Il giovane Martin Mystere e le nuove avventure a colori

Il giovane Martin Mystere e le nuove avventure a colori

Pregi e difetti dell’esordio della miniserie che risponde alla domanda: “Come sarebbe stato Martin Mystère se fosse nato oggi, trentaquattro anni dopo?”.

Prequel, remake o reboot?

“Non si tratta di un “prequel”, né di un “ultimate” – ovvero una riscrittura semplificata per un pubblico giovanile – e neppure un “remake” o un “reboot” – cioè una completa ricostruzione di un personaggio e del suo mondo –, ma al tempo stesso è un po’ tutte queste cose. Posso anche dirvi che la serie è nata in modo “corale”, cioè scritta da un gruppo di autori che ha lavorato tenendo conto dei nuovi ritmi a cui ci hanno abituato cinema e televisione, e che io ne sono semplicemente l’ideatore e il supervisore, per non correre il rischio di cadere nei miei tipici meccanismi narrativi.”

mm-1Con queste parole circa un anno fa l’ideatore di Martin Mystère Alfredo Castelli presentava il progetto di una nuova miniserie a colori dedicata al personaggio, che avrebbe affiancato la serie regolare. In seguito, nel corso della conferenza della Sergio Bonelli Editore durante l’edizione di Lucca Comics & Games appena trascorsa, Castelli avrebbe utilizzato il termine di reengineering, ovvero una riprogettazione della serie e del personaggio che tiene conto delle moderne tecniche narrative.

Le sceneggiature sono state affidate ai “Mysteriani”, pseudonimo collettivo di un gruppo di autori che comprende Andrea Artusi, Diego Cajelli, Ivo Lombardo, Enrico Lotti e Andrea Voglino, sotto il coordinamento di Giovanni Gualdoni e la supervisione dello stesso Castelli.
Gli autori sono partiti dall’assunto: “Come sarebbe stato Martin Mystère se fosse nato oggi, trentaquattro anni dopo?”.

Certamente si tratta di un quesito di difficile risoluzione, dato che ogni personaggio è intrinsecamente legato all’epoca in cui è nato e, per quanto siano sempre più frequenti nel mercato fumettistico statunitense, finora in Bonelli i remake o i reboot sono stati decisamente inusuali.

Martin Mystere è da sempre uno dei personaggi più adatti a questo genere di operazioni, un character per certi versi camaleontico già nelle sue storie (non si spiegherebbero altrimenti le avventure degli Speciali, da anni ormai sul filo della comicità, o la recente incarnazione degli anni Trenta) e soprattutto nella sua crossmedialità che lo ha reso negli anni testimonial, prodotto di merchandising, protagonista di videogame e persino di un’opera teatrale, finanche a diventare, in una versione certamente più traditrice delle Nuove avventure, una serie animata per ragazzi. Senza dimenticare che quella ideata da Castelli è stata la prima serie Bonelli a tentare la strada della ripubblicazione in digitale con tanto di applicazione per smartphone.

È divertente perciò riflettere su quanto questa operazione possa sembrare come una maniera per sfruttare l’idea di fondo del personaggio sulla scia di un rinnovato interesse verso il misterioso e l’occulto – spesso purtroppo tendente al complottismo, interesse che non è difficile pensare sia in parte anche merito dello stesso Martin Mystère, per anni fonte di informazioni su tutto ciò che è “mysterioso” ma con un approccio al contempo sì divertito ma pure molto serio e concreto, ben lontano dalla superficialità e dal sensazionalismo dei vari programmi TV come Voyager o Mistero.

Il “Buon Giovane Zio Marty”

Sin dalle prime pagine di Ritorno dall’impossibile, episodio di debutto della miniserie, gli sceneggiatori rimarcano differenze e analogie tra il Martin Mystère de Le nuove avventure e la sua controparte “classica”.

Una delle più evidenti è di natura anagrafica: il “nuovo” Mystère è un trentacinquenne, single, che ha smesso le vesti di Detective dell’impossibile per dedicarsi al recupero di preziose opere d’arte smarrite. Al suo fianco un’inedita “spalla”, Max, in sostituzione del nehanderthaliano Java.

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Altra importante differenza è l’ambientazione italiana: la scelta di collocare la casa di Mystère a Firenze permette agli autori di ricollegarsi al passato della versione “classica” del personaggio (che aveva compiuto i propri studi proprio nel capoluogo toscano) e di citare il lungo ciclo dei Mysteri italiani (nel quale il “Buon Vecchio Zio Marty” si era temporaneamente trasferito in Italia, prendendo dimora sempre a Firenze vicino a Piazza Santa Croce), rendendo inoltre omaggio alla lunga tradizione artistica del nostro Paese.
Non è un caso, infatti, se i primi due manufatti con cui il giovane Martin Mystère ha a che fare siano un’opera originale di Leonardo da Vinci e l’elmo di Scipione citato nell’inno di Mameli.

Il ritmo della sceneggiatura

mm-2Oltre al colore, elemento sottolineato già nel titolo della miniserie, una delle caratteristiche di questa riproposizione del personaggio è il ritmo sostenuto e incalzante della sceneggiatura, quasi del tutto priva di dialoghi lunghi e scene di stampo “divulgativo”, che ricorda in qualche modo il lavoro di alcuni anni fa sulla serie regolare del compianto Paolo Morales, portato alle estreme conseguenze in termini di sintesi narrativa. Il risultato sembra un ibrido, in cui è possibile intravedere la ricerca di un linguaggio cinematografico, vicino ai moderni film di spionaggio (dallo 007 di Daniel Craig alla serie su Jason Bourne), senza per questo perdere aderenza con il riferimento originale.

Quello che attualmente manca probabilmente è insito nel personaggio delle origini: come per Dylan Dog non si finisce mai di ripetere quant’esso fosse intimamente legato a Tiziano Sclavi, pure Martin Mystère non potrebbe esistere senza il suo vulcanico creatore, Alfredo Castelli, senza la sua cultura e la sua capacità affabulatoria. Ovvio che tra la scelta di scimmiottare lo stile di Castelli o cercare una propria strada gli autori coinvolti abbiano cercato questa seconda, sacrificando almeno per ora la parte più “divulgativa” del personaggio, ma col rischio di trascurare anche il fascino che storie, luoghi e personaggi mysteriosi portano con sé.

Il compito degli autori è quindi quello di trovare un equilibrio tra gli elementi del BVZM di Castelli e l’impronta da serial tv moderno. Magari osando un poco di più nella struttura, narrativa e grafica, cercando segni più dinamici e osando maggiormente nella costruzione della tavola, così come nell’utilizzo del colore come elemento distintivo.

Il metodo di lavoro

Da sottolineare, come detto in apertura, l’attribuzione collettiva dei testi ai “Mysteriani”, che hanno lavorato in gruppo a tutte le sceneggiature. Gli autori hanno adoperato una writers room, modalità tipica degli autori delle serie tv americane per mettere insieme le idee e impostare il lavoro collettivo.

mm-newQuesto metodo rappresenta un approccio alquanto inedito per una produzione fumettistica seriale in Bonelli e comporta certamente un processo laborioso ma peculiare, suddiviso in diverse fasi. Lunghe riunioni preliminari tra i sei sceneggiatori sono servite a gettare una base della trama dell’intera miniserie e una bozza dei singoli episodi, a cui è seguita la stesura di una sceneggiatura “sommaria” (da parte di Giovanni Gualdoni ed Enrico Lotti) e dei veri e propri dialoghi (ad opera di Diego Cajelli e Andrea Voglino).

Il tassello successivo, anch’esso decisamente inedito per i fumetti realizzati in via Buonarroti, è stata la realizzazione di veri e propri storyboard contenenti un’idea della regia delle singole tavole (lavoro svolto da Andrea Artusi) che, dopo ulteriori aggiunte di Ivo Lombardo e una supervisione finale operata da Gualdoni, sono passate nelle mani dei disegnatori.

L’approccio grafico

Il già citato passaggio intermedio tra sceneggiatura e disegni, ovvero la realizzazione di storyboard da parte di Artusi, certamente garantisce una certa uniformità all’intera miniserie, stanti le peculiarità dei tratti dei singoli disegnatori coinvolti (nei primi due episodi Fabio Piacentini e Alfredo Orlandi).
Programmaticamente Castelli e i “Mysteriani” non hanno voluto coinvolgere autori che avessero già legato indissolubilmente la propria carriera al personaggio: non c’è traccia di Giancarlo Alessandrini e un disegnatore storico come Lucio Filippucci viene “relegato” al ruolo di copertinista. In tal modo si intendeva comunicare un’idea di freschezza e genuinità anche a livello grafico.

Sono frequenti le vignette quadruple, in cui la scena si apre nei momenti più d’effetto, con altre lievi variazioni rispetto alla canonica gabbia bonelliana (si veda, nel secondo episodio, la vignetta panoramica su Firenze che si estende su due pagine consecutive), sebbene la gabbia stessa rimanga saldamente alla base del linguaggio.

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La scelta di un disegno di stampo fortemente realistico, dal quale emergono i riferimenti fotografici utilizzati probabilmente come guida, comporta però un aspetto generale piuttosto statico e ingessato. Questo emerge nei volti, dalle espressioni particolarmente accentuate e nelle scene d’azione, che sembrano congelare determinati attimi ma senza per questo restituire una sensazione di movimento.

I colori utilizzati da Daniele Rudoni (coadiuvato nel secondo numero da Elisa Sguanci) sono piuttosto accesi, forti e presenti, e seguono l’attenzione verso il realistico dei disegni, azzardando però poco rispetto alle potenzialità che questo elemento potrebbe avere a livello narrativo. D’altra parte si vede il lavoro fatto negli ultimi anni in Bonelli per alzare il livello tecnico della colorazione, con un taglio decisamente moderno e attuale.

In conclusione, Le nuove avventure a colori si propone come una reinterpretazione e un’attualizzazione di un personaggio dalle potenzialità quasi illimitate. Un omaggio a Martin Mystère e al suo vulcanico creatore che, pur con qualche difetto, conferma la capacità di prestarsi alle sperimentazioni che è sempre stata cifra distintiva e peculiarità del “Buon Vecchio Zio Marty”.

Abbiamo parlato di:
Martin Mystère, le nuove avventure a colori #1 – Ritorno all’impossibile
I Mysteriani, Fabio Piacentini, Daniele Rudoni
Sergio Bonelli Editore, novembre 2016
98 pagine, brossurato, colore – 2,00 €

Martin Mystère, le nuove avventure a colori #2 – L’elmo di Scipio
I Mysteriani, Alfredo Orlandi, Elisa Sguanci, Daniele Rudoni
Sergio Bonelli Editore, dicembre 2016
98 pagine, brossurato, colore – 4,90 €

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