Premessa: quelle che seguono sono riflessioni scritte subito dopo la visione di Evangelion 3.0+1.0 – Thrice upon a Time, il quarto capitolo del Rebuild di Evangelion, progettato e diretto da Hideaki Anno. Poiché sono citati eventi e snodi importanti del racconto, è bene leggerle dopo aver visto il film.
Finalmente.
Dopo ventisei (26!) anni, Evangelion trova una conclusione e ci lascia con un senso di compiutezza e, perché no, di leggerezza nell’animo. Il finale catartico, poetico nella sua sobrietà di toni, nei suoi sorrisi e nella sua corsa a perdifiato su per le scalinate della stazione ferroviaria e poi fuori, nel mondo reale, ci consegna un protagonista finalmente evaso dal bozzolo delle sue paure e del suo rifiuto delle responsabilità. È la fine dell’adolescenza (in luogo di metafora, Evangelion è principalmente un racconto di maturazione), l’uscita dall’egocentrismo prima che diventi patologia, l’accettazione della vita.
Nonostante una vocina in fondo alla coscienza possa far notare la stranezza dell’ultima scena animata, la produzione di ulteriori racconti della saga sarebbe a questo punto sorprendente. Certo, misteri da sciogliere ci sono, ma sarebbe un’operazione di restauro diegetico, per così dire, mentre non sembra esserci più posto per sviluppi. Thrice upon a time non solo (non tanto) dà un senso al progetto Rebuild, mostrandone il legame profondo con la serie e la prima coppia di lungometraggi, riflettendo sugli eventi lì narrati e rileggendoli, ma soprattutto chiude le questioni aperte – quelle esistenziali, si intende, perché, ribadiamo, quelle strettamente diegetiche restano materiale per speculazioni – che di Evangelion erano il nutrimento fondamentale. La maledizione degli Eva è cancellata, la vita può tornare a scorrere.
Una prospettiva che rende l’idea del peso di Thrice upon a Time è considerarlo come una sorta di antisimmetrico di The End of Evangelion: le somiglianze nella costruzione e nella stessa successione delle scene mettono in evidenza la differenza nell’approdo.
Ciò che in The End restava sospeso (la vita dopo il Near Third Impact) in Thrice è risolto. In questo senso, Thrice torna direttamente alla conclusione della serie, richiamata nell’utilizzo di disegni per le scene che preludono allo scioglimento, e rilegge The End, rievocato esplicitamente attraverso la proiezione di sue scene sullo sfondo del dialogo fra Shinji e Rei. Ma l’antisimmetria più importante è quella che riguarda la relazione fra Shinji e il padre Gendo Ikari: stavolta è il padre che si apre al figlio e a sé stesso, in un racconto autobiografico di presa di coscienza di sé. Si piange molto in Thrice (diciamo almeno tutta l’ultima mezz’ora) e questa scena è una delle più commoventi.
Altro personaggio che trova nuova vita in questo episodio è Ayanami Rei (meglio sarebbe dire l’Ayanami-type): la seguiamo conquistare giorno dopo giorno conoscenza della vita, del significato delle parole, dei gesti: anche lei diventa finalmente umana, in un certo senso “ordinaria”.
E questo è l’altro aspetto di Thrice che si oppone The End: Thrice de-mitizza e de-feticizza i personaggi rendendoli umani. Laddove The End da una parte invitava a uscire da Evangelion, ma finiva per risultare una trappola che spingeva a restare in esso (per la sua irresolutezza nel finale, che dava risonanza a tutti i misteri, lasciando i protagonisti uguali a sé), Thrice apre una via d’uscita efficace dando a ciascun personaggio una propria umanità. Una (ri)conquista che realizza il fallimento del Progetto di Perfezionamento dell’Uomo, che prevedeva la fusione di tutta l’umanità in una sola entità, senza più AT-Field a dividere le anime.
Ricordiamo: alla fine di The End c’erano due adolescenti su una spiaggia lambita da un mare rosso, e la battuta finale era “Che schifo”; non un gran mondo nel quale tornare. Ebbene, Thrice riscrive anche quella scena, con grande delicatezza, e la muta in una riconciliazione, che consente la separazione, la fine della reciproca ossessione: troppo simili per potersi essere di completamento, Shinji e Asuka si accettano e trovano ciascuno la propria via.
Ecco quindi che anche Asuka (Shinkinami-type? Nonostante tutto, non è possibile avere un episodio di Evangelion senza nuovi misteri) esce dal proprio stereotipo, dagli orrori della propria anima, del proprio passato: “Abbi cura di te, Principessa”, la saluta Mari. Poi è la volta di Kaworu, la cui normalizzazione richiede nientemeno che l’intervento di Kaji, e, infine, di Rei. A questo punto tutto è pronto per una Nuova Genesi, che porti a una nuova vita: alla fine di Thrice ci sono due giovani adulti che corrono in un mondo luminoso. La luce della Speranza ha sostituito il buio della Disperazione, così che ora possiamo avventurarci là fuori. “Addio a tutti gli Evangelion”, aveva detto Shinji poco prima.
Visivamente, Thrice offre due ore e mezzo di virtuosismi: le scene di combattimento, la navigazione della Wunder, l’attacco alla base della Nerv, il combattimento finale fra l’Eva01 e l’Eva13 sfruttano un’ampia varietà di tecniche; sono sequenze virtuosistiche nel senso che la spettacolarità e raffinatezza sono largamente finalizzate alla meraviglia dello spettatore – anche quando propone strani abbinamenti sfondo/personaggi, come nello scontro finale fra i due Eva (Fig. 3). Tiene incollato lo sguardo allo schermo, al di là del fatto che nei momenti più convulsi si perda il filo di quello che sta succedendo, sopraffatti come siamo dai colori in movimento, dai suoni, dagli ordini in gergo.
Da questo punto di vista, The End resta caratterizzato da un approccio particolare, nel quale la costruzione dell’immagine trasmetteva il senso della disgregazione delle identità personali. Thrice, nella tradizione dei Rebuild, è molto più convenzionale e offre anche (altro segno del progresso verso la maturità?) affettuosa (auto?)-ironia: l’inizio dell’attacco alla base della Nerv è introdotto dal comando di applicare la “procedura Yamato”, mentre in sottofondo parte una musica ispirata alle colonne sonore di quella generazione di anime.
Thrice resta con alcune mancanze palesi e lascia interrogativi inevasi e anzi ne aggiunge: alla fine, chi è veramente Mari? Quale è stato veramente il ruolo di Fuyutsuki? Abbiamo veramente assistito a tre iterazioni (Thrice upon a Time) della stessa storia? Le lance di blocco degli Eva che saltano fuori dal nulla, super navi e tecnologie rubate, l’Evangelion Immaginario, definito in base ai ricordi (di che cosa?) e perfino un Impact on-demand! Il mondo di Evangelion è denso di vuoti narrativi e soluzioni estemporanee, che terranno occupati gli appassionati per tutto il tempo che vorranno dedicar loro. Però, finalmente, in una prospettiva di serenità e non di morbosa cupezza autoreferenziale.
È stato un lungo viaggio, ma alla fine siamo arrivati.
“Andiamo”.
Abbiamo parlato di:
Evangelion 3.0 + 1.0 – Thrice upon a Time
Anno Hideaki, Kazuya Surumaki, Katsuhici Nakayama, Yoshihuki Sadamoto, Takeshi Honda
Khara, 2021