Gabriella Contu: scrivere Dylan Dog oggi

Gabriella Contu: scrivere Dylan Dog oggi

Una delle sceneggiatrici rivelazione dell'ultima annata bonelliana ci racconta il suo rapporto con il fumetto, l'esigenza di ancorare l'Indagatore dell'incubo al presente e le sue esperienze passate e future su storie di altri personaggi Sergio Bonelli Editore.

Sarda d’origine, Gabriella Contu vede la luce in Piemonte, dove ancora risiede, nel 1974. Negli anni ha affrontato percorsi di studio e lavorativi piuttosto diversi tra loro, passando da un diploma di ragioneria alla scuola di giornalismo, dal mondo delle redazioni a quello della cooperazione sociale, fino al recente approdo al mondo del fumetto. Dal 2015 collabora con la Sergio Bonelli Editore come sceneggiatrice, in particolare per la serie Dylan Dog e, occasionalmente, per Zagor, Tex, Dragonero e Le Storie. Ama il mare, l’estate, la buona cucina, Shakespeare e i romanzi storici. Detesta il freddo.

Benvenuta su Lo Spazio Bianco. Partiamo dal tuo rapporto con il fumetto: quando hai iniziato a leggerne?
Ho cominciato a sfogliare fumetti prima di imparare a leggere. Sono l’ultima di tre sorelle, quindi “prendevo in prestito” quelli che i miei genitori compravano per loro quando io ancora andavo all’asilo. Topolino, ovviamente, era in cima alla lista. Ricordo anche alcuni numeri de Il Giornalino, con le biografie a fumetti di grandi attori come Marilyn Monroe e Totò… meravigliose! In estate, invece, se andavamo in vacanza in Sardegna, nella casa dei miei nonni, c’erano le scatole piene dei Tex dei miei zii. Dopo pranzo, quando faceva caldo e i grandi dormivano, bastava allungare una mano per finire a cavalcare in Arizona… ma mai una volta che di una storia ci fossero sia l’inizio sia la fine!

Cosa pensi dello stato attuale del fumetto? C’è qualche autore o serie che segui con interesse?
Mi sembra sia un periodo di grande vitalità. Forse più per il fumetto da libreria che per quello da edicola, che però continua a difendersi bene. Leggo quasi tutto ciò che la SBE produce… o almeno ci provo. Della Marvel sto seguendo con particolare interesse l’evoluzione di Capitan America, mi incuriosisce molto lo stravolgimento di questi ultimi mesi, insieme all’accostamento del personaggio Sam Wilson. Recentemente mi sono avvicinata al catalogo delle Edizioni Inkiostro, che trovo davvero ricco e intrigante.

Passando a Dylan Dog, come è avvenuto il tuo contatto con la SBE e il tuo ingresso nel team di autori della serie?
Alla SBE, inizialmente, mandai la proposta per un progetto scollegato dalle serie già in edicola. Mi rispose Mauro Marcheselli, l’allora direttore editoriale, dicendomi che, pur essendo ben strutturato, difficilmente avrebbe avuto una possibilità in edicola. Capisci… io mi aspettavo una lettera standard di rifiuto, ero una perfetta sconosciuta con un’idea strampalata nella testa. Il fatto che Marcheselli mi rispondesse direttamente era già un risultato inaspettato. L’anno successivo passò tra proposte (mie) e rifiuti (loro). Però erano rifiuti motivati, che davano a me la possibilità di imparare ogni volta qualcosa di nuovo. La svolta è arrivata piano piano: prima passò una sceneggiatura per la serie Le Storie, poi una breve per Dylan grazie alla quale entrai in contatto con Roberto Recchioni e via così.

Hai esordito sulla serie regolare con Il terrore, episodio ispirato a fatti realmente accaduti nel 2015 in Texas (il quattordicenne Ahmed Mohamed venne accusato da un docente di aver portato a scuola un ordigno esplosivo). Come è nata l’idea di ispirarsi a eventi reali? Cosa ti attraeva di quella storia di cronaca?
In quel periodo avevo da poco cominciato a collaborare con Dylan. Ce l’avevo nella testa. Così, quando sentii quella notizia, mi venne naturale chiedermi: in una situazione simile, Dylan che farebbe? E la risposta fu altrettanto naturale: pur non essendo privo di difetti, Dylan ha sicuramente il pregio di saper guardare al di là delle apparenze, di vedere le persone e le situazioni per ciò che sono e non per come le descrivono gli altri. Ne parlai con Roberto, che mi aiutò a focalizzare l’idea, dopodiché la scaletta dell’intera storia venne in modo molto spontaneo. Era un piccolo fatto di cronaca, ma emblematico del tempo che viviamo e, soprattutto, della paura che abbiamo.

Sei entrata nel team di Dylan Dog durante un periodo di rinnovamento della testata. Una delle caratteristiche programmatiche di questo “nuovo corso” è proprio quella di collegarsi maggiormente alla contemporaneità. Non a caso, Il terrore affronta tematiche estremamente attuali: non solo il terrorismo, ma anche i pregiudizi, la paura del diverso, la rapida diffusione di notizie incontrollate. Lo stesso discorso vale anche per Io ti salverò (Dyd Maxi #32), dove si parla di malattia e della ricerca di terapie non convenzionali. In che misura ritieni che la realtà debba entrare nelle storie di Dylan Dog?
Per come la vedo io, il punto non è parlare per forza di temi di stretta attualità. Ci sono storie dylaniate, anche recenti e molto belle, che non lo fanno. Il punto è considerare Dylan un personaggio attuale. Che vive oggi, nella realtà di oggi, nella Londra di oggi. A quel punto l’attualità può essere estranea alla storia, oppure un elemento di contorno, oppure il centro della storia stessa. Dipende. Non è una tassa da pagare, ma neanche una sfida da evitare. Credo che relegare Dylan in un “non tempo” indefinito, significherebbe non rendergli giustizia. Quando vide la luce, l’essere un personaggio contemporaneo lo rendeva vivo e interessante. Credo sia una caratteristica da non perdere.

In entrambi gli episodi di Dylan Dog pubblicati finora hai collaborato con Giampiero Casertano, uno dei disegnatori più rappresentativi della testata. Come è avvenuta la vostra collaborazione? Avevi già in mente il suo stile quando hai scritto queste due sceneggiature?
Quando ho scritto Il terrore e Io ti salverò non sapevo chi le avrebbe disegnate. Per quel che ho potuto sperimentare, è una situazione che capita spesso e che cerco di affrontare sempre nello stesso modo: dando al disegnatore tutte le informazioni visive ed emotive che ritengo fondamentali, fidandomi dell’interpretazione che ne darà lui (o lei). Poi sta a chi prende in mano la storia scegliere se avere un confronto più o meno stretto con me che l’ho scritta e che, dal mio punto di vista, è sempre arricchente e prezioso.

Io ti salverò di Gabriella Contu e Giampiero Casertano (Maxi Dylan Dog #32) © Sergio Bonelli Editore.

La trama tra il grottesco e il surreale, la gestione dei ritmi narrativi, i livelli di lettura stratificati, le riflessioni sulle assurdità della vita e in generale l’impostazione stilistica di questi due episodi rivelano una profonda matrice sclaviana. In che termini ritieni di esserti ispirata al Dylan Dog di Tiziano Sclavi? Credi ci sia un punto d’equilibrio tra l’interpretazione iniziale sclaviana e l’imprescindibile apporto personale?
Replicare Sclavi è impossibile, così come lo sarebbe replicare qualsiasi autore tanto originale e – nel suo caso – geniale. Però Dylan è una serie con un suo stile e con quello bisogna cercare di essere coerenti. Credo che ogni autore faccia sue alcune caratteristiche, del personaggio e del linguaggio, quelle che reputa a sé più congeniali o semplicemente più importanti. Poi, come è giusto che sia, ci mette del suo. Tutte le volte che mi accingo a scrivere qualcosa di Dylan, prima di cominciare rileggo alcune storie di Sclavi (e non parlo solo delle prime, ma anche delle più recenti). È un’operazione che mi ispira e mi tranquillizza. Come aprire la porta su un mondo che ha alcune regole, un determinato paesaggio, dentro al quale ci sono sentieri più o meno battuti, zone ancora inesplorate, oasi di pace e terribili trabocchetti. E in tutto questo, muoversi è davvero un’avventura.

È stato reso noto qualche mese fa il tuo coinvolgimento nel “ciclo della Meteora”, gruppo di episodi in continuity che condurrà la serie fino al n. 400 e che riporterà in scena l’attuale villain principale, ovvero John Ghost. Puoi anticiparci qualcosa a riguardo? Quali difficoltà hai avuto nel coordinarti con altri autori per la realizzazione di queste storie?
Ho scoperto il vostro gioco, tentate di usarmi come grimaldello per penetrare i segreti della Meteora, ma non parlerò! Scherzi a parte, è un’operazione alla quale hanno partecipato diversi autori, sia a livello di sceneggiatura che di disegno. Il mio punto di riferimento è stato Recchioni, che ha in mente tutto lo schema narrativo, e immagino che anche per gli altri sia stato così. Quindi, nessuna difficoltà in particolare. Al contrario, la soddisfazione di partecipare, nel mio piccolo, a un’operazione che (per quel che ho potuto sbirciare anche del lavoro altrui) trovo molto avvincente e ben riuscita.

Sei stata anche la prima donna a sceneggiare Zagor, per altro in un volume particolare (I racconti di Darkwood) che raccoglieva varie storie brevi con un episodio di cornice a fare da collante. Che rapporto hai con il personaggio? Tornerai a lavorarci?
Zagor è sinonimo di avventura, Darkwood il luogo in cui tutto può succedere. Questo basta per farli amare entrambi. O, almeno, basta a me. Di storie brevi ne ho scritte due, Memorie dal passato, raccolta nel volume che ricordavi, e un’altra che uscirà in futuro. Non so se tornerò a scriverlo, ma certo non mi dispiacerebbe!

Di recente è stato annunciato che hai sceneggiato due storie brevi di Tex, che saranno pubblicate nel corso del 2018. Ti senti pronta a realizzare una storia di più ampio respiro per il ranger? Quali differenze hai trovato tra scrivere Zagor e Tex?
Non so se usciranno entrambe nel 2018, ma almeno una credo di sì. Realizzare una storia più lunga certo mi farebbe felice, ma per il momento è più un obiettivo che un progetto, perché scrivere Tex non è affatto facile. Neanche scrivere Zagor o Dylan lo è, intendiamoci. Ma Tex ha caratteristiche e difficoltà che lo rendono unico. Conoscere bene l’epopea western è fondamentale ma non sufficiente. Il punto è rapportarsi con un personaggio che pur non essendo un supereroe ha caratteristiche che lo rendono diverso da ogni altro essere umano. Voglio dire: Tex non sbaglia mai, pochissime cose lo mettono in difficoltà, intuisce sempre da subito chi sono i buoni e chi sono i cattivi, però è catartico perché con lui hai la certezza che il bene trionferà. Ora, con queste premesse, costruire trame che siano avvincenti, capaci di stupire, ma che non ripetano quelle del passato, è di per sé un’impresa. Molto sfidante, ma che richiede un percorso di avvicinamento e molta umiltà. Con Tex comanda lui, sei completamente al servizio del personaggio.

Puoi raccontarci altri dettagli sui tuoi lavori attualmente in corso e su quello a cui ti piacerebbe lavorare in futuro?
Nei prossimi mesi dovrebbe uscire un volume per la collana Le Storie, sceneggiato da me e disegnato da Giuseppe Baiguera, ambientato nel Sudafrica dei primi anni ’60, una storia alla quale sono molto affezionata perché la prima a cui la SBE diede il via libera. Sono poi in lavorazione una storia di Dragonero, disegnata da Vincenzo Riccardi, e almeno un paio di Dylan, una in mano a Daniele Caluri, un’altra a Giorgio Pontrelli. Al momento sto scrivendo una storia per Chanbara, la serie sui samurai di Roberto Recchioni. Rispetto al futuro, spero di poter affiancare all’esperienza col fumetto seriale anche qualche escursione in quello da libreria. Sono approdata al mondo dei fumetti a 40 anni, adesso ho fretta di recuperare il tempo passato a fare altro.

Grazie ancora per la disponibilità.

Intervista condotta via mail nel mese di marzo 2018.

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