La rabbia, lo humor e la curiosità danno la spinta ai miei lavori. Questo, e spernacchiare a tutti quei concetti moderni di cultura, etnico, bellezza, corpo e genere.
Questo si legge sul blog di Beldan Sezen. E l’intervista potrebbe chiudersi qui. Arrivederci e grazie. Tanto ha già detto tutto lei.
Invece ci sono ancora un sacco di cose da dire.
Ad esempio che Beldan ha superato i 40, vive ad Amsterdam, è nata in Germania e nelle vene ha sangue turco. Oppure che le arti visive le ha provate un po’ tutte, prima di approdare al fumetto, due anni fa, con una precisa idea.
O che da qualche mese c’è un progetto nuovo che la inchioda al tavolo da disegno. Un’autobiografia disegnata, in uscita per la casa editrice BeccoGiallo alla fine del 2012, dal titolo provvisorio di ‘Snapshots of a Girl’. Vita permettendo, ovvio. Perché non lo sai mai cosa può succedere.
Come è nata la collaborazione con BeccoGiallo?
Ho incontrato Federico (Ostanel) nell’estate del 2010 a Beirut, per Let’s Comics!. Abbiamo parlato della possibilità di mettere in vignetta la storia della mia vita. La prima risposta che mi è venuta fuori è stata NO. Una vita intera, e per di più la mia, in fumetto… non mi sentivo capace di portare avanti un progetto del genere. Poi abbiamo avuto occasione di parlarne di nuovo a un anno di distanza e la cosa non mi sembrava poi così folle. E a gennaio mi sono seduta e ho preso in mano la matita, convinta di quello che stavo facendo.
La cosa che mi faceva più paura era l’aspetto psicanalitico della cosa: raccontare quello che mi è successo a partire dai diciotto anni… oggi ne ho 44… è un sacco di tempo, un sacco di cose… dal mio outing ad oggi, ne sono passate di cose.
Si parla quindi di identità, nel tuo lavoro. Tu, che di identità ne hai fin troppe…
Io sono solo quello che sono. Nel 1999 ho preso tutto e mi sono trasferita a Istanbul, con l’idea di stabilirmici per un po’. Per vivere quella parte turca di me e smettere di pensare alla parte turca di me. L’identità dipende da quello che le persone vedono in me, non da me. Io sono, e basta. La storia delle identità multiple, a parte l’espressione che suona bene, è una storia a cui non credo. Ho vissuto in molti posti e ne ho preso quello che potevo. Spostarmi, muovermi, cambiare, mi ha reso più ricca, più flessibile, più aperta, più curiosa e più interessante! Ma sempre io sono.
Come ci sei arrivata, al fumetto?
Ho sempre disegnato, e ho sempre avuto un interesse per il movimento e la composizione che insieme possono raccontare una storia. Lo scorso anno è stata pubblicata la mia prima storia lunga, Zakkom, su Istanbul, un mistero, me. È stato un ottimo banco di prova. Ora so di essere una disegnatrice di fumetti!
Se penso al processo creativo in sé, girare un video o disegnare una tavola di fumetto non sono cose molto diverse. L’inizio è uguale: è terrore puro. L’importante è essere lì per vedere le cose cominciare, poi vanno da sole ed è solo un lavoro di pulitura. Diversi ma uguali.
Qual è la tua posizione come artista? Voglio dire, quello che stai portando avanti con la tu autobiografia è un discorso serio, forse anche pesante, quello sull’identità di genere… e lo fai disegnando…
Credo che gli artisti abbiano una responsabilità enorme nei confronti del resto del genere umano: hanno un dono che devono dare alla gente. La cosa bella dell’arte è che deve essere assieme sociale e politica. Tradurre quello che si vede in qualcosa che possa arrivare alla gente. Questa è arte.