Il fumettista Fabio Celoni, noto soprattutto per le sue opere dedicate a Dylan Dog e ai personaggi Disney, ha ritrovato i soggetti originali del 1948 per un film in cui Totò, il Principe della risata, avrebbe interpretato l’erede di Don Chisciotte, il cavaliere dalla trista figura di Miguel de Cervantes. No, non si tratta dello stratagemma sdoganato da Alessandro Manzoni: non ci troviamo, mutatis mutandis, di fronte a un nuovo caso di manoscritto inventato e fortunosamente riscoperto. L’artista di Sesto San Giovanni si è davvero prodigato nelle ricerche, per ritrovare il “film perduto” e per portarlo alla luce in forma di fumetto, contattando chi di dovere, ottenendo permessi e liberatorie.
Ecco allora che il sogno di Antonio De Curtis di interpretare nuovamente l’hidalgo della Mancia, dopo averne vestito i panni al Teatro Eliseo di Roma nel 1935 in una rivista d’avanspettacolo, diventa realtà a cinquantacinque anni dalla sua scomparsa.
Totò, l’erede di Don Chisciotte – Primo tempo, edito da Panini Comics e disponibile anche con un cofanetto raccoglitore, è la prima parte di questo film su carta e non su pellicola, che si apre con l’arrivo in Spagna di Alonzo la Coscia, nipote napoletano del celebre Alonso Quijano, appena defunto. Fabio Celoni sviluppa il fumetto cercando di rimanere il più possibile fedele al materiale rinvenuto e quindi, almeno in questo primo tempo, distribuendo nelle pagine sequenze comiche e battute senza sosta.
Spesso i film di Totò, escludendo principalmente quelli diretti da Pier Paolo Pasolini, si basavano sulle sue capacità attoriali, sulla sua brillante naturalezza nell’improvvisazione, sul bagaglio artistico acquisito in giovane età accendendo l’avanspettacolo in sala. La bravura del Principe, all’epoca difficilmente riconosciuta dalla critica ma da subito apprezzata dal pubblico, consentiva ai produttori cinematografici di risparmiare e agli sceneggiatori di velocizzare notevolmente il proprio lavoro, poiché le scenografie erano scarne e i copioni poco approfonditi. Celoni, che ha compiuto una ricerca filologica seria e appassionata in seguito al ritrovamento dei soggetti originali, sceglie comunque di assecondare l’anima istrionica da guitto dell’attore partenopeo, mettendolo in scena con tutte quelle caratteristiche che hanno fatto breccia nei cuori degli spettatori e si sono sedimentate nell’immaginario comune.
Così, nel volume si trovano la mimica facciale e la gestualità tipiche del Pulcinella e del Pinocchio, viste non solo nella rivista a teatro ma anche nella celebre pellicola Totò a colori, e soprattutto la travolgente parlantina di De Curtis. L’erede di Don Chisciotte prevede un tempo di lettura dilatato perché, proprio come al cinema, il protagonista parla molto: il fumettista si affida alla propria memoria di appassionato per inserire nei balloon buona parte del repertorio verbale del suo mito, senza forzature e senza risultare pedante, noioso o, peggio, artificioso.
Riproducendo l’idioma dell’attore di Napoli, talvolta da accompagnare ad azioni note come la tendenza a gettare dalla finestra cose considerate inutili, Celoni accumula parole: gli errori nei toponimi come “Villasquamosa” al posto di “Villahermosa” e quelli classici come le storpiature di termini più o meno difficili (“peluria” per “penuria”); il suo surreale tirare dritto, continuando a parlare convinto di qualcosa che non c’entra con il contesto, lasciando basito l’interlocutore; l’elenco delle malattie e dei mestieri di fatica; gli anacronismi come la menzione di oggetti inesistenti nel periodo storico in cui è ambientata l’opera; l’accenno al concetto del piedistallo reiterato in Signori si nasce; i cavalli di battaglia quali “la faccio mordere”, “chi mi frena” e l’”acido borico”.
Ad affiancare il protagonista, anche nelle gag, c’è Sancho Panza, lo scudiero di Don Chisciotte, tra le pagine impersonato dall’attore Aldo Fabrizi, che ha recitato insieme con Totò in vari film, diventandone anche amico. La presenza del personaggio secondario – un’idea dell’autore affidarlo a Fabrizi – consente a Celoni di riproporre alcune scenette già apprezzate nei lungometraggi realmente distribuiti in sala, pertanto si legge dell’attore romano, preso per sfinimento, che esclama: “Lei mi manda al manicomio”. Sulla stessa scia i ricorrenti “come si permette?” e “ha capito?” che richiamano i ruoli in cui il fratello della Sora Lella era costretto a tenere testa a un De Curtis senza freni, sempre pronto al raggiro e all’equivoco. Per quanto riguarda la “voce” di Sancho, è curioso notare che da una determinata sequenza in avanti egli parla con ampie concessioni al romanesco e non più in un italiano un po’ lambiccato. In questo senso diventa impossibile non sovrapporre lo stesso Fabrizi al fedele servitore.
Se il Principe della risata e la sua spalla sono evidentemente riprodotti nelle vignette con le loro fisionomie ben riconoscibili, forse si possono individuare nella figura di Consuelo/Dulcinea il volto, i capelli e la fisicità dell’attrice Dorian Gray (al secolo Maria Luisa Mangini), che ha recitato con Totò in Totò, Peppino e la… malafemmina, Totò lascia o raddoppia? e Totò, Peppino e i fuorilegge.
Anche la bella ragazza che il poco eroico Alonzo vorrebbe conquistare si inserisce nel contesto umoristico al quale Celoni ha adattato il proprio disegno, per giunta senza bisogno di doversi snaturare. Con movenze dinoccolate o rigide, con un incedere dritto o ingobbito, con smorfie teatrali ed espressioni accentuate, i personaggi attraversano paesaggi cotti dal sole, stamberghe e abitazioni nobiliari, stanze oscure e villaggi alberati, mentre la prospettiva si fa creativa, le costruzioni panciute e piatte si tendono e si rilassano, distorte in un gioco di specchi deformanti come accadde per esempio ne Lo strano caso del Dottor Ratkyll e di Mister Hyde (sceneggiato da Bruno Enna), e la colorazione digitale trasmette con tinte nette le sensazioni derivanti dai contesti diversi. Il verde, l’ocra, l’arancio, il rosso, il blu e il marrone occupano le pagine con una materialità che si estende agli oggetti e agli attori che calcano la scena cartacea.
Le splash-page, anche doppie, le tavole con le vignette disposte con andamento bustrofedico1, i riquadri più piccoli come se fossero tanti piccoli frame giustapposti e le inquadrature più ampie e ariose non costituiscono meri virtuosismi, bensì contribuiscono alla spettacolarizzazione del fumetto (con il termine “spettacolarizzazione” da intendere, come riporta il Vocabolario on line Treccani, nell’accezione di “luogo che diventa esso stesso uno spettacolo”, dove il “luogo” per estensione è il fumetto).
In attesa della pubblicazione del secondo volume con il secondo tempo de L’erede di Don Chisciotte si può affermare che lo studio e l’impegno di Celoni abbiano prodotto un risultato artistico di spessore, che potrebbe avere come unico limite la difficoltà di “arrivare” a un pubblico che non conosca e non apprezzi già Totò, il suo teatro e il suo cinema.
Abbiamo parlato di:
Totò, l’erede di Don Chisciotte – Primo tempo
Fabio Celoni
Panini Comics, 2022
112 pagine, cartonato, colori – 18,00 €
ISBN: 9788828711919
Da sinistra a destra e da destra a sinistra come si volgono i buoi nei lavori d’aratura. ↩