ancora in forza all’esercito, cerca qualche ufficiale che possa dargli direttive.
Al confine regna il caos e la colonna umana è bloccata. I due raggiungono la barriera, presidiata dalle forze armate francesi e Spirou chiede a un gendarme: “Come mai negate asilo a questa povera gente?”. La risposta del gendarme è illuminante: “Come mai? Perché non possiamo farci carico di tutte le sventure del mondo, che diamine!”.
Ecco la nostra vignetta focale: a queste parole lo scenario storico si dissolve in cronaca dei nostri giorni: la moltitudine di donne, bambini, uomini in fuga dall’orrore della distruzione, muta di aspetto, colore della pelle e abbigliamento per diventare la folla di individui, volti disperati, tante volte cadaveri, che bussano alle porte dell’Europa.
Il racconto di Bravo costruisce la tensione drammatica che esplode in questa vignetta fin dall’inizio, che parla di bambini che non hanno da mangiare; il suo sguardo per le strade di Bruxelles si ferma per osservare cittadini comuni e ce ne restituisce atteggiamenti e pensieri. L’antisemitismo strisciante, la visione razzista, che mette da una parte i fiamminghi – solleticati dai nazisti che li dichiarano fratelli di razza – e dall’altra i valloni, la frattura che si estende nel corpo della società, attraverso un’educazione velenosa, che rende i bambini piccoli portatori d’odio (Fig. 3).
La vita messa sulla tavola, con una chiarezza di tratto che riporta Spirou nel campo della scuola di Bruxelles, è avvolta da toni cupi e, per noi che leggiamo conoscendo gli eventi a venire, di decisioni sbagliate e menzogne. La verve surreale e l’idiozia egoista di Fantasio non guadagnano momenti di pausa né tantomeno incrinano la dominante cupa della vicenda, anzi, il suo diventa un agitarsi scomposto, grottesco e a tratti irritante: sebbene non combini disastri all’altezza di quelli provocati nell’episodio precedente, appare comunque a lungo incapace di afferrare la drammaticità degli eventi.
Quando letteralmente interpreta Hergé – visivamente, per l’abbigliamento; moralmente, per la scelta di lavorare per Le Soir, gestito dai collaborazionisti e per questo bollato come “volé”, rubato – mette in scena il peccato originale stesso della BD (che riflette quello del collaborazionismo della zona grigia della società belga), la fine dell’innocenza e ripropone la questione della responsabilità della cultura, perché se il fumetto è cultura, ne deve (sop)portare onori e responsabilità associate, spesso scomode (Fig. 4).
L’effetto complessivo è tuttavia lontano dalla pedagogia spicciola, grazie alla sensibilità nella resa dei personaggi, in particolare degli adolescenti, travolti dalla follia degli adulti proprio mentre si affacciano alla vita. Sono i loro volti e la loro gestualità a trasmettere le emozioni più intense e a portare la vita nel racconto. Le tante vite che attraversano il cammino di Spirou sono innervate di emozioni rese con vasta gamma di sfumature, che emergono da piccoli momenti di quotidianità nella tempesta e da dialoghi intrisi di paura e dall’illusione (chiara a noi, non a loro) che, al di là di tutto, il mondo continui a obbedire alle stesse leggi fondamentali e su quelle si possa contare per pensare il proprio futuro.
Ma il mondo è veramente cambiato: ce lo dice senza mezzi termini la distruzione a causa dei bombardamenti tedeschi del Moustic, l’albergo dove lavora Spirou, teatro di tante sue avventure (in altre versioni era distrutto dagli inglesi durante l’avanzata alleata), e la sparizione di Entresol, il suo rude portiere. Dal punto di vista stilistico, come accennato, Bravo adotta una linea chiara classica, che risulta in uno sguardo nitido, perfino spietato, che elimina le sfumature di comodo delle ipocrisie morali dei personaggi e che mette non di rado a disagio nel corso della lettura.
Il distacco dallo stile generalmente associato alle avventure di Spirou (la cosiddetta Scuola di Marcinelle, di fatto quello di Franquin) non costituisce una peculiarità dello Spirou di Bravo: già Frank Le Gall adottò la linea chiara per il suo Les Marais du temps (2007) e Yann e Olivier Schwartz la impiegarono per i loro due volumi, in particolare per Groom vert-de-gris (2011), ambientato nel 1942 e quindi sorta di racconto alternativo a quello di Bravo. Tutte queste storie sono d’altra parte uscite fuori serie, nella collana Le Spirou de…, un’iniziativa dell’editore Dupuis che propone avventure di Spirou e Fantasio non vincolate alla continuity generale e fra loro autonome.
ra i lettori più maturi, la linea chiara innesca inevitabilmente una suggestione di passato che contribuisce all’atmosfera generale della vicenda e favorisce il cortocircuito con le vicende di Tintin: ancor più di quello di Bravo, che pure su questo costruisce alcune gag, lo Spirou di Schwartz richiama fortemente il reporter di Hergé. Ma in generale l’approccio di Bravo è in consonanza con l’evoluzione delle avventure di Spirou e Fantasio, che si è nel tempo allontanato dalla caratterizzazione caricaturale degli inizi, sia per le interpretazioni grafiche sia per i trattamenti di temi e personaggi. Dalle posture e la fisiognomica dei personaggi di Franquin, alle proporzioni anatomiche nelle interpretazioni di Fournier – che nel lontano L’Ankou (1976) pure trattava il tema dei rischi portati dalle centrali nucleari – o di Nic negli anni ’80, si è passati a un approccio più drammatizzante. Caso esemplare è sicuramente La machine qui rève di Philippe Tome e Janry (1998), ma anche le successive gestioni di Morvan e Munuera – vedi L’Homme qui ne voulait pas mourir (2005) – e di Yoann e Vehlmann – ad esempio La Colère du Marsuilami (2015) – confermano questa tendenza.
Chiarito questo, la linea chiara che Bravo adotta per Spirou è decisamente più vicina al canone Hergé di quella utilizzata a suo tempo per disegnare Il diario di un ingenuo e Mamma è in America e ha conosciuto Bufalo Bill (2010) e da questo deduciamo che l’effetto ricercato da questa sorta di mimesi stilistica è esattamente quello di richiamare l’epoca della guerra. In questo senso, lo stile non resta mera opzione estetica ma diventa un efficace significante.
La speranza, nonostante tutto è il secondo “Spirou de Émile Bravo”, uscito a dieci anni di distanza dal Diario di un ingenuo e in continuità narrativa con esso. È anche il primo tassello di un progetto annunciato in quattro parti, che racconteranno il tempo della guerra in Belgio. L’approccio di Bravo indulge a volte in un certo didascalismo, nel senso che, le meschinità, l’odio, l’ingenuità e l’idiozia sono messe in scena senza veli (il prete che guida gli scout cattolici in un campeggio folle; gli ufficiali alleati, che litigano fra loro, disprezzano i belgi e non si rendono conto della superiorità militare tedesca, il padre di famiglia reduce dalla Prima guerra mondiale, che argomenta lucidamente sull’orrore a venire e altri ancora).
È d’altra parte una scelta che dà forza al racconto, perché impone al lettore un confronto diretto con le brutture dell’animo umano “ordinario”. In questo senso è esemplare il fatto che agli invasori nazisti è riservato poco spazio: sono molto nominati, e poco mostrati. I nazisti sono il Male, ma sono gli esseri umani ordinari che concedono spazio e voce a quel Male, facendo una scelta di campo morale oggettiva, che Bravo rimarca quasi ossessivamente.
A dominare il campo sono i comportamenti della popolazione belga, dei militari francesi e inglesi: sono le loro responsabilità a occupare il proscenio, a ricordare che l’orrore nazista si giovò dell’indulgenza (se non dell’appoggio) morale di tante “brave persone” e della superficialità e impreparazione del fronte alleato. Il racconto invita quindi a riflettere su quei comportamenti, su quei pensieri e discorsi, che vediamo trasposti nel dibattito quotidiano contemporaneo intorno all’immigrazione dai paesi devastati dalle guerre, dalle calamità, dalle dittature e dalla povertà, con forza politiche (in Belgio, in Francia, in Italia, in Ungheria, eccetera) che fomentano l’odio, promuovono il disprezzo verso i bisognosi d’aiuto e invocano la chiusura dell’Europa ai problemi del mondo esterno e realizzare così il delirio paranoico nazista incarnato dall’idea di Fortezza Europa.
Abbiamo parlato di:
Spirou – La speranza, nonostante tutto
Émile Bravo
Traduzione di Marco Farinelli
Nona Arte – 2018
88 pagine cartonato, colori – 19,90 €
ISBN: 9788899728649