Pablo Auladell, la fascinazione della storia

Pablo Auladell, la fascinazione della storia

SPECIALE KOMIKAZEN - Pablo Auladell è l'autore dei disegni di "Soy mi sueño" per i testi di Felipe H. Cava, un fumetto poetico e metaforico ambientato durante la Seconda Guerra Mondiale. Abbiamo intervistato questo autore ancora poco noto in Italia.

Benvenuto su LoSpazioBianco. Cercando informazioni su di te, mi ha colpito sapere della tua condizione di ipermetropia: puoi spiegare ai lettori cosa significa e come questo influisca sulla tua arte?
Si tratta di un gioco poetico riguardante la mia idea di visione personale e di stile. Solo questo. La ipermetropia è intesa qui come una mia maniera personale ed eccessiva di vedere ogni cosa. I miei occhiali come il filtro che utilizzo per capire il mondo.

Con Soy mi sueño sei stato candidati al premio come miglior disegnatore al Salon de Comic di Barcellona, ultimo di una serie di riconoscimenti (tra cui il Premio al Autor Revelación sempre al Salone del Fumetto di Barcellona nel 2005) della tua carriera. Cosa significa per un autore, e per te in particolare, ricevere questi riconoscimenti? Quanto è importante il giudizio esterno, sia di esperti che di lettori?
Premi come questi servono soprattutto per raggiungere una certa sicurezza nel lavoro e per far sì che la tua opera sia conosciuta da autori più importanti. Però il giudizio che più mi interessa è quello che mi do io. E io sono assolutamente feroce e implacabile quando giudico la mia opera.

Il tuo stile guarda più alla pittura che al disegno, come concili questi due mondi nelle tue opere?
A me sembra il contrario, cioè che il mio stile si basa più sul disegno che sulla pittura. Anche se di fatto cerco sempre di stabilire un equilibrio e un armonia tra l’eleganza e l’architettura della linea e l’espressività della macchia. Però se parliamo concretamente dei miei fumetti, in questi credo che senza dubbio il disegno e la chiarezza narrativa vengano prima di tutto, e il colore o la macchia siano sempre narrativi e funzionali, abbiano sempre un motivo, una ragion d’essere, e non vengano mai per capriccio o ragioni puramente ornamentali.

Oltre che fumetti, hai realizzato libri di illustrazioni. Anche l’illustrazione però prevede una narrazione non più sequenziale ma statica, tutta in una sola immagine. Quanto del fumettista c’è nel tuo lavoro di illustratore e, viceversa, quanto pesa il disegno, la figura nei tuoi fumetti?
Non separo il mio lavoro nell’illustrazione dal mio lavoro nei fumetti. Li vedo più che altro come due campi dove lavorare sulle relazioni tra testo e immagine, sugli shock poetici che producono. In tutti e due i campi cerco di creare un linguaggio grafico esclusivo e appropriato per la storia che sto narrando.


Quali sono gli artisti che ti hanno ispirato nella ricerca del tuo stile?

Molti naturalmente, perché l’illustratore si nutre di molte fonti. E a ognuno di questi artisti ho rubato un segreto, potrei citare su due piedi Giraud, Ricard Castells, Mattotti, Federico Del Barrio, Balthus, Leonardo, Solana, Goya…

Soy mi sueño affronta il tema della Seconda Guerra Mondiale. Qual’è l’approccio di questo fumetto all’argomento?
In questo fumetto la Seconda Guerra Mondiale non è altro che il pretesto per parlare di una seria di questioni che interessano a Hernandez Cava. Quando ho cominciato a disegnarlo pensavo si trattasse di una storia di genere, però presto mi sono accorto che era una storia quasi fantasmagorica, assolutamente lirica, quasi spirituale, con molto rumore e con molte interferenze. Il disegno cerca di dare una risposta grafica a queste sensazioni.

Il tuo è un segno che credo debba essere fortemente intrecciato alla sceneggiatura, che ha bisogno del giusto respiro, di tempi e ritmi specifici. Come avete lavorato tu e Cava?
Cava mi inviava i capitoli appena li finiva di scrivere. La sua sceneggiatura è minuziosa però allo stesso tempo lascia dei margini all’interno dei quali il disegnatore può dare il suo contributo. È rigido nelle impostazioni formali, come la griglia invariabile delle vignette, però ho avuto carta bianca per compiere la mia missione che era quella di creare un universo grafico, un’estetica per la sua storia. Cava, inoltre, ha una voce molto bella, da narratore radiofonico, e mentre lavoravo mi sembrava di sentire dentro di me la sua voce che mi leggeva la sceneggiatura. Questo mi ha aiutato a scandire il tempo, la cadenza e il ritmo del disegno.

Il recupero della memoria è un tema che, per quanto costantemente riproposto, sembra non attecchire a sufficienza nelle coscienze, come se l’esempio di quanto orrore possa compiere l’uomo non serva impedirne il ripetersi. Cosa significa per te affrontare questo impegno, per certi versi frustante?
Effettivamente è come dici. Non credo però che la memoria storica sia l’asse portante del nostro fumetto, anche se evidentemente in alcune sequenze è presente una sua rivendicazione. Si tratta più di un’indagine su alcuni paradossi degli idealismi, degli eroismi e di come il bene in determinate occasioni sia molto vicino al male, e non si percepisca con chiarezza vicino a quale lato del precipizio si sta saltellando su una gamba sola.

Durante la Seconda Guerra Mondiale la Spagna viveva un periodo storico difficile, sotto la dittatura franchista. Nel conflitto rimase neutrale, anche se con atti tendenzialmente favorevoli alla Germania. In un certo senso, la storia di questo conflitto è rimasto esterno alla storia del tuo paese. Questo vi ha permesso di affrontare il tema da un punto di vista diverso?
La percezione che uno spagnolo ha della seconda guerra mondiale non è di neutralità, ma si tratta di più, da un certo punto di vista, di un sentimento di fascinazione per quel conflitto enorme e epico, come un film che avessero messo in uno dei nostri poveri cinema di quartiere, distrutto da una scaramuccia tra bande rivali che hanno combattuto in espadrillas e con pali e pietre. E abbiamo anche la frustrazione di vedere come è stato sconfitto il fascismo mentre noi siamo stati abbandonati e traditi, abbandonati nelle mani di Franco per circa quarant’anni nei quali siamo stati governati come se fossimo stati in un collegio di suore. Pertanto il mio avvicinamento al tema è inevitabilmente lirico, una visione quasi teatrale, come una vecchia leggenda che mi hanno raccontato i miei antenati e che ho letto nei libri.


Riferimenti:

Pablo Auladell, il blog: pabloauladell.blogspot.com
Komikazen, festival del fumetto di realtà: www.komikazenfestival.org

Clicca per commentare

Rispondi

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *