Le immagini della città: da Flash Gordon ad Akira

Le immagini della città: da Flash Gordon ad Akira

Terzo appuntamento con Daniele Barbieri e i suoi articoli apparsi su Golem l’indispensabile: è la volta di un confronto tra Alex Raymond e Katsuhiro Otomo.

La rivista on line Golem L’Indispensabile nacque nel 1996 su iniziativa di Umberto Eco, Gianni Riotta e Danco Singer e fu il primo esempio di rivista culturale italiana pensata specificatamente per il web.
Fino alla sua chiusura definitiva, avvenuta nel 2011, la rivista ebbe varie incarnazioni e poté contare su firme e collaborazioni prestigiose, tra le quali quella di Daniele Barbieri (www.guardareleggere.net) che a partire dal 2001 sulle pagine della seconda serie della rivista pubblicò una serie di saggi e articoli sul fumetto e il suo linguaggio.

 Purtroppo oggi la pagina web e l’archivio on line di Golem l’Indispensabile non sono più raggiungibili, ma quelle pagine scritte da Barbieri restano ancora  oggi attuali nei contenuti e nel valore dell’analisi e dell’approfondimento sul linguaggio dell’arte sequenziale. È dunque un peccato che gli appassionati del mondo del fumetto di età più giovane o coloro i quali al tempo non avevano conosciuto quella rivista si siano persi tali interventi.
Per tale motivo abbiamo chiesto a Daniele Barbieri, amico de Lo Spazio Bianco, la possibilità di ripubblicare sul nostro sito quella sua produzione e l’autore molto gentilmente ci ha concesso il permesso.

 Stavolta presentiamo un articolo sulle immagini delle città in due opere miliari quali il Flash Gordon di Alex Raymond e l’Akira di Katsuhiro Otomo.

Nella tavole domenicali di Flash Gordon, che Alex Raymond è andato disegnando per quasi dieci anni, dal 1934 al 1943, troviamo sistematicamente rappresentati due modelli incompatibili di spazio cittadino. Quando le città sono viste da fuori sono verticali e compatte, selve di guglie e spirali, più simili a castelli da Disneyland che a luoghi da abitare; sono soprammobili o gioielli, da guardare piuttosto che da vivere. Quando invece l’azione si svolge in ambienti urbani, la pur scarsa precisione rappresentativa (Raymond privilegiava largamente le figure umane rispetto agli sfondi) lascia intuire spazi urbani abitabili e percorribili, con strade, case e giardini. Insomma, l’immagine dello spazio urbano che emerge complessivamente dalla lettura di Flash Gordon non corrisponde ad alcunché di fisicamente possibile: le vedute da fuori sono incongruenti con le vedute da dentro: le città si gonfiano magicamente non appena le si penetra, il loro spazio non è uno spazio fisicamente possibile. Ma l’impossibilità fisica non toglie credibilità a queste immagini. Lo spazio in esse rappresentato non diventa meno credibile per il fatto di essere impossibile. Tipicamente, infatti, il lettore nemmeno si accorge dell’incongruenza spaziale.

Alex Raymond
Flash Gordon – Alex Raymond

E lo stesso accade, con interessante frequenza, un po’ in tutta l’illustrazione di fantascienza del secolo scorso – come si potrebbe ben vedere nell’ormai introvabile volume curato da Brian Aldiss Fantasia e fantascienza (Longanesi & c. 1976), che ne costituisce una fascinosa antologia.

Non si tratta di una regola cogente. Vi sono anche immaginari fumettistici basati sulla plausibilità. Basti pensare alla Tokio che si può vedere sulle pagine di Akira, scritto e disegnato da Katsuhiro Otomo una decina di anni fa: precisa nella verosimiglianza e plausibilità delle sue anticipazioni sino alle forme dei cornicioni e alle forme di degradazione dell’asfalto delle strade. Ma qui, questa meraviglia di precisione avveniristica è del tutto funzionale a far risaltare il più possibile la scena della grande esplosione che distrugge la città, che si prolunga per decine e decine di pagine con un rallenty allucinante e spettacolare, tra le cose più belle che il fumetto giapponese abbia prodotto.

Akira
Akira – Katsuhiro Otomo

Delle città immaginate, la variante impossibile e quella iperrealista paiono esemplificare l’ambiguo atteggiamento quotidiano che abbiamo nei confronti delle città reali. Che appaiono al tempo stesso come l’ambiente della nostra interazione con le cose, noto e acquisito, familiare e irrinunciabile, ma anche come una totalità incontrollabile, troppo complessa per essere davvero conoscibile, davanti alla quale il solo atteggiamento possibile sembra essere la contemplazione estatica e rassegnata. Sublime e insieme quotidiana è dunque l’immagine della città: nel Gordon di Raymond l’opposizione si esprime con la differenza delle vedute esterne e interne; nell’Akira di Otomo è il contrasto tra il prima e il poi (ma i presupposti del disastro si potevano ben percepire anche nella normalità iniziale). Se la città resta al centro di tante storie, qualunque sia il linguaggio con cui si esprimono, è perché questa opposizione è ben viva e costitutiva di qualsiasi immaginario urbano.

Questo articolo è apparso in origine sul Golem l’Indispensabile #2 del Marzo 2001.

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