Hard-boiled in casa Marvel: “Alias”

Hard-boiled in casa Marvel: “Alias”

Inizia oggi su Netflix la seconda stagione di “Jessica Jones”. È l'occasione per analizzare la serie a fumetti in cui il personaggio ha esordito: “Alias”, di Brian Michael Bendis e Michael Gaydos.

Jessica Jones è una giovane donna dotata di alcuni super-poteri che, dopo aver tentato con scarsa fortuna la carriera di supereroina, ha deciso di aprire un’agenzia investigativa chiamata Alias. Spesso, però, i casi che accetta la portano a incrociare la propria strada con faccende legate a eroi e mutanti.

Negli ultimi mesi del 2001 la Marvel, sotto la guida dell’allora editor-in-chief Joe Quesada, stava cercando nuovi modi di intendere il fumetto supereroistico rispetto al classico approccio che l’aveva resa famosa, puntando in qualche modo anche a progetti autoriali e ricercando a tale scopo anche firme della scena indipendente.

Inoltre, a pochi mesi dall’attacco terroristico alle Torri Gemelle, molte testate Marvel furono influenzate dal drammatico evento subendo una forte ondata di patriottismo americano e scivolando progressivamente verso una narrazione dalle tinte più scure.
È in questo contesto carico di nuove inquietudini e della ricerca di approcci differenti per il fumetto mainstream che nasce e si sviluppa Alias, che esordisce nelle edicole USA nel novembre del 2001.

Jessica, donna reale in un mondo irreale

Il pregio principale di Alias si rintraccia nella sua protagonista: Brian Michael Bendis descrive Jessica come una figura femminile credibile e tridimensionale, non solo per il linguaggio scurrile che la connota o per il temperamento irruento e brusco, ma anche (e forse soprattutto) per le sue debolezze e paure.
Queste umanissime caratteristiche vengono veicolate dunque attraverso il carattere di cui sopra, allontanandola dallo stereotipo femminile della “dama in pericolo/donna debole” e la connotano invece in maniera convincente e moderna. Realistica e rispettosa.

Fin dall’abbigliamento la ragazza trasmette un’immagine precisa di sé: giubbotto di pelle, una semplice maglietta, jeans e stivali, e occhiali scuri per darsi un tono e schermarsi dal resto del mondo. Il lettore la inquadra subito come una donna determinata, che sa il fatto suo, una tosta.
Anche per quanto riguarda la sua vita sessuale e la sua propensione all’alcol, il personaggio appare “di rottura” rispetto al classico panorama dei comics: Jessica è disinibita, le piace il sesso e quando è ubriaca (cioè spesso) può essere ancora più propensa ad abbandonarsi ai propri istinti (come con lo sceriffo che compare nel secondo arco narrativo della serie). Caratteristiche che la identificano ulteriormente come una persona reale, insolite per una serie di stampo supereroistico.

Quando pian piano il lettore viene a conoscenza delle crepe che la segnano dentro ne viene tanto più colpito perché se lo aspetta meno. C’è quasi una sorta di deferenza nei confronti del suo dolore personale, perché la reazione di chiusura che il personaggio ha avuto dà ancora più risalto al suo difficoltoso passato.

Il fatto che Jessica Jones sia un’ex supereroina permette inoltre al personaggio di avere numerosi contatti e collegamenti con i supereroi Marvel, ma al contempo di essere fuori dalle loro regole e dalla loro realtà, ottenendo così una posizione pressoché unica rispetto agli altri personaggi. Non solo: il suo carattere scontroso e da badass le permette anche di avere un atteggiamento critico, se non strafottente, verso i Vendicatori e gli altri esseri straordinari, con un gioco di strizzatine d’occhio ai lettori che, se oggi non appare certamente cosa nuova, si rileva tutt’ora per una freschezza e una genuinità non scontate.

Tinte scure tra tutine colorate

Altra mossa interessante di Alias è il genere narrativo che la caratterizza: la serie di Bendis si ispira dichiaratamente ai thriller/hard-boiled classici, dove il detective privato disilluso deve indagare su un caso in un ambiente urbano solitamente marcio o disperato, con un’atmosfera cinica e dalle tinte scure.
Un impianto senza dubbio distante da quello delle tante testate Marvel, ma che proprio per questo permette di avere un prodotto di rottura e portatore di nuove istanze e di un nuovo lessico per quanto riguarda la casa editrice.
Anche dal punto di vista dei dialoghi, infatti, lo sceneggiatore riesce a introdurre un registro incalzante e gergale, naturale e colloquiale, che si denota nella quantità di botta e risposta ben resi dai balloon alternati e nel linguaggio sopra le righe spesso presente, con abbondante uso di parolacce e slang.
Un ottimo inizio per la nuova collana Max destinata a ospitare opere più “mature”, che proprio Alias inaugurò all’inizio del Millennio.

Le trame in sé sono veramente godibili. Seguendo gli stilemi di genere, Bendis confeziona trame noir efficaci e coinvolgenti, intrecciate con temi legati ai supereroi, ai poteri o ai mutanti e legandoli con considerazioni sulle reazioni umane nei confronti del diverso.
In questo modo non abbiamo semplicemente un racconto alla Raymond Chandler, ma l’occasione per riflettere su tematiche importanti e mature come il razzismo nella sua accezione più ampia e la corruzione politica. La diffidenza di una piccola cittadina verso una ragazzina che potrebbe essere una mutante, che arriva alle estreme conseguenze, o i tentativi di incastrare Capitan America in uno scandalo per minare la popolarità del Presidente degli Stati Uniti sono gli elementi base di due archi narrativi della serie che, oltre a permettere una narrazione avvincente e coinvolgente mette in campo considerazioni e riflessioni di un certo rilievo sociale.

Per far ciò l’impostazione narrativa di Bendis ricorre in più di un’occasione a un andamento anomalo, nel quale le premesse iniziali – spesso spiazzanti o drammatiche – trovano una risoluzione più normale e quotidiana, trasmettendo quella sensazione di realismo alla quale si accennava prima al netto degli elementi supereroistici di partenza. Lo sceneggiatore non rischia di cadere nella ripetitività, però, raccontando sostanzialmente solo tre casi effettivi nel corso dei 28 albi della serie.

Dall’altro lato, far muovere Jessica all’interno della stessa New York popolata da Spider-Man, Fantastici 4 e gli altri protagonisti Marvel rende il tutto più stuzzicante per il fan di lunga data: non solo perché in alcuni casi l’occhio della detective coincide con quella del lettore nei confronti dei supereroi, ma anche perché incasellare anche questi personaggi all’interno degli intrighi e del mood hard-boiled crea uno strano corto circuito che riesce a non depotenziare né i supereroi né il genere.

Un tratto noir

I disegni di Michael Gaydos sono un altro punto a favore della serie: lo stile dell’artista può lasciare perplessi inizialmente, essere addirittura respingente, ma già a metà del primo volume si apprezza quel tratto tozzo e ruvido, l’aspetto quasi caotico e indistinto con cui l’artista tratteggia ambienti e soprattutto personaggi. Un approccio grafico assai personale e soprattutto che si rivela perfetto per quello che si racconta su queste pagine.

Ma il maggior pregio è senz’altro quello della struttura della griglia: difficilmente si trovano due pagine simili a loro, per quanto attiene all’aspetto della tavola. Possiamo avere la griglia classica a nove vignette, una in cui i riquadri aumentano perché si riducono in dimensioni, sequenze di lettura orizzontali dalla pagina sinistra alla pagina destra, parti di pagina vuote perché le vignette formano una struttura direzionale particolare, ecc.

Vi è anche un’idea interessante per rendere su pagina i colloqui di Jessica Jones con i suoi clienti: le vignette si fanno strette e verticali, a tutta pagina, dove nella parte alta Jessica è quasi sempre immobile in una ripetizione disegnata che si concede pochi, studiati movimenti mentre ascolta l’interlocutore, mentre tutto è giocato sulle emozioni del cliente, con la “telecamera” che si avvicina al volto del personaggio di vignetta in vignetta fino ad averne un primo piano ravvicinato e con una mimica facciale che si evolve coerentemente con quanto viene espresso a parole.

Inventiva e conoscenza del linguaggio fumettistico permettono quindi a Gaydos di rendere dinamica la narrazione per immagini anche nelle situazioni più statiche, grazie a trovate calzanti che giocano con le inquadrature e il “movimento di camera”.

Sono da citare anche le copertine delle uscite originali, riproposte nei volumi Panini: realizzate da David Mack, sfoggiano uno stile dipinto molto suggestivo ed evocativo, in grado di trasmettere bene il tumulto dell’animo di Jessica. Un biglietto da visita inusuale, per i singoli albi, che lascia da parte scene iconiche o d’azione per degli acquerelli raffinati.

Metafumetto fuori posto

Infine, due parole sull’aspetto metafumettistico: è questo uno stratagemma che ad alcuni lettori piace molto e ad altri molto poco, ma al di là dei gusti particolari al riguardo in questo caso non appare molto adatto alla situazione.
Viene infatti introdotto bruscamente negli ultimi albi della serie per bocca e coscienza di Zebediah Killgrave, pericoloso villain noto come Uomo Porpora dotato del potere di farsi obbedire incondizionatamente dalle altre persone.

La consapevolezza di Killgrave di essere all’interno di un fumetto non è ben motivata, rispetto ai suoi poteri, e il tutto appare un po’ pretestuoso e poco giustificato dal contesto. Ai fini della conclusione della storyline e della serie stessa, l’elemento non influisce più di tanto e in tal senso appare come una trovata gratuita e fine a se stessa.

Certo, dà modo a Bendis di scrivere alcuni dialoghi che si muovono su due piani di lettura che sono particolarmente godibili e arguti: Killgrave arriva a commentare alcune scelte di Gaydos nell’impostazione della tavola, a prevedere alcune soluzioni visive e a ragionare in funzione di una logica narrativa da sceneggiatura, come se dovesse comportarsi da “cattivo da fumetto” perché tale è il suo ruolo.
Una strizzatina d’occhio simpatica ma che nell’insieme sembra superflua, uno sfoggio autoriale lanciato giusto perché la serie era in procinto di concludersi.

Ciò non intacca comunque il valore complessivo di Alias, che si connota come un prodotto maturo, intelligente e interessante per ben altri motivi, illustrati sopra. La dimostrazione che l’universo supereroistico non è per forza una gabbia per quanto riguarda la costruzione di storie e la possibilità di espressione ma che bravi autori possono cambiare le regole del gioco anche restando all’interno di realtà narrative codificate da decenni.

Sempre per mano di Bendis Jessica Jones ritorna nel 2004, un anno dopo la chiusura di Alias, sulla serie The Pulse, nel frattempo entra a far parte dei New Avengers e diventa madre, avvenimento che depotenzia in qualche modo le sue originarie caratteristiche “ribelli”.

Dal 2016, infine, è protagonista di una testata che si intitola semplicemente con il suo nome, che riprende le atmosfere del suo esordio, ma in nessuno di questi casi il personaggio riesce a essere incisivo come all’inizio della sua carriera fumettistica.

Abbiamo parlato di:
Alias: volumi 1-2-3-4
Brian Michael Bendis, Michael Gaydos
Traduzione di Pier Paolo Ronchetti
Panini Comics, novembre 2015-giugno 2016
176 pagine cadauno, cartonati, colori – 14-19 € cadauno

Clicca per commentare

Rispondi

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *