Nel numero 80 della rivista Fumetto, edita dall’Anafi, Luciano Tamagnini introduceva due storie realizzate da Benito Jacovitti negli anni Cinquanta e pubblicate su Il Piccolo Missionario e Voci d’Oltremare. Tamagnini si sofferma sui vincoli che portarono Jacovitti a specifiche scelte narrative sui personaggi e le ambientazioni, decisioni che sfociarono in storie differenti dalla più nota produzione umoristica dell’autore.
In queste storie, qui parzialmente riproposte, si possono intravedere numerosi dei tratti tipici del disegno di Jacovitti. In particolare spiccano le fisionomie facciali caricaturali, compresi alcuni dettagli anatomici accentuati negli animali (specialmente nei pennuti – si noti il lungo e aguzzo becco).
Totalmente assente, invece, uno dei più riconoscibili segnali di stile di Jacovitti, ovvero l’inserimento riempitivo dei più disparati oggetti (pettini, salami, ossa, dadi, matite etc.), che nelle sue opere compaiono ovunque, quasi a formare un horror vacui non sense.
Inoltre è molto moderato anche l’uso di linee cinetiche, che in altri lavori fanno da contorno immancabile alle azioni e ai movimenti dei personaggi.
Africa a tutto spiano
[Articolo pubblicato originariamente su Fumetto n° 80 a firma di Luciano Tamagnini.]
Quando Jacovitti collaborava con Il Piccolo Missionario e con Voci d’Oltremare aveva delle limitazioni piuttosto forti. I vari disegnatori/soggettisti di fumetti realistico-avventurosi avevano in un certo senso l’unico limite di dover inserire ogni volta un sacerdote o un frate, un religioso insomma, come eroe del racconto, però potevano spaziare sia sul presente che sul passato, potevano ambientare l’avventura nel Far West o nella tundra, nella savana o nella Jungla; chi creava storie umoristiche, invece, aveva spesso come terreno di “caccia” l’Africa quindi al centro doveva mettere qualche nativo della zona e stare attento a non farne un personaggio troppo ridicolo, perché lo scopo di tali pubblicazioni (oltre che quello di racimolare qualche soldarello per le Missioni d’Oltremare, come si diceva) era di rendere simpatici gli abitanti di quelle terre lontane e non di presentarli come cannibali o squallidi eroi primitivi da imbrogliare con i baratti a base di perline di vetro, come accadeva nel fumetto avventuroso laico degli anni Cinquanta e Sessanta. A meno che non ci si rifugiasse nelle storielle con protagonisti gli animali più o meno parlanti… Noi abbiamo pescato dalle pagine di Voci d’Oltremare del 1956 due brevi gioielli che hanno protagonisti due diverse tipologie di nero; a voi il piacere di riscoprire questo Jac d’annata.